30 maggio 2012
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Biografia di Luciano Gallino
• Torino 15 maggio 1927 – Torino 8 novembre 2015. Sociologo. Dal 1965 al 2002 docente all’Università di Torino e prima per due anni “fellow research scientist” a Stanford, in California. È stato responsabile del Centro on line Storia e Cultura dell’Industria. Collaborava con La Stampa, Repubblica e MicroMega. Ultimi libri: Il denaro, il debito e la doppia crisi spiegati ai nostri nipoti (Einaudi 2015), L’impresa responsabile (Einaudi 2014), Il colpo di Stato di banche e governi (Einaudi 2013), secondo Massimo Giannini «un micidiale atto d’accusa contro il sistema finanziario, “ambiente criminogeno” che ha annientato l’economia reale cannibalizzando il lavoro, distruggendo i diritti, destrutturando le democrazie», La lotta di classe dopo la lotta di classe (con Paola Borgna, Laterza 2012), Finanzcapitalismo. La società del denaro in crisi (Einaudi 2011), Con i soldi degli altri. Il capitalismo per procura contro l’economia (Einaudi 2009), Il lavoro non è una merce. Contro la flessibilità, Italia in frantumi, Globalizzazione e disuguaglianze (tutti editi da Laterza nel 2007). «Nel panorama conformista e provinciale della vita intellettuale italiana, le idee di Gallino erano un’oasi d’intelligenza e coraggio» (Curzio Maltese).
• «Un docente austero, con uno stile molto tradizionale che strideva con il clima lassista e a volte sguaiato di “Palazzo Nuovo”. Nelle sue lezioni non si stava seduti sui banchi a fumare e discutere di cospirazioni della borghesia. S’imparavano i classici, si leggeva Karl Marx, ma anche Max Weber e Talcott Parsons. Si guardavano i numeri, commentando le tabelle di Paolo Sylos Labini sulle classi sociali in Italia. Si facevano cose serie, insomma. Sotto la guida di un vero Maestro» (Maurizio Ferrera) [Cds 9/11/2015].
• Dal ’55 al ’70 è stato capo dell’Ufficio studi sociali dell’Olivetti.
• «A Ivrea nella fabbrica utopista dove l’“ingegnere” tentò di unire in equilibrio solidarietà sociale e profitto, Gallino iniziò a collaborare all’Ufficio Studi Relazioni Sociali della Olivetti, unico esempio del genere all’interno di un’attività industriale di grandi proporzioni – e alcuni anni dopo dal ’60 al ’70 diventò direttore del Servizio di ricerche sociologiche e di studi sull’organizzazione, che faceva capo alla Direzione del personale e dei servizi sociali, di cui fu responsabile a lungo il poeta Paolo Volponi. Un reparto aziendale tutto teso alla difesa dei diritti dei lavoratori, che a proporlo oggi in una qualunque azienda del paese verrebbe segnalato come un covo di sovversivi» (Davide Turrini) [Fat 8/11/2015].
• «Politici e manager senza visione del futuro hanno trasformato l’Italia in una colonia industriale. Per recuperare terreno occorre una politica economica orientata verso uno sviluppo ad alta intensità di lavoro e di conoscenza» (La scomparsa dell’Italia industriale, Einaudi 2003). La sua idea di globalizzazione: non basata su una concorrenza salariale al ribasso, ma su garanzie minime per i lavoratori di tutti i Paesi. Molti consensi intorno al concetto di lotta di classe in chiave post-marxista. Rossana Rossanda: «Sento il bisogno di chiedere un ritorno al conflitto di classe. E non penso a un estremista assetato di sangue, ma alle analisi di Luciano Gallino, che io ricordo all’epoca di Adriano Olivetti» (a Simonetta Fiori) [Rep 7/6/2013].
• «Con Ferrarotti, negli anni del secondo dopoguerra, fu il fondatore e il divulgatore della sociologia in Italia, quando questa disciplina era misconosciuta e disprezzata dallo storicismo crociano e marxista, allora imperante nel nostro paese. Con Bobbio e Salvadori, sui primi numeri della rivista Mondoperaio, cercò di rompere l’ortodossia culturale comunista, tenacemente ostile a quelle novità “americane” che rischiavano di complicare il semplicismo rassicurante e conservatore di una analisi sociale ormai superata dalla realtà. Nei decenni successivi, quando l’epopea del “piccolo e bello” sembrava oscurare l’importanza fondamentale della grande azienda manifatturiera per il nostro sviluppo, ricordò che il cosiddetto declino italiano era dovuto, in gran parte, all’eclissi di quella industria nella struttura socioeconomica nazionale» (Luigi La Spina).
• «Un contestatore puntiglioso della dogmatica economica vigente. È rimasto nella memoria di molti un suo saggio del 1998, Se tre milioni vi sembran pochi (Einaudi), che affrontava con spregiudicatezza il tema della disoccupazione, smontando numerosi feticci della retorica neoliberista. E anche La scomparsa dell’Italia industriale e L’impresa irresponsabile (entrambi Einaudi) toccano alcuni punti nodali dello sviluppo dell’economia del nostro tempo, con un’attenzione meticolosa, intessuta di numeri e riscontri empirici, alla realtà italiana e alle semplificazioni della sua rappresentazione ideologica» (Edmondo Berselli).
• «Nell’ultimo decennio il sociologo torinese è diventato un pensatore sempre più “critico”, nel senso filosofico del termine. Un intellettuale, cioè, impegnato nel decifrare pratiche e trasformazioni sociali alla ricerca del loro senso nascosto e delle loro contraddizioni. Attraverso lo strumento del saggio breve, Gallino ha puntato il dito contro diseguaglianze e precarietà, deterioramento ambientale e involuzione tecnocratica della politica. Per lui tutti questi fenomeni sono riconducibili a un macroscopico fattore: la finanziarizzazione del capitalismo, lo strapotere impersonale dei fondi d’investimento e delle istituzioni finanziarie internazionali e l’assoggettamento dei governi ai loro interessi. Come altri sociologi formatisi tra gli anni Sessanta e Settanta, nei suoi ultimi scritti il professore sembrava aver rivalutato le spiegazioni “strutturali” tipiche della scuola marxista: ciò che muove la società e la politica è, in ultima analisi, il modo di produzione. Rispetto ad altri autori (ad esempio Wolfgang Streeck), Gallino non ha però mai rinunciato alla ricerca di vie d’uscita, nella convinzione che la sconfitta dell’uguaglianza e, insieme, del pensiero critico non sia definitiva. E che dunque sia ancora possibile riorientare la logica del capitalismo globale verso il perseguimento di autentici “scopi umani”» (Ferrera, cit.).
• Ex consulente di Prodi per il programma di governo. Alla vigilia delle politiche 2008 firmò un appello per votare la Sinistra l’Arcobaleno.
• A inizio 2008, nei giorni della mancata visita di Benedetto XVI all’università La Sapienza, fu tra gli intellettuali che raccolsero le firme (circa 1500) per la laicità e il diritto al dissenso nel manifesto “Anche noi cattivi maestri”. Nel 2010 era tra i promotori di un altro appello (“Fermiamo la controriforma del diritto del lavoro”) contro il disegno di legge del governo giudicato.
• Da sempre in politica, ma rigorosamente fuori dai partiti. Nel 2012 aderì ad Alba (Associazione Lavoro Beni Comuni e Ambiente), in virtù di «una profonda sfiducia non nei partiti ma nel personale politico»; con lui anche Stefano Rodotà e Paul Ginsborg. Poi, sempre nella sinistra cosiddetta movimentista e di piazza, promosse il gruppo “Cambiare si può”, con Marco Revelli, Livio Pepino, ecc. Infine sostenitore delle idee di Alexis Tsipras: con Guido Viale, Barbara Spinelli, Andrea Camilleri, Paolo Flores d’Arcais e altri avrebbe voluto una lista del leader greco alle Europee 2014.
• «Gallino non amava le mode intellettuali. Alle narrazioni preferiva i numeri, l’analisi scientifica dei dati, e questo gli ha reso la vita non semplicissima sia negli anni Settanta del Novecento sia in questo primo scorcio del nuovo millennio. Non aveva nemmeno timore di schierarsi. La sua adesione al comitato promotore della lista Tsipras alle elezioni europee è la dimostrazione che il riformista Gallino non era un intellettuale timoroso di sporcarsi le mani. Era invece convinto della necessità di un cambio radicale di sistema, non solo economico ma anche culturale. E per arrivarci non vedeva altra strada se non quella dello studio e della comprensione dei meccanismi sociali. Non amava scorciatoie populiste: “Senza un’adeguata comprensione della crisi del capitalismo e del sistema finanziario, dei suoi sviluppi e degli effetti che l’uno e l’altro hanno prodotto nel tentativo di salvarsi – scriveva – ogni speranza di realizzare una società migliore dell’attuale può essere abbandonata”» (Paolo Griseri) [Rep 9/11/2015].
• «Tra i sociologi italiani, Luciano Gallino è sicuramente quello che riesce a collocarsi meglio sulla lunghezza d’onda degli economisti sia perché utilizza spesso, come punto di partenza, qualche modello economico sia perché conosce le statistiche e sa “farle parlare”» (Mario Deaglio) [TuttoLibri, Sta 11/1/2014].
• «Uno studioso molto serio» (Giovanni Sartori)
• «Uno dei più grandi esperti di storia industriale italiana» (Giampiero Mughini)
• «Declinista cartesiano» (Stefano Cingolani).
• Sposato con Tilde Giani, due figli, Giorgio e Davide. Nel tempo libero amava passeggiare o leggere, soprattutto romanzi dell’Ottocento e del Novecento.
• È morto nella sua casa di Torino dopo una lunga malattia.
• «Fino agli ultimi mesi, ormai provato dalla malattia, dalle operazioni e dai ricoveri, Luciano Gallino è rimasto un uomo profondamente appassionato al futuro del nostro Paese, dell’Europa, del mondo. Uno sguardo lungo che ha ispirato le sue ultime opere, per così dire pedagogiche, dove ha cercato di spiegare con parole semplici alle generazioni più giovani quanto stava accadendo nelle società occidentali, in gran parte alle loro spalle. Da molto tempo i fatti si erano incaricati di dare ragione alle sue lucide, chiarissime analisi sull’evoluzione del capitalismo globalizzato e sulle conseguenze catastrofiche di una sballatissima costruzione dell’Unione europea. Nessuno come Gallino, neppure il giustamente celebrato Piketty, ha saputo raccontare in anticipo la follia delle oligarchie dominanti conservatrici, l’utopia negativa di voler rispondere alla crisi più potente degli ultimi ottant’anni, dalla Grande Depressione, con una ricetta ideologicamente opposta a quella del ’29, distruggendo lo stato sociale, imponendo assurde politiche di austerità e svalutando il lavoro e i diritti. Nei suoi saggi e articoli erano annunciati già gli effetti catastrofici che si sarebbero materializzati negli anni, dal declino dei ceti medi alla ricomparsa di masse di poveri nel ricco Occidente, fino al furto di vita e futuro ai danni delle nuove generazioni e al pericolo di veder risorgere un nuovo fascismo in tutta Europa» (Curzio Maltese a Giampiero Calapà) [Fat 9/11/2015].