30 maggio 2012
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Biografia di Oliviero Diliberto
• Cagliari 13 ottobre 1956. Politico. Docente. «L’antipolitica è sempre di destra, anche quando pensa di essere di sinistra» [Gianni Santucci, Cds 8/9/2007].
Segretario del Partito dei Comunisti Italiani dal 2000. Si dimette a seguito delle elezioni del 2013, quando Rivoluzione civile (di cui era capolista in Emilia-Romagna) non supera lo sbarramento.
• Eletto alla Camera nel 1994 e 1996 con Rifondazione comunista, nel 2001 e 2006 col Pdci. Ministro della Giustizia nei governi D’Alema I e II (1998-2000: primo comunista a coprire quell’incarico dopo Gullo e Togliatti). Durante il Prodi II critiche anche dagli alleati per le sue consuete partecipazioni a manifestazioni di protesta (a favore della Palestina, contro la base Usa a Vicenza, contro il precariato ecc.): «Ci dev’essere un impegno a finirla di giocare con la piazza» (Romano Prodi).
• Alla vigilia delle politiche 2008, dopo una polemica con il Pd sulla scarsa presenza di operai nelle liste, cedette il suo posto di capolista in Piemonte a Ciro Argentino, tuta blu della ThyssenKrupp di Torino (dov’erano morti in un rogo sette lavoratori la notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007): operazione vana perché la Sinistra-l’Arcobaleno non superò lo sbarramento. Alla fine è tornato a insegnare Istituzioni di diritto romano alla Sapienza di Roma. «Io non sono mai stato un estremista. Negli anni Settanta, quando era di moda Lotta continua, ero nella Fgci. Sono sempre stato un equilibrato di sinistra».
• Un nonno capostazione. L’altro disegnatore del catasto. Una nonna copiatrice di carte giudiziarie. La madre (Lella) insegnante. Il padre (Marco) funzionario del consiglio regionale sardo, poi avvocato. Due fratelli minori, Alessio e Ludovica. «Viene da una famiglia moderata, ma il suo esordio è da extraparlamentare: “Nel 1969 entrai al Dettori di Cagliari, il liceo di Gramsci”. È il 1974: entra nei giovani comunisti a 17 anni, 24 mesi dopo è segretario provinciale cagliaritano e inizia il cursus honorum da dirigente. “Ero solo un dirigente di periferia. Il 1977 incalzava”. Finiti gli anni di piombo si arriva a un bivo: “Francesco Sitzìa, il mio professore e maestro, mi chiese di scegliere fra politica e università”. Lui sceglie: “Vado a specializzarmi a Roma prima, Germania poi. Dopo, studio anche a Parigi”. Diventa associato di Diritto romano. Ma la svolta della Bolognina lo riporta in campo. Contro la svolta di Occhetto, dunque, prima nella mozione Ingrao, poi al fianco di Cossutta» (Luca Telese).
• La rottura con Occhetto porta alla nascita di Rifondazione, con Cossutta e Bertinotti. Gli viene affidata la direzione di Liberazione, «dove si guadagna subito un nome di battaglia, Dili-beria (in assonanza con Lavrentij Berija, capo della polizia sovietica). Imbarazzato? “Macché, avevo scritto un corsivo pepato contro i trotskisti, e uno di loro, Grisolia, amichevolmente, mi affibbiò questo nomignolo”» (Telese), poi viene nominato capogruppo alla Camera.
• Nel 1998 non condivide, con Cossutta, la decisione di Bertinotti di far cadere il governo Prodi e mettere in crisi l’alleanza di centro-sinistra (Ulivo-Rifondazione). Nel Comitato Politico Nazionale del 2-4 ottobre 1998, al discorso del segretario Bertinotti che propone di non votare la legge finanziaria e far così cadere il governo, parla dopo Cossutta e denuncia la “mutazione genetica” del partito, afflitto da massimalismo demagogico. Quando la linea di Bertinotti vince, lui e Cossutta rompono con Rifondazione: è Diliberto, il 9 ottobre 1998, a pronunciare il discorso che conferma l’appoggio suo e dei suoi al governo e sancisce formalmente la fuoriuscita dal partito. Domenica 11 ottobre, al cinema Metropolitan di Roma, viene poi fondato il Pdci, di cui Diliberto diventa segretario alla fine dell’incarico ministeriale (2000).
• A lui si deve il recupero e il restauro della scrivania di Palmiro Togliatti in via Arenula «Quando sono arrivato al ministero, la scrivania l’ho fatta sistemare nella mia stanza. Non ho osato nemmeno sedermici». In seguito, vista la minaccia di eliminarla da parte del possibile successore Marcello Pera, l’ha nascosta: «La scrivania l’ho mimetizzata: l’ho fatta trasferire nella stanza di un funzionario del ministero, a sua insaputa» [Lib 29/11/2011].
• Assertore convinto dell’alleanza di centrosinistra prima e di sinistra poi: durante il biennio del governo Prodi, votò con i suoi il rifinanziamento delle missioni in Afghanistan – nonostante la linea contraria del partito – per non mettere a repentaglio l’alleanza. Caduto Prodi, si è battuto con convinzione perché i quattro spezzoni della sinistra non-Pd restassero uniti sotto il simbolo dell’Arcobaleno. Avrebbe anzi voluto convogliare in quel cartello anche i socialisti di Boselli.
• «Nel Pci il suo modello non era Berlinguer, vicino per ragioni di sardità, “ne ammiravo la sobrietà, la serietà, l’austerità”, bensì Amendola. “E sono rimasto amendoliano. Sono gli altri a essere cambiati. Badi che Amendola non era socialdemocratico, ma comunista. Non sarebbe vissuto tre minuti in Unione Sovietica, però si è sempre schierato con Mosca perché la considerava un contrappeso necessario a Washington. Ora si vede che aveva ragione”» (Aldo Cazzullo).
• A Daria Bignardi, che durante una puntata de Le invasioni barbariche, gli domanda se preferirebbe passare una serata alla villa Certosa di Berlusconi o al Billionaire di Briatore, risponde: «Al Billionaire, ma imbottito di tritolo».
• Da ministro della Giustizia fece trasferire la Baraldini in Italia che definisce come «Una persona il cui ritorno in Italia è fonte di gioia, soddisfazione e orgoglio». Nel febbraio 2007 grandi polemiche (anche a sinistra) per la sua frase: «Vado in tv per dire che Berlusconi fa schifo». Capo di un partito della coalizione di governo, attaccò il ministro dell’Economia: «Diffido di quelli che hanno due cognomi perché tendenzialmente non stanno con i lavoratori. Padoa-Schioppa (1940-2010) è un tecnocrate, non è stato eletto da nessuno e non deve, come noi, rispondere agli elettori». Nel novembre 2007, in visita al mausoleo di Mosca per i novant’anni della Rivoluzione d’Ottobre, propose: «Potremmo portare a Roma la mummia di Lenin se nella Russia post-sovietica di Putin il Cremlino decidesse di rimuoverla». Voleva che nel nuovo simbolo della Sinistra ci fossero falce e martello: sia Mussi sia Bertinotti dissero no. Con qualche difficoltà, e qualche scontro con Marco Rizzo e la Katia Bellillo (che ha disertato il voto: «Quello di Diliberto è centralismo autoritario»), nel luglio 2008 è stato rieletto segretario del Pdci. Da questa posizione ha lanciato l’appello al Prc per l’«unità dei comunisti».
• Nel 2012 fa discutere una sua foto davanti a Palazzo Chigi accanto a una signora che indossava una maglietta con su scritto «La Fornero al cimitero». In seguito si giustifica dicendo di non aver letto la scritta e che la signora era la madre di una sua alunna universitaria. La stessa Fornero ha espresso «sdegno e disgusto».
• «Da oltre dieci anni Diliberto è protagonista di una vicenda insieme rilevante e ignota: sta aiutando a scrivere l’intero Codice civile della futura prima potenza mondiale: la Cina. Futuri giuristi e giudici dei tribunali cinesi si stanno formando tra La Sapienza e Tor Vergata. Va in Cina almeno una volta l’anno e non si dà pace che ci sia un solo dottorando italiano in tutto il Celeste Impero (…): “nessuno ha ancora capito la portata di questa vicenda, è incredibile. Gli imprenditori italiani avranno gli stessi strumenti giuridici qui e a Pechino”» (Alessandro Giberti) [IL 22/8/2013].
• «Bella presenza, affabile, spregiudicato. Appassionato cultore di libri d’epoca e di film western (meglio se B-movie). Grandissimo consumatore di sigari toscani. I frequentatori del Transatlantico lo stimano come uno dei massimi esperti mondiali di Sergio Leone. È l’unico neocomunista che può rivaleggiare con Fausto Bertinotti per capacità mediatica e presenza video» (Pietrangelo Buttafuoco).
• «Granitico quanto a fede paleocomunista, ma delizioso quanto a passione e competenza bibliofila» (Giampiero Mungini) [Lib 12/3/2010].
• «Chi fa politica per tanti anni non può essere tanto buono».
• Pubblica I libronauti (Aliberti 2007): «Qualcuno accusa Diliberto di frequentare i cortei sbagliati ma credo che nessuno possa imputargli di frequentare le librerie sbagliate» (dalla prefazione di Umberto Eco). È l’unico italiano, con Giorgio Dell’Arti, a possedere la collezione completa della vecchia Bur (2487 numeri corrispondenti a 912 volumi), di cui ha curato il catalogo illustrato, Nostalgia del grigio. 60 anni di BUR, Biblohaus, 2009.
• Altri libri: Vicino Oriente (Aliberti 2005) e, con Fausto Sorini e Vladimiro Giacché, Ricostruire il partito comunista. Appunti per una discussione (Simple 2011).
• Fanatico de La Corazzata Potemkin (il film definito da Fantozzi «una cagata pazzesca»). Ha attaccato La vita è bella di Roberto Benigni («Nel film chi è che libera Auschwitz? Gli americani. Ma è un falso clamoroso. Viene cambiata la storia affinché il film possa essere venduto in America e, come è stato, vincere l’Oscar»), Centochiodi di Ermanno Olmi («ho criticato l’immagine dei libri inchiodati – non già il film in quanto tale – come diseducativa) ecc.
• Nel 1985 sposò Delia Cardia. Nel 1997 ha sposato Gabriella Serrenti, sua ex alunna: «Ma avevo 22 anni e lei 19. L’ho incontrata di nuovo molti anni dopo. In mezzo c’erano stati un altro matrimonio e una lunga convivenza. Non sono certo il tipo che si fidanza con le allieve, anche se è noto che amo molto le donne» (a Stefania Rossini). Del suo rapporto con Gabriella dice che è “tossico” («Se non la vedo per un po’, vado in astinenza»).
• Ha un blog su ilfattoquotidiano.it.
• Non ha figli.