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 2012  maggio 30 Mercoledì calendario

Biografia di Dolce e Gabbana

• Coppia di stilisti formata da Domenico Dolce e Stefano Gabbana, fondatori dell’omonima casa di moda. Prima sfilata a Milano Collezioni, nella categoria Nuovi talenti, nel 1985. Prima collezione nel 1986. «Non basta portare l’orecchino e buttar giù un disegno per fare questo lavoro con successo».
Il marchio Nato a Milano nel 1985, il gruppo crea, produce e distribuisce abbigliamento, pelletteria, calzature, accessori e profumi con i marchi Dolce&Gabbana, D&G (linea giovane), D&G Junior (bambini). Dopo gli esordi milanesi è protagonista di un’ascesa che ne fa una delle griffe italiane più conosciute al mondo. I due stilisti hanno vestito Madonna, Monica Bellucci, Kyle Minougue, David Beckham, Nicole Kidman, Simona Ventura ecc.
• «Quando nel ’96 Dolce e Gabbana mandarono a Simona Ventura dei vestiti un po’ lunghi, sotto il ginocchio, e lei li tagliò a mini: “Mi telefonarono e mi aprirono come una cozza. Per vendetta mi tolsero i vestiti per un anno”» (Claudio Sabelli Fioretti). A detta della stessa Ventura, le «vestono l’anima».
• Dolce (a Stefano Jesurum): «Ci siamo conosciuti nello studio di uno stilista dov’eravamo entrambi assistenti. Io ci stavo da un po’, poi è arrivato Stefano, fresco di studi... Siamo stati lì un anno e mezzo. Ma io avevo già intenzione di mettermi in proprio, anche perché collaboravo con l’azienda siciliana di confezioni dei miei genitori... Facevamo orari folli. Tutti e due avevamo un’enorme voglia di arrivare e di vivere. Insieme. Viaggiavamo tanto, disegnavamo fino a notte fonda, all’alba partivamo su una scassatissima R4 per andare nelle aziende... È stata durissima avere le prime consulenze, ci sono voluti quasi sei mesi... Dovevamo ricominciare dalle cose più brutte, più cheap, più commerciali... La moda vera? Il sogno? Scomparso tutto. Abbiamo affittato un ufficio. Un bilocale in porta Vittoria, 70 metri. Lì ci siamo trovati a collaborare casualmente insieme per una o due ditte. Mi aiuti? T’aiuto? Ci aiutiamo? Uno, due, tre, finché abbiamo detto: dai, andiamo avanti così. Le cose cominciavano a marciare. Molto per la Marzotto, per altre ditte, e poi per l’azienda di mio padre: facevamo un’etichetta, una collezione un po’ fashion che si chiamava Donna-Donna. Vivevamo nel terrore di perdere il treno della moda, delle tendenze, e su quell’etichetta puntavamo parecchio... Fu un disastro totale: sbagliata la distribuzione, lo stile non veniva capito, era tutto sbagliato... Però eravamo presuntuosi e presentavamo le nostre cose alla stampa. Un mese prima delle sfilate organizzavamo eventi dai parrucchieri, da Burghy, portavamo personalmente gli inviti nelle redazioni... Cose un po’ allucinanti. Ci siamo fatti notare. Non bastava... Modenese ci vuole parlare. Ci incontriamo a Firenze, a Pitti. Ci fa: “Ragazzi, siete stati scelti come nuove proposte per Milano-collezioni”. È stato il momento di gioia più grande della nostra vita. Piangevamo, ridevamo, saltavamo...».
• «Ci accusavano di essere volgari per via delle spalline del reggiseno in vista, della corsetteria, dei lacci. Mi ricordo che l’invito della nostra sfilata, nel 1991, era un paio di collant con il reggicalze. Ne uscì un casino. Adesso il reggicalze lo fanno tutti e non si scandalizza più nessuno».
• «“Noi veniamo dalla scuola di grandi maestri come Armani, come Versace, veri creatori, veri inventori, gente di autentica passione. Oggi non ce ne sono più, l’anonimato, anche culturale, accomuna i cosiddetti giovani stilisti. Noi produciamo ogni anno, oltre agli accessori, circa 4800 modelli di abbigliamento donna e uomo, e li pensiamo e tagliamo uno per uno, perché prima di tutto siamo dei veri sarti. Poi vanno in produzione, ma prima sono passati per le nostre mani, e li abbiamo accarezzati, amati (...) Ci volevano comprare, ci hanno offerto una barcata di soldi. Abbiamo capito il nostro valore e abbiamo detto no”. E hanno fatto bene, pensando alle angustie in cui boccheggiano i grandi gruppi finanziari che a furia di comprare marchi stracotti o di sentirsi padroni del mondo, oggi sono in affanno. Tutto il superfluo che negli anni hanno inventato, estasiando moltitudini di esibizioniste, oggi lo si vede, copiato, nelle vetrine di veterolusso. Nelle loro paiono invece, per rigore di taglio, grazia di colore e perbenismo, il guardaroba di Elisabetta d’Inghilterra» (Natalia Aspesi).
• Gabbana: «La sfilata ha un’influenza relativa dal punto di vista economico ma rappresenta la fase più complessa e creativa, dove riflettiamo, elaboriamo, cambiamo. Sono nati in questo momento i nostri trend più significativi, come i jeans strappati. Criticatissimi, ma poi copiati in tutto il mondo».
• Hanno vestito, tra l’altro, la Nazionale italiana per il Mondiale brasiliano 2014: abito a tre pezzi, giacca a due bottoni con piping interno azzurro, camicia bianca con bottoni di vera madreperla e polso smussato, cravatta col tricolore italiano posizionato in verticale per tutta la sua lunghezza, fermacravatta, scarpe stringate di vitello nero.
• Grossi problemi col fisco: per pagare meno tasse, nel 2004 marchi e benefici annessi sarebbero stati trasferiti in una società fittizia, la Gado, con sede in Lussemburgo. Nel 2012, è arrivata la pronuncia della Commissione tributaria provinciale di Milano, che ha condannato gli stilisti a pagare 343 milioni di euro. In relazione alla stessa vicenda, è stato aperto nei loro confronti un processo per evasione fiscale che, dopo un primo proscioglimento in grado d’appello annullato dalla Cassazione, nel luglio 2013 si è definito in primo grado con sentenza di condanna a 20 mesi del Tribunale di Milano. Il 30 aprile 2014 la Corte d’appello di Milano ha confermato la condanna per omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, riducendo la condanna a 18 mesi. Il 24 ottobre 2014 la Cassazione li ha assolti «per non aver commesso il fatto». I giudici hanno anche annullato senza rinvio le statuizioni civili (soprattutto i 500 mila euro che i due stilisti avrebbero dovuto pagare all’Agenzia delle entrate come risarcimento per il danno morale per il mancato pagamento delle tasse).
• «Eravamo certi!!! Siamo delle persone oneste!!! W l’Italia» (così Stefano Gabbana su Twitter alla notizia dell’assoluzione).
• In seguito alla condanna del luglio 2013, avevano chiuso i nove negozi milanesi per tre giorni, per protesta contro le dichiarazioni dell’assessore al commercio del Comune di Milano Franco D’Alfonso («Niente spazi comunali a chi è stato condannato per evasione fiscale»): sulle vetrine, esposta la scritta «Chiusi per indignazione». Dopo l’assoluzione da parte della Cassazione, i due stilisti hanno fatto sapere di voler restituire per protesta al Comune di Milano anche l’Ambrogino d’oro ricevuto nel 2009.
Domenico Dolce Polizzi Generosa (Palermo) 13 agosto 1958. Dei due è quello senza capelli. «Adoro il calcio. Se fossi nato donna avrei fatto la velina per poter andare coi calciatori».
• «A Palermo vedevo i giornali con i Versace e gli Armani e da noi non c’era quasi nulla. Sbarcai a Milano in aprile, con mio padre, per iscrivermi a una scuola. Ho visto la Madonnina e ho detto: “Prego Dio che non mi faccia più tornare indietro”».
• Con Gabbana faceva coppia anche nella vita privata: «Eravamo giovani, poverissimi ma completamente innamorati e felici. Nessuno potrà mai cancellare quei meravigliosi anni».
• «Mia madre, siciliana, e all’epoca cinquantenne, è stata fantastica. La ricordo insieme a mia sorella che lavano i piatti. Vado e dico: “Sapete, sono gay”. E mamma: “Che vuol dire?” Io: “Che mi piacciono gli uomini”. E lei: “Eeeeh! Che problema ti fai, ti passerà”. Mi tolse un tale peso che tornai leggerissimo a Milano e cominciai a frequentare i ragazzi».
• È finita per colpa sua la storia con Gabbana («Ho preso una sbandata! Un incidente di percorso»).
• «Vorrei averne non uno, di figli, ma anche cinque, dieci, anche una squadra di calcio. A me piacciono le famiglie numerose, mi piace il casino a tavola, il rumore dei piatti, dei bicchieri, proprio la famiglia. Però, siccome nella vita ho avuto tutto quello che potevo avere, ma ho il piccolo handicap di essere gay, avere un figlio non mi è concesso e me ne sono fatto una ragione».
• Religione: «Sono cattolico apostolico romano, non direi mai una bugia a Dio».
• Vizi: «Ho una passione per i simboli comunisti. Compreso l’eskimo e le Clark’s! Da ragazzo partecipavo ai collettivi, poi alle manifestazioni mi defilavo sullo shopping!». Era interista. Poi, con la scusa che ne disegnava le divise ufficiali, è diventato del Milan.
Stefano Gabbana Milano 14 novembre 1962. Dei due è quello alto e secco. «Il vestito che scandalizza non interessa più: che m’importa di vendere un pantalone con tre gambe? Riuscire a fare abiti che danno sensazioni nuove: questo è lo scandalo».
• Descrisse così gli inizi con Dolce: «Mangiavamo pasta in bianco e riso e latte, girando l’Italia in cerca di clienti con una macchina bucata. Il massimo del lusso, allora, era fermarsi alla fabbrica Bauli di Verona per mangiare il pandorino o all’autogrill Fini di Modena per i tortellini. Eravamo giovani, poverissimi ma completamente innamorati e felici».
• Famiglia veneta. Ha rivelato la sua omosessualità solo pochi anni fa: «La sciocchezza che ho fatto è stata di non avvisare i miei genitori, i miei fratelli, i miei parenti. E così mio padre e mia madre lo hanno saputo dal telegiornale. Soprattutto mia madre l’ha presa malissimo. Poi alla fine mi ha detto: ok, posso anche accettarlo, ma mi vergogno, che cosa gli dico ai vicini di casa? Ho dovuto spiegarle tutto, calmarla. Le ho detto: guarda, mamma, che io non sono un assassino, io non faccio del male a nessuno. Invece di amare una donna amo un uomo. Ma è sempre amore».
• Pronto a darsi del “jurassico”, ha spiegato che, fedele all’insegnamento ricevuto dai genitori, è nemico dei debiti e non ha mai avuto il “conto” «neppure dal panettiere» [Panorama, 7/1/2010].
• Il suo rapporto con Dolce: «Da quando non siamo più una coppia ci vogliamo molto più bene di prima perché l’amore senza sesso è ancora più puro e grande. Oggi continuiamo a fare le vacanze insieme e a condividere il portafoglio».
• «Vorrei un figlio mio, un figlio biologico, frutto del mio seme, da concepire con la fecondazione assistita, perché non avrebbe senso che io facessi l’amore con una donna visto che non la amo».
• Adora giocare a Monopoli e a carte, viaggiare, sciare e dipingere. Ama i cani, nel 2006 parlò dei suoi labrador, Dalì e Lola: «Li coccolo, li pettino, li vizio».