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 2012  maggio 30 Mercoledì calendario

Biografia di Antonio Di Pietro

• Montenero di Bisaccia (Campobasso) 2 ottobre 1950. Politico. Fondatore e presidente onorario dell’Italia dei Valori (già presidente dal 1998 al 2013). Eletto al Senato nel 1997 (suppletive del Mugello con il 68 per cento dei voti, contro il 16 di Giuliano Ferrara), al Parlamento europeo nel 1999 e 2004, alla Camera nel 2006 e 2008. Ministro ai Lavori pubblici nel Prodi I (1996, si dimise dopo pochi mesi perché accusato di concussione, poi completamente scagionato), alle Infrastrutture nel Prodi II (2006-2008). «Sono geneticamente alternativo a Berlusconi».
• Ultime Tra il 2008 e il 2009 Di Pietro, intuendo la possibilità di ampliare il proprio bacino elettorale ai simpatizzanti dell’estrema sinistra privi di rappresentanza parlamentare e ai delusi del Pd, impresse al partito una “svolta a sinistra”, assumendo tra le questioni prioritarie quelle economiche e sociali, che si andavano così ad affiancare ai più tradizionali temi della giustizia e della cosiddetta questione morale. La missione fu coronata da successo: l’Italia dei Valori crebbe rapidamente nei sondaggi fino a sfiorare la doppia cifra, e riuscì anche a conquistare le simpatie degli ambienti più tradizionalmente di sinistra, come il sindacato (la Fiom-Cgil) e gli intellettuali d’area (tra gli altri, Gianni Vattimo e Claudio Magris).
• In vista delle Europee 2009 (6 e 7 giugno), accolse come indipendente nelle liste dell’Italia dei Valori Luigi De Magistris, il magistrato pm di Catanzaro salito alla ribalta della cronaca per la clamorosa inchiesta Why not (vedi DE MAGISTRIS Luigi). De Magistris ottenne però 415 mila preferenze, mentre Di Pietro si fermò a 396 mila: iniziava così tra i due un rapporto conflittuale, dissimulato da parte di entrambi ma costante e destinato ad acuirsi.
• In contemporanea al G8 de L’Aquila (8-10 luglio), acquistò un’intera pagina di pubblicità sull’International Herald Tribune, intitolandola «Appeal to the International Community: Democracy is in Danger in Italy» («Appello alla comunità internazionale: la democrazia è in pericolo in Italia»): «Una foto gigante dello stesso Di Pietro e il logo dell’Italia dei Valori. A fianco il messaggio. Quattro paragrafi per raccontare le vicende italiane degli ultimi mesi: dal Lodo Alfano, “senza il quale Berlusconi potrebbe essere condannato come corruttore di David Mills”, alla cena del premier con i giudici della Consulta Mazzella e Napolitano pochi mesi prima che la Corte si pronunci sulla costituzionalità del Lodo. Per questo, conclude Di Pietro, “l’Italia rischia di trasformarsi da democrazia a dittatura di fatto”» (Mauro Favale) [Rep 10/7/2009]. L’operazione ricevette numerose critiche, anche da parte degli alleati: il Pd se ne dissociò.
• In settembre l’Italia dei Valori fu oggetto di una severa inchiesta di Micromega (la rivista di Paolo Flores d’Arcais, a lungo solidale alle posizioni di Di Pietro) intitolata «C’è del marcio in Danimarca», fortemente critica nei confronti dei criteri adottati per selezionare la classe dirigente del partito. Poco dopo sulla medesima rivista apparvero, a firma di Salvatore Borsellino e Andrea Scanzi, dieci domande rivolte a Di Pietro e agli eletti dell’Italia dei Valori: «Il risultato è una lista di accuse, più o meno velate. I quesiti scomodi rimarcano come le personalità maggiori del partito siano due ex magistrati e chiedono se sia normale che il giustizialismo possa “diventare un assillo, quasi una devianza patologica”. Oppure si chiede “un’ulteriore spinta alla democratizzazione”, addirittura vengono evocate le primarie. Borsellino pone l’accento sui problemi della legalità all’interno del partito, come “i disinvolti salti da uno schieramento all’altro, che dimostrano una spiccata tendenza all’opportunismo e al trasformismo” e la scelta di essere “rappresentati da persone che non abbiano commesso neanche dei banalissimi abusi”» (Marianna Venturini) [Fog 10/11/2009]. Alcune tra le questioni più spinose, a lungo represse o passate sotto silenzio all’interno del partito, stavano ormai emergendo in piena luce: si moltiplicarono allora, a livello locale e nazionale, malumori, critiche e defezioni.
• Il 5 dicembre si tenne a Roma la manifestazione antiberlusconiana «No-B Day»: ufficialmente autoconvocata su Internet all’indomani della dichiarazione di incostituzionalità del Lodo Alfano da parte della Corte costituzionale (7 ottobre), fu di fatto attivamente promossa da Di Pietro, che vi fece aderire il proprio partito, e dall’estrema sinistra extraparlamentare. «Un’onda viola ha riempito piazza San Giovanni a Roma, con grida: “Fuori la mafia dalle istituzioni”, “Berlusconi dimissioni”, “Pussa via puzzone”, “Cosa nostra è cosa vostra”, “Donne, vi aspettano grandi carriere se darete la passera al Cavaliere”. I verdi si sono rifatti vivi con le scritte “Berlusconi radioattivo”, e alla marcia c’erano Dario Franceschini, Rosy Bindi, Nichi Vendola e Giovanna Melandri. Ma Di Pietro era la star» (Silvia Grilli) [Pan 22/12/2009].
• Otto giorni dopo, il 13 dicembre, Silvio Berlusconi subiva un attentato a Milano, in piazza Duomo. Di Pietro dichiarò: «Deploro l’aggressione, ma c’è un clima d’odio creato da chi ha in mano le redini del Paese e ne approfitta per fare i fatti suoi. Berlusconi con i suoi comportamenti e il suo menefreghismo istiga alla violenza». L’aggressore, Massimo Tartaglia, gli manifestò il proprio apprezzamento («dice cose giuste»).
• Tra il 5 e il 7 febbraio 2010 si svolse a Roma il primo Congresso nazionale dell’Italia dei Valori, indetto da Di Pietro allo scopo di affrontare e comporre le polemiche interne al partito. «Per il partito di Di Pietro si tratta di una prima volta. In dieci anni di vita l’Italia dei Valori non si era mai cimentata in un congresso e non solo per l’evidente carattere personale e carismatico del movimento, ma anche per effetto di uno Statuto che fino a una recente modifica aveva impedito una seppur minima dialettica interna. Sotto un involucro presidenzialista, lo Statuto dell’Idv ha espresso per diversi anni una sostanza aziendalista per via dei poteri assoluti attribuiti al “Presidente fondatore” (cioè Di Pietro), il quale è stato titolare “esclusivo” della “ripartizione” dei finanziamenti al partito, della “supervisione” sugli iscritti, della composizione delle liste, della possibilità di cambiare lo Statuto. E tutti questi poteri spettavano a Di Pietro “fino a sua rinuncia”. Teoricamente a vita. Il congresso è dunque chiamato ad una svolta democratica, ma sono tutti pronti a scommettere che nessuno metterà in discussione la leadership di Di Pietro, neppure con un diverso parere». Così fu: al termine del congresso, Di Pietro fu rieletto presidente per acclamazione e si annunciò la nuova linea del partito: «andare a caccia di alleanze, prima di tutto con il Pd e poi con tutta l’area della sinistra radicale oggi priva di rappresentanza. Puntare quindi al governo del paese. Di Pietro dichiara di aborrire la prospettiva di una condanna all’opposizione perenne e quindi vuole smetterla di affidare tutto alla piazza e alla protesta (definita “diarrea politica”)» (Giorgio Dell’Arti).
• Nel frattempo si andavano moltiplicando le campagne giornalistiche incentrate su alcuni punti oscuri della sua biografia o su certi suoi comportamenti di dubbia opportunità. Esse, però, non riuscivano quasi mai a uscire dai tradizionali confini della stampa di centrodestra (in particolare Il Giornale e Libero), e, quindi, a risultare realmente incisive presso l’opinione pubblica. «Pur se con le ossa rotte e l’immagine devastata, fra buchi neri e cattive frequentazioni, alla fine Antonio Di Pietro riesce sempre a uscire dai guai. L’unica “condanna” riguarda la so-spensione di tre mesi da parte del Consiglio nazionale forense che lo ha riconosciuto “colpevole” di illecito deontologico “per aver violato i doveri di lealtà, correttezza e fedeltà nei confronti della parte assistita”: che poi era il suo miglior amico di sempre, Pasqualino Cianci, accusato dell’omicidio della moglie. Non più magistrato, neo-avvocato, Di Pietro prese le difese dell’uomo a cui voleva tanto bene, ma che “tradì” passando con le parti civili che sostenevano l’accusa. L’immagine del leader dell’Idv di recente ha rischiato di offuscarsi per quel che si è detto e scritto sui suoi presunti rapporti coi servizi segreti (dalle foto insieme a funzionari della Cia al tavolo con l’indagato per mafia Bruno Contrada fino alle irrituali indagini alle Seychelles per dare la caccia al faccendiere Francesco Pazienza). S’è incrinata a proposito delle polemiche sui “viaggi americani” nel boom di Tangentopoli a fianco di personaggi (Leeden e Luttwak) considerati dalla sinistra italiana vicini all’intelligence a stelle e strisce. Contrada a parte, Di Pietro ha la sfortuna di finire spesso immortalato con persone poco raccomandabili: attovagliato sul Mar Nero, da europarlamentare Idv, assieme al boss bulgaro Ilija Pavlov, ucciso da un cecchino; eppoi è in piedi, abbracciato a vari commensali di un pranzo elettorale, fra cui il presunto boss della ’ndrangheta Vincenzo Rispoli. Personaggi scomodi. Come quell’Antonio Saladino che frequentò in più occasioni, considerato il deus ex machina dell’inchiesta Why not del collega Luigi De Magistris. Come il provveditore Mario Mautone, condannato a due anni nell’inchiesta Romeo, noto per le telefonate di raccomandazioni col figlio di Tonino, Cristiano, e per le tante versioni date sul suo conto dall’ex Pm in merito anche alla conoscenza dell’indagine quand’era ancora coperta dal segreto. Nel partito è cresciuta l’insofferenza per la gestione dei soldi, per alcuni candidati dai precedenti penali imbarazzanti. Qualcuno ha alzato la testa, altri se ne sono andati, molti sono arrivati. Si è detto di tutto e di più del patrimonio immobiliare di Tonino, ma alla fine giudiziariamente l’ex Pm ne è uscito sempre intonso. La realtà è sotto gli occhi di tutti: checché se ne dica, Antonio Di Pietro in tribunale non perde (quasi) mai» (Paolo Bracalini e Gian Marco Chiocci) [Grn 3/6/2010].
• Nuove polemiche giunsero a fine anno, quando, in vista dell’importante mozione di sfiducia al governo Berlusconi programmata per il 14 dicembre in seguito alla defezione di Gianfranco Fini e dei suoi, tre deputati eletti tra le file dell’Idv (Americo Porfidia, già dal gennaio 2009 approdato al gruppo Misto, e soprattutto Antonio Razzi e Domenico Scilipoti, rimasti fino a quel momento nel partito di Di Pietro) passarono nella maggioranza di centrodestra, contribuendo a costituire quel gruppo parlamentare (denominato prima Iniziativa Responsabile, poi Popolo e Territorio) che sarebbe risultato numericamente determinante nel tenere in vita il Berlusconi IV. Di Pietro stigmatizzò subito come «traditori» i suoi ex compagni di partito, giungendo a dire che avrebbero meritato, «metaforicamente parlando, l’albero di Giuda».
• Si rinfocolarono allora, da più parti (soprattutto Luigi De Magistris e Sonia Alfano all’interno del partito, e Paolo Flores d’Arcais dalle pagine di Micromega), le critiche alle modalità con cui Di Pietro aveva selezionato la classe dirigente dell’Idv, e per il partito iniziò una fase declinante rilevabile anche nei sondaggi. «Di Pietro, però, non ha nessuna intenzione di cedere sulla questione morale, né di offrire spazio allo scalpitante De Magistris, che vuole disperatamente entrare nel Parlamento italiano prima di sferrare l’attacco finale e cercare di prendersi l’Italia dei Valori. Di Pietro, in più, ha pure capito che, con il Pd che guarda solo dalla parte di Pier Ferdinando Casini e lo vuole emarginare, non ha futuro e rischia di dover andare da solo alle prossime politiche» (Antonio Calitri) [Iog 30/12/2010]. Provò quindi a riavvicinarsi a Beppe Grillo e al suo Movimento 5 Stelle per rifondare insieme a lui il “fronte dell’intransigenza”, ma l’operazione non riuscì, per la contrarietà di Grillo.
• Le Amministrative 2011 (15 e 16 maggio) confermarono un calo di consensi per l’Idv, ma decretarono al contempo l’inaspettata vittoria di De Magistris alle comunali di Napoli. Di Pietro reagì riconoscendo la complessiva flessione elettorale e dichiarando che la stagione della protesta aveva fatto il suo tempo, mentre era ormai giunta l’ora di costruire una nuova prospettiva di governo insieme a Pd e Sel.
• Parziale riscossa giunse dalla vittoria del fronte del «Sì» ai referendum abrogativi del 12 e 13 giugno (contro la liberalizzazione dei servizi pubblici e del servizio idrico, la reintroduzione del nucleare e la legge sul legittimo impedimento del presidente del Consiglio e dei ministri), a lungo attivamente promossi e sostenuti da Di Pietro.
• Alla tradizionale Festa nazionale dell’Italia dei Valori, che si tenne a Vasto (Chieti) dal 16 al 18 settembre, parteciparono sia il segretario del Pd Pierluigi Bersani sia quello di Sel Nichi Vendola: in tale occasione Di Pietro, Bersani e Vendola furono immortalati mentre procedevano sorridenti e a braccetto in mezzo alla folla, in quella che divenne presto nota come «la foto di Vasto», icastica rappresentazione del progetto di coalizione governativa di centrosinistra a lungo perseguito dai tre capi di partito, nella prospettiva di elezioni politiche sempre più spesso date per imminenti.
• Assai breve fu però l’idillio. Mentre dapprima, a metà novembre, alla caduta del Berlusconi IV, Di Pietro si lasciò convincere da Bersani a conferire, insieme al Pd, la fiducia iniziale al nuovo governo di Mario Monti, ben presto si sfilò però dalla maggioranza parlamentare, assumendo posizioni sempre più ferocemente critiche nei confronti del nuovo presidente del Consiglio e del suo esecutivo (fino ad addebitargli la responsabilità morale dei suicidi legati alla crisi economica, e a definirlo «peggiore di Berlusconi»): e proprio l’opposizione a Monti, se lo allontanò progressivamente dal Pd, sembrò avvicinarlo per qualche tempo a Sel di Vendola, tanto da prefigurare una sorta di alleanza strategica tra i due, che avrebbe dovuto tenerne unite le sorti anche al momento delle elezioni. Nel medesimo periodo però Di Pietro alzò sempre più i toni dello scontro anche con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (soprattutto nell’ambito della grande polemica originata dall’inchiesta palermitana sulla cosiddetta «trattativa Stato-mafia»: vedi, oltre a NAPOLITANO Giorgio, INGROIA Antonio e MANCINO Nicola), in un crescendo polemico che, oltre ad aumentare le distanze col Pd, contribuì ad allentare il legame con Sel: il partito di Vendola, pur continuando a dichiarare la propria netta opposizione nei confronti del governo Monti, si riavvicinò gradualmente al Pd, lasciando così Di Pietro al proprio destino. Tale assetto (Pd e Sel alleati, Idv isolata) fu d’altronde determinato anche dalle pressioni esterne di Pier Ferdinando Casini, il cui ingresso in una futura maggioranza di centrosinistra all’indomani del voto veniva considerato sempre più probabile e necessario: il segretario dell’Udc infatti non smise mai di dichiararsi incompatibile con Di Pietro, mentre, con l’approssimarsi delle elezioni, curò di rendere sempre meno netto il proprio veto nei confronti di Vendola, fino ad accettare di fatto l’idea di un’eventuale alleanza di governo tra Pd, Sel e Udc.
• Emarginato dalla nascente coalizione di centrosinistra e apprezzato ma tenuto a distanza da Grillo, nel corso del 2012 Di Pietro finì per avvicinarsi sempre più alle formazioni della sinistra extraparlamentare, come la Fiom-Cgil di Maurizio Landini, il Prc di Paolo Ferrero e il Pdci di Oliviero Diliberto: ad accomunarli l’opposizione al governo Monti in merito alle politiche economiche e sociali, e in particolare contro le modifiche da esso apportate all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori sulla libertà di licenziamento, per abrogare le quali promossero tutti insieme l’indizione di consultazioni referendarie.
• Decisivi, per la carriera politica di Di Pietro, furono gli avvenimenti del mese di ottobre. Prima lo scandalo legato al nome del suo fedelissimo Vincenzo Maruccio, segretario regionale e capogruppo dell’Idv alla Regione Lazio dapprima accusato di peculato per essersi appropriato di circa un milione di euro di fondi destinati al partito e poi sospettato di aver stretto un accordo elettorale con esponenti della ’ndrangheta: «Questo Vincenzo Maruccio non si direbbe propriamente caduto dal cielo. Ha fatto pratica ed è avvocato nello studio Scicchitano a Roma, lo stesso dove Di Pietro ha il domicilio professionale (per restare iscritto all’Albo). Questo Maruccio ha difeso in un paio di cause il nostro ex pm. Lo ha scorrazzato, da ragazzo di bottega, mettendosi al volante dell’auto, quasi come un Belsito in erba. È stato imposto dal capo – a 31 anni, nel 2009, senza aver sostenuto probanti sfide politiche – all’assessorato regionale nella giunta Marrazzo. Un enfant prodige. Un ometto di fiducia» (Mattia Feltri) [Sta 11/10/2012]. Poi, il 28 ottobre, una devastante puntata di Report (Rai Tre) curata da Sabrina Giannini e intitolata «Gli insaziabili»: «In un servizio molto accurato, preparato nel corso di più di un mese, sono emerse almeno tre vicende inattese, soprattutto per chi, come Di Pietro, si è fatto sempre paladino delle regole e della responsabilità politica ancor prima di quella penale. La prima storia riguarda la gestione dei rimborsi pubblici indirizzati all’Idv. Tra il 2000 e il 2007 decine di milioni di euro non sono stati trasmessi direttamente al partito, ma – caso unico – ad una associazione parallela composta da tre sole persone, Tonino, sua moglie e Silvana Mura. Interrogato a bruciapelo sul perché la moglie fosse sua socia nell’Associazione che controllava la cassa, Di Pietro ha risposto testualmente: “Ma guardi che mia moglie... non è, non è... mia moglie. È una signora che c’ha una sua testa, è... una sua politica e una sua esistenza”, come se il problema fosse l’intelligenza della signora. Quanto alla moglie di Tonino, alla giornalista di Report che ha cercato di intervistarla, le telecamere hanno immortalato la “fuga” e il rifiuto di rispondere. La seconda vicenda attiene invece ai soldi donati nel 1995 dalla signora Borletti a Romano Prodi e a Tonino Di Pietro per il progetto dell’Ulivo. Alla giornalista di Report Sabrina Giannini che gli chiedeva come abbia utilizzato il miliardo di lire ricevuto, il leader dell’Idv ha risposto: “La parte che mi ha dato in donazione, l’ho usata... personale. Me l’ha data a livello personale”. Subito dopo, la risposta del Professore: “Non ho mai pensato che li avesse dati a me, per la mia bella faccia”, ma semmai al movimento dell’Ulivo. La terza questione riguarda il patrimonio immobiliare della famiglia Di Pietro, che secondo Report sarebbe aumentato a partire dal 2000», fino a raggiungere il numero di cinquantaquattro tra case, terreni, cantine e garage (Fabio Martini) [Sta 31/10/2012].
• «La puntata di Report che ha macchiato la reputazione del partito di Di Pietro è stata la consacrazione simbolica di un declino. E insieme l’applicazione feroce della legge del contrappasso. L’uomo che ha fatto la propria fortuna politica come fustigatore della corruzione trattato come un leader che gestisce il partito come un affare di famiglia, un’agenzia immobiliare, con un’identificazione eccessiva tra i fondi del partito e la figura del Capo (e dei suoi cari). Un contrappasso durissimo: vent’anni fa, incalzato dall’interrogatorio martellante dell’allora pubblico ministero Di Pietro, Forlani vide la sua carriera politica finire in tv con una bavetta alla bocca che certificava il rito di degradazione di un politico potente trascinato nel fango. Oggi in tv, a subire l’onta di un personaggio pallido e impaurito, in difesa, in affanno, di fronte alle domande non di un pm in toga, ma di una giornalista, è proprio lui, Antonio Di Pietro. La storia che si rovescia nel suo contrario» (Pierluigi Battista) [Cds 2/11/2012].
• Immediato e clamoroso fu lo scandalo, sia all’interno del partito (tra i più critici il capogruppo alla Camera Massimo Donadi e il sindaco di Napoli Luigi De Magistris, che di lì a poco sarebbe uscito dall’Idv per fondare il suo Movimento Arancione) sia, per la prima volta, presso l’opinione pubblica, e il suo stesso elettorato. Di Pietro dovette così indire un nuovo congresso, fissandolo per la primavera 2013, successivamente alle elezioni politiche. L’analisi a caldo di Di Pietro: «L’Italia dei Valori è finita domenica sera, a Report. Mediaticamente siamo morti. Siamo vittime di un killeraggio, di un sistema politico e finanziario che non ha più bisogno di noi. Ho commesso tanti errori, lo ammetto. Chiedo scusa, e ricomincio. Ma su questi fatti sono perseguitato» (a Carlo Tecce) [Fat 1/11/2012].
• In mezzo a tale tempesta, l’unico salvagente giunse a Di Pietro – o, più realisticamente, al suo elettorato, deluso e bisognoso di nuovi punti di riferimento – da Beppe Grillo, il quale, dopo una lunga e dettagliata serie di rilievi critici sul suo operato, riconobbe in lui un uomo «onesto», «l’unico in Parlamento che si è opposto in tutti questi anni al berlusconismo», giungendo addirittura a candidarlo per il Quirinale: «Il mio auspicio è che il prossimo presidente della Repubblica sia Antonio Di Pietro, l’unico che ha tenuto la schiena dritta in un Parlamento di pigmei». Ciononostante, Grillo continuò a rifiutare un’alleanza tra Idv e Movimento 5 Stelle in vista delle imminenti elezioni.
• Alle Politiche 2013 (24 e 25 febbraio) l’Idv, ancora guidata da Di Pietro, si presentò sotto l’insegna di Rivoluzione Civile (Rc), lista elettorale autonoma presieduta dal magistrato Antonio Ingroia nella quale, oltre all’Idv e ad Azione Civile dello stesso Ingroia, erano confluite numerose formazioni della sinistra radicale, dai Verdi di Bonelli al Movimento Arancione di De Magistris, dalla Rete di Orlando al Prc di Ferrero e al Pdci di Diliberto. La lista fu però nettamente bocciata dagli elettori (2,25% dei voti alla Camera, 1,79% al Senato), tanto che non riuscì a conquistare neppure un seggio parlamentare (Rc si sarebbe poi ufficialmente sciolta un paio di mesi dopo). Enorme, invece, il successo del Movimento 5 Stelle di Grillo.
• «Di Pietro è un uomo antropologicamente di destra, ma da quella parte non poteva andare perché c’era Berlusconi. Dovette spostarsi a sinistra. Ma si trovò sempre a disagio, anche perché gli apparati, memori di Mani pulite, lo detestavano. Se c’era uno cui picchiare in testa, era Di Pietro. Così di passaggio in passaggio è finito dalle parti di Ingroia, a sinistra della sinistra. L’avvento di Grillo l’ha spiazzato definitivamente» (Massimo Fini) [Fat 6/4/2013]. «Grillo ha letteralmente cannibalizzato l’Idv. L’ha preso e spolpato. Qualcuno forse ricorderà che nel novembre scorso il comico-politico aveva lanciato il nome di Antonio Di Pietro come un possibile presidente della Repubblica. Lì per lì sembrò una boutade. Vista con il senno di poi, era il lancio di un’Opa» (Francesco Grignetti) [Sta 26/2/2013].
• Il 26 febbraio Di Pietro si dimise dalla presidenza dell’Italia dei Valori (imputerà però al Pd il proprio fallimento: «Se Bersani fosse stato meno ingordo, noi saremmo nel centrosinistra e tutto questo casino non sarebbe successo»). Tra il 28 e il 30 giugno si tenne a Roma il Congresso straordinario dell’Idv, e, sulla base delle preferenze espresse dagli iscritti presso le federazioni locali o tramite Internet, elesse a grande maggioranza nuovo segretario Ignazio Messina, ex responsabile degli enti locali del partito e uomo di fiducia di Di Pietro. Nel discorso d’insediamento egli dichiarò che il partito «non può prescindere da Antonio Di Pietro, che ringrazio per tutto ciò che ha fatto e che desidero al mio fianco nel nuovo incarico che ho l’onore di ricoprire. Se siamo qui, nonostante le difficoltà che abbiamo vissuto, lo dobbiamo a lui».
• «Non ho niente da rimproverarmi. Al di là del dispiacere per chi ci ha usato e poi sputato in faccia, ho commesso solo due errori strategici, che in ogni caso rifarei di corsa. Il primo è non avere appoggiato il governo di Mario Monti, un ragioniere che ha fatto pagare il conto ai più deboli e onesti. E il secondo non avere taciuto sull’arroganza con cui l’ufficio di presidenza della Repubblica ha gestito il caso della trattativa Stato-mafia. È da questo uno-due che sono partiti la defenestrazione e l’isolamento dell’Idv dalle istituzioni» (a Riccardo Bocca) [Esp 12/7/2013]. Ha quindi annunciato una causa civile contro Report e la conduttrice Milena Gabanelli, per ottenere «una sentenza nella quale c’è scritto che alcuni fatti riferiti in trasmissione sono falsi al cento per cento» [ibidem].
• Nel febbraio 2014 indossò nuovamente la toga per assistere in qualità di avvocato l’Italia dei Valori, che aveva chiesto di potersi costituire parte civile nel processo per la presunta compravendita di senatori che avrebbe coinvolto Silvio Berlusconi, Valter Lavitola e l’allora senatore Idv Sergio De Gregorio, già reo confesso (vedi DE GREGORIO Sergio). Tale richiesta fu però poi rigettata dal Tribunale di Napoli, che quale parte civile ammise unicamente il Senato della Repubblica.
• Pur definendosi un «semplice militante» del partito, ha annunciato la propria candidatura alle Europee 2014.
• Vita Figlio di Peppino e Annina Palma, contadini («erano una mente e un corpo, quattro braccia che lavoravano in campagna e chi arrivava prima metteva il piatto in tavola: non esisteva il ruolo uomo-donna»). Una gemella, Angelina, morta a quattro anni per un’emorragia cerebrale, altre due sorelle. «Quando andavo a scuola non potevo giocare con i figli di quelli che non venivano in chiesa, con il figlio del muratore, perché era comunista. La mia era una famiglia cattolica, anzi direi ecclesiastica, piena di parenti preti e suore in giro per tutto il mondo, dalla Bolivia al Paraguay. Io stesso sono stato anni in seminario» (ad Aldo Cazzullo) [Cds 23/11/2008]. Andato a Roma, frequentò la scuola superiore delle Telecomunicazioni (pagata facendo il muratore).
• Servizio militare a Chieti, per 15 mesi fu istruttore delle reclute nel locale reparto di fanteria. Nel 1972 emigrò in Germania, operaio a Böhmenkirch in una fabbrica di posate. Poi, quello che ricorda come il momento più bello della sua vita: «Quando ho vinto il concorso al ministero della Difesa, ero emigrante in Germania. Ho portato a termine il mio turno di lavoro in fabbrica e a tarda sera ho caricato sulla macchina tutto ciò che avevo, compreso il materasso sul portabagagli. Fino a quel momento, il mio futuro era quello di emigrante che lavorava in fabbrica come un asino dalla mattina alla sera. Quel concorso è stata la mia rivincita. A mezzanotte ho chiuso la porta dell’appartamento in cui vivevo in Baviera e sono andato incontro al futuro» (a Giorgio Esposito) [N20 5/3/2009]. Fu quindi impiegato tecnico al ministero della Difesa dal 1973 al 1977.
• Nel 1978 si laureò in Giurisprudenza all’Università Statale di Milano («Mi sono laureato in tre anni perché dopo i 30 anni non avrei potuto più fare i concorsi. Studiavo di nascosto perfino da mia moglie. Mi vergognavo. “E se poi non ce la faccio?”. Mia moglie lo scoprì una notte. Mi sorprese sul water che studiavo». Berlusconi, durante una puntata di Porta a Porta, ha invece sostenuto che la laurea gli è stata data dai servizi segreti. Di Pietro l’ha querelato). Già segretario comunale nel comasco e commissario di polizia, nell’81 entrò in magistratura. Dall’85 al 1994 fu sostituto procuratore della Repubblica di Milano, nel 1992 avviò l’inchiesta di Mani pulite. «L’espressione Mani pulite nasce nell’ufficio di Di Pietro: dalle iniziali M e P (Mike e Papa) nell’alfabeto internazionale usato anche dai militari con cui comunicano in codice via radio il pm (Papa) e il capitano Roberto Zuliani (Mike) durante le prime operazioni, dall’arresto di Chiesa in poi» (Gianni Barbacetto) [Fat 17/2/2010].
• «Che tempi, quei tempi! Francesco Saverio Borrelli scriveva: “Ha capacità di lavoro e produttività eccezionali grazie a vigore intellettuale, memoria e resistenza fuori dal comune”. La Voce titolava: “Così eroe, così normale”. Maurizio Gasparri tendeva entusiasta il saluto romano: “È un mito: mejo lui del Duce”. Silvio Berlusconi gli rendeva omaggio: “Le mie televisioni sono al suo servizio”. Romano Prodi lo blandiva: “Quello lì dove va si porta dietro i voti come la lumaca il guscio”. Perfino Cesare Previti giurava: “Nel Polo l’accoglieremmo a braccia aperte”. Per non dire di Francesco Cossiga: “Ha le qualità morali per andare al Quirinale”. Tale era l’entusiasmo, per quel pm dai modi spicci che sbagliava l’accento su “inebètito” e sventagliava raffiche di “embè” e intimava alla sinistra di “non fare inguacchi”, che un sondaggio Cirm decretò che il 72% degli italiani lo avrebbe voluto accanto come compagno d’ombrellone e un altro sondaggio di Elle lo immortalò come l’uomo più sexy del pianeta dopo Harrison Ford. E quei discolacci di Cuore presero a incensarlo con una rubrica che imitava le copertine di Molino per la Domenica del Corriere e ogni settimana lo salutava agghindato come Superman e impegnato in imprese pazzescamente impossibili» (Gian Antonio Stella).
• «Durante gli anni di Tangentopoli io non capivo niente. Stavo dentro al tribunale venti ore al giorno, non leggevo i giornali, non guardavo la tv. Sapevo solo che dovevo correre, incastrarne quanti più possibile prima che gli altri mi fermassero. Da piccolo sognavo di scrivere un rigo nella storia del mio paese. Volevo contribuire a sfasciare un sistema vergognoso, immorale». Mani pulite fu «un gran lavoro di squadra. Io ero l’investigatore. Piercamillo Davigo era il tecnico che dava una veste giuridica alle malefatte che avevo scoperto: arrivavo nel suo ufficio, posavo i fascicoli sulla scrivania, e gli dicevo in dipietrese: “Ho trovato quindici reati di porcata. Ora tocca a te trovargli un nome”. Gherardo Colombo, con la Guardia di Finanza, si occupava dei riscontri al mio lavoro di sfondamento, rintracciava i conti correnti, trovava il capello nell’uovo» (ad Aldo Cazzullo) [Cds 21/07/2013].
• «Le prime accuse al pool di Milano di aver fatto un’operazione politica sono arrivate dalla sinistra, non appena si accorsero che indagavamo anche sui cassieri Pci-Pds, Renato Pollini e Maurizio Stefanini. È successo quando siamo andati a fare una perquisizione alla sede storica del Pci, in via delle Botteghe Oscure. Dovevamo capire che fine aveva fatto un miliardo di lire: il finanziere Sergio Cusani racconta che Raul Gardini l’ha portato a Botteghe Oscure. Piaccia o non piaccia, dunque, quel miliardo lì è entrato, anche se non siamo mai riusciti a sapere a chi è arrivato» [Antonio Di Pietro con Gianni Barbacetto, Il guastafeste. La storia, le idee, le battaglie di di un ex magistrato entrato in politica senza chiedere permesso, Ponte alle Grazie 2008].
• Si dimise dalla magistratura nel 1994 a conclusione della sua ultima requisitoria al processo Enimont: «Mi sono dimesso dalla magistratura per difendere il mio onore. Sono stato accusato di tutto: dall’attentato agli organi costituzionali fino alle molestie sessuali. Uscito pulito da tutto, e soltanto grazie alle mie forze».
• «Stavo a Roma per fatti miei, squilla il cellulare: sono Silvio Berlusconi e la chiamo dall’ufficio del presidente della Repubblica. Vorrei avere il piacere di incontrarla per proporle un incarico di governo. La proposta ha il pieno consenso del presidente, che è qui vicino a me. L’aspetto in via Cicerone, 40... Restai a bocca aperta, il capo dello Stato che ti chiede... Presi tempo, telefonai a Davigo che mi disse: da me è venuto La Russa ad offrirmi da parte di Fini l’incarico di ministro della Giustizia. Faccio chiamare Scalfaro da Borrelli. Dopo cinque minuti Davigo mi richiama e mi dice che Scalfaro non ha chiesto niente né patrocinato niente. Io ci metto due minuti per rifiutare l’incarico di ministro dell’Interno. Col senno di poi forse avremmo fatto meglio ad accettare. Io all’Interno, Davigo alla Giustizia: pam, pam, pam. Io ho detto no, e guardi non è facile rifiutare un incarico così. Ero forte, fortissimo e potevo invocare l’immunità, chiamarmi sempre fuori. Invece dodici minuti dopo che giunge l’avviso di garanzia, la famosa questione Pacini Battaglia, io mi dimetto anche da ministro dei Lavori pubblici. Dodici minuti, capito? Certo, ho sbagliato quando ho fondato i democratici senza Prodi. Hanno succhiato il mio sangue e poi mi hanno lasciato alla porta. Ho sbagliato a non dimettermi dal Parlamento quando mi dissociai dalla maggioranza e votai contro il governo Amato perché sapevo di che pasta è fatto quell’uomo. Nel mio intervento c’era scritto: esco dalla maggioranza di centrosinistra ed esco da questo Parlamento. L’ultima frase non l’ho letta, che fesso sono stato!» (ad Antonello Caporale).
• Molto attento alle nuove tecnologie, ha un sito internet fornito di blog e distribuisce filmati su You Tube. A marzo 2007 comprò un’isola virtuale su Second Life con l’idea di aprire una sede del suo partito: subito fu organizzato un sit in virtuale per contestarlo. In seguito è approdato anche a Twitter, perché «offre un contatto più immediato con la gente».
• A un anno dal voto sull’indulto (luglio 2006 – da lui contestatissimo: manifestò fuori da Montecitorio contro il governo di cui faceva parte, non voleva che fosse applicato anche ai reati finanziari, societari e di corruzione): «Oggi le carceri scoppiano nuovamente e chi si trova al loro interno sta male ugualmente. Un anno dopo, se dovessimo ritenere valide quelle motivazioni nobili che portarono il Parlamento a varare l’indulto, dovremmo rifare un nuovo provvedimento di clemenza. La verità è che all’epoca, un anno fa, fu fatto l’indulto anche per inconfessabili motivazioni ignobili».
• Stretta un’alleanza (apparentamento) col Partito democratico, la sua Italia dei Valori ottenne un ottimo risultato alle politiche del 13-14 aprile 2008: 4,3% (14 seggi) al Senato, 4,4 (28 seggi) alla Camera (il doppio dei voti del 2006).
• Strenua l’opposizione al governo Berlusconi: «La mano tesa di Berlusconi mi sembra come la zampa tesa dal lupo all’agnello», commentando l’apertura al dialogo di inizio legislatura tra Berlusconi e Veltroni.
• Tra i politici italiani è sempre stato quello più in sintonia con Beppe Grillo (e con la cosiddetta antipolitica): «L’anomalia non sta in un comico che fa politica ma in tanti politici che fanno i comici». L’8 luglio 2008 fu tra i principali animatori del «No Cav Day» di piazza Navona ma poi si dissociò dai toni più pesanti (vedi GUZZANTI Sabina).
• Ha sempre sostenuto le ragioni di Europa 7, che a partire dal 1999, vinte le assegnazioni delle frequenze televisive nazionali, rivendicò il proprio diritto di entrare al posto di Rete 4, fino a vedere riconosciute le proprie ragioni nel 2012 da parte della Corte europea di Strasburgo (vedi scheda su DI STEFANO Francescantonio). Conclusioni di Di Pietro: «La condanna che arriva dalla Corte europea dei diritti umani sul caso Europa 7 è solo la conferma dei danni prodotti da Berlusconi e dal suo governo».
• Pensionato dall’età di 45 anni: «Era la legge di allora e non potevo certo rifiutare».
• Il suo primo amore, tutto platonico, fu Anna: «Io ero ancora in seminario. Avevo 14 anni. E ho scoperto che non c’erano solo le tonache, c’erano anche le minigonne. Una delle ragioni per cui ho messo alle ortiche la veste talare furono proprio quei due occhi scuri e quei capelli neri neri che mi attiravano più del rosario». Nel 1973 sposò Isabella Ferrara, conosciuta «durante una delle ultime licenze da militare. Fu un matrimonio riparatore: apprese che era incinta nel febbraio del 1973 e si sposarono il 7 aprile successivo» (Filippo Facci) [Grn 30/12/2008]; ne nacque il figlio Cristiano (Vasto, Chieti, 1° ottobre 1973), dal 2013 vicepresidente del Consiglio regionale del Molise. Nel 1994 sposò l’avvocato Susanna Mazzoleni (Bergamo 1° settembre 1953), dalla quale aveva già avuto i figli Anna e Antonino: «alta, robusta, originaria di Rota Imagna, figlia di Arbace Mazzoleni, classe 1916, ex ufficiale dei carabinieri e rinomato avvocato: Susanna era un cremino di quella borghesia bergamasca che odia Milano e non ci vivrebbe mai, e per Di Pietro rappresentava un nuovo status sociale» (Facci) [ibidem]. «Mi sono sposato la prima volta a 23 anni con una brava ragazza del mio paese e non ha funzionato. Ma ho conosciuto la seconda moglie che non ero ancora nessuno. Anche se avevo già 35 anni, è lei la compagna che mi ha aiutato a crescere».
• Chiacchierata la sua amicizia con Ela Weber, entrambi hanno smentito ogni pettegolezzo. Nel 2008 uscite su Chi foto che lo ritraevano mentre saluta con un bacio una donna alta e mora (il settimanale titolava «Italia dei Calori»): «Ma quale scandalo, ero fuori da un ristorante dove abbiamo festeggiato il compleanno di Silvana Mura e bastava allargare l’obiettivo per riprendere altre venti persone intorno a me».
• Nel 2009 fu operato per un tumore, benigno, alla prostata. «Lo so che in Italia nessuno lo dice. Ma io non mi vergogno. Anche perché ho già fatto la prova del nove… ed è riuscita» (ad Aldo Cazzullo) [Cds 1/9/09].
• Critica «È il Roberto Baggio della politica: ha dribblato tanti ostacoli e, molto spesso, la coerenza» (Enzo Biagi).
• «Sono legioni quelli che, fatto un tratto di strada insieme, lo sfuggono come cosa non grata. Dopo l’uscita di Tonino dal pool di Milano, il suo capo, Borrelli, precisò: “Mai andati oltre il lei”. Il suo responsabile legislativo ai Lavori pubblici nel ’96, Mario Cicala, magistrato anche lui, abbandonò l’incarico dopo appena due mesi. Scomparsi in massa gli illusi della prima ora che credevano di combattere la battaglia della moralità: i Federico Orlando, i Willer Bordon, i Mirko Tremaglia. Nessuno ha mai detto con chiarezza cosa li abbia delusi. Ma da un accenno di un ex fedelissimo, Elio Veltri, si può arguire che a respingerli sia l’inveterata disinvoltura dell’autoproclamato moralizzatore. La stessa che da magistrato lo spinse ad accettare l’indimenticata Mercedes (auto che ebbe in regalo poco prima di lasciare la magistratura – ndr) e il prestito senza interessi di 120 milioni (ottenuto da imprenditori poi indagati – ndr)» (Giancarlo Perna).
• «È bravo, intelligente, generoso, l’unico che ha aperto veramente alle liste civiche. Ne ha inserito i rappresentanti dappertutto, dalla Lombardia alla Sicilia. Col tempo Di Pietro ha affinato la sua arte politica ed è diventato molto più sensibile alle questioni sociali» (Pancho Pardi).
• «Antonio Di Pietro è la kriptonite della politica italiana. Così come i frammenti del pianeta Kripton provocano gli effetti più strani su Superman, Di Pietro li produce sui reduci della prima Repubblica, sugli orfani di Craxi e sui loro servi, sui ladroni di Stato riverginati dai media» (Beppe Grillo) [prefazione a Ad ogni costo. Battaglie e proposte per un’altra Italia, Ponte alle Grazie 2010].
• «Di Pietro ha dimostrato sin dalle prime pubbliche apparizioni come procuratore una evidente vocazione alla vita politica» (Sergio Romano) [Cds 11/02/2009].
• «Non è un caso che sia finito pastorello nel presepio. La sua faccia è così innervata negli umori sbrigativi dell’integerrimo che subito è diventata parte del paesaggio nazionale. Nel risultato di cui godiamo le gesta troviamo la sceneggiatura di tutto un registro d’emozioni: guardingo e gigione al contempo, narciso e bisognoso di affetto, tenero e ruspante», «uno che starebbe a destra un minuto dopo che da destra se ne fosse andato via Berlusconi» (Pietrangelo Buttafuoco).
• «Se accendo la televisione e scorgo il viso avvinazzato del russo-siciliano ministro La Russa, o gli occhi rossi, il viso quasi suino, i brufoletti cosparsi con grazia sui lineamenti di Antonio Di Pietro, ho una sola tentazione: prendere il treno, e trasferirmi, per tutto il resto della mia vita, sulle rive del lago di Lucerna» (Pietro Citati) [Rep 2/4/2010].
• «La serie B è il suo destino di poliziotto, di laureato che non si vede, di piccolo magistrato coccolato da grandi mascalzoni, incline a note cadute di stile, e poi versato in una politica partitante e grottesca, tenuta in piedi da un giornalismo e da una politica grotteschi» (Giuliano Ferrara) [Fog 30/8/2012].
• «Di Pietro, come Bossi, è un propagandista e non un decisore. Fa di per sé un lavoro non politico: rappresenta una parte, una paura, una rabbia, che appartengono a tutti ma non possono diventare programma. Di Pietro è solo poliziottesco, scalda come l’ispettore Callaghan» (Filippo Rossi a Mattia Feltri) [Sta 17/12/2008].
• «Un figuro di cui penso tutto il male possibile» (Fabrizio Rondolino a Stefano Lorenzetto) [Pan 15/6/2011].
• «Antonio Di Pietro? Continuo a volergli bene, ma non solo è totalmente ignorante, ma pure un po’ cretino. Tuttavia io continuo a volergli bene...»; «Non ho mai creduto che Antonio Di Pietro, leader dell’Italia dei disvalori, detta anche il Partito di forche e manette, fosse un infiltrato dei servizi segreti nella magistratura, dato che mai e poi mai avrebbero arruolato uno che non sa parlare l’italiano» (Francesco Cossiga, 1928-2010).
• «È un uomo di violenza: il contrario di ciò che un politico dovrebbe essere e dovrebbe fare» (Silvio Berlusconi) [Cds 22/11/2008].
• «Esclusi i nazisti, Di Pietro è il politico più reazionario che esista su piazza» (Fabrizio Cicchitto) [Riccardo Barenghi, Sta 29/11/2008].
• Rocco Siffredi «lo vedrebbe bene su un set porno: “Sarà perché è molisano, ma secondo me ci darebbe dentro per davvero”» (Barbara Romano) [Lib 21/12/2008].
• Frasi «Da emigrante mandavo i soldi a casa; da muratore volevo fare il muro dritto; da poliziotto mi impegnavo per arrestare il delinquente di turno; da magistrato ho pensato che la legge fosse uguale per tutti. Ogni cosa l’ho vissuta con estrema intensità» [Esposito, cit.].
• «Ho galline, capretti, conigli, pulcini, piccioni, gallinacci. Li allevo e li mangio: non ho animali da compagnia e non sono il tipo che se li mette nel letto o li porta a fare lo shampoo. Quando è il momento, li metto in padella. È la cultura del contadino» [ibidem]. Ben diverso, qualche anno dopo, il tenore di un’intervista pubblicata su Vanity Fair pochi giorni prima delle Politiche 2013, al culmine di una campagna elettorale curiosamente contraddistinta da grandi professioni d’amore per gli animali da parte di quasi tutti i leader politici: in essa giunse infatti a sostenere che con gli animali «si riesce a comunicare più facilmente che con qualsiasi bipede pensante. Niente doppi fini, niente rapporti falsati. Io li guardo, penso ad alta voce, loro ascoltano. Meglio che passare anni in terapia con tanti bla bla sul lettino. Sono loro i miei psicoanalisti: i pulcini. Non prendetemi per matto, tra animali e uomo può nascere un feeling incredibile. Davanti ai loro occhietti neri l’ansia scompare. Tu li nutri, li allevi, li proteggi, loro sanno che prima o poi te ne servirai e magari per colpa tua faranno una brutta fine. E, a modo loro, ti ascoltano. Indifesi, perché sanno che sei la loro unica speranza. Sto con i pulcini e mi dimentico dell’ansia che a volte mi assale» (a Francesco Briglia) [Vty 20/2/2013].
• «A volte sono io, oggi, che chiamo “terrona” mia moglie, che è del Nord: quando fa troppo la chioccia con i figli. Forse si è troppo integrata lei, al Sud» (a Giulia Cerasoli) [Chi 18/1/2012].
• «Concussione o corruzione, sempre reato di porcata è».
• «Se sei un agnello, non ti conviene sederti al tavolo con il lupo».
• «Nella vita ci vogliono due condizioni per riuscire: un treno che passa e il coraggio di saltarci sopra».
• «Bisogna migliorarsi dal primo all’ultimo giorno della vita».
• «L’idea che ci sia un Dio è una cosa buona che non mi toglie nulla e mi dà tranquillità» (a Stefania Rossini).
• «Io penso che sia più importante farsi capire che saper parlare. Non mi sento inferiore a nessuno».
• «Non mi sono neppure accorto del Sessantotto: ero troppo impegnato a lavorare per arrivare a fine mese» [Antonio Di Pietro con Gianni Barbacetto, cit.].
• Per chiarire il proprio reale orientamento ideologico, ha raccontato che nel portafogli del padre «non c’era mai una lira, ma un’immagine della Madonna di Bisaccia. E due sole tessere. Lui le chiamava "il fascio di grano" e "la Libertàs". Erano della Coldiretti e della Dc. Non era proprio iscritto al partito: le davano insieme, d’ufficio. Io comunque vengo da lì. Dai cattolici, dai moderati. Ho studiato in seminario. Non sono un uomo di sinistra» (ad Aldo Cazzullo) [Cds 24/06/2011].
• «Tra me e Grillo c’è una sola differenza: io critico ma voglio costruire un’alternativa, lanciare un modello riformista e legalitario. Lui invece mira a sfasciare tutto e basta».
• «Poi in aula ci vado io e, a quello, lo sfascio» (su Silvio Berlusconi nel novembre 1994, al momento d’inviargli l’avviso di comparizione).
• «Sono intimamente convinto che la scelta politica di Berlusconi sia in realtà una scelta processuale».
• «Per Berlusconi i magistrati rappresentano ciò che gli ebrei rappresentavano per Hitler: razza infame da eliminare, anzi dementi da mandare nei manicomi» [Antonio Di Pietro con Gianni Barbacetto, cit.].
• Rapida antologia degli epiteti rivolti a Berlusconi nel corso degli anni: «piduista», «mafioso», «stupratore della democrazia», «serpente a sonagli», «diavolo», «magnaccia», «nazista», «fascista», «razzista», «antisemita», «satrapo», «Mussolini», «Hitler», «Pinochet», «Videla», «Noriega», «Dracula», «Nerone», «Pilato», «Erode», «Vanna Marchi».
• Familismo «I Di Pietros sono più che una famiglia, sono una saga. Una famiglia-partito, un partito gestito come una famiglia. Dove tutto è nelle mani di un presidente, Antonio, che gestisce ogni cosa con la ruvida autorità di un vecchio pater familias; e dove figli, nipoti, mogli, famigli, parenti dei famigli rappresentano la spina dorsale dei fedelissimi che tutto dispongono, dalla linea del partito ai rimborsi elettorali. Se politicamente l’Idv ha costruito la sua fortuna sull’ambizione di incarnare il nuovo, antropologicamente è un partito clan di tipo quasi arcaico, a tutti i livelli. Insomma: lui, la moglie di lui, l’amica di famiglia, l’ex compagno di lei, i figli di lui, la sua ex moglie, il nuovo compagno della ex moglie, la figlia della sorella, il cognato...» (Laura Maragnani, nel 2009) [Pan 15/1/2009].
• Immobili «Mattone, famiglia e partito. A volte i Di Pietros riescono a unirli tutti e tre, come nel caso della AnToCri. An come Anna, To come Toto, Cri come Cristiano, l’immobiliare di Tonino è ormai celebre. Nata nel 2003 con un capitale sociale di 50 mila euro, grazie ai prestiti infruttiferi del socio unico Di Pietro (1,2 milioni di euro in tre anni), è riuscita a comprare due grandi appartamenti a Milano e a Roma, uno in via Felice Casati e l’altro in via Principe Eugenio. Poi il padrone di casa Di Pietro ha affittato i due uffici all’Italia dei Valori, di cui Di Pietro è presidente, e con la pigione ha pagato le rate del mutuo. A dare il via al contratto è stato il tesoriere del partito, Silvana Mura. E proprio Mura, dal 2004 al 2006, era nel consiglio di amministrazione dell’AnToCri. Nulla di penalmente rilevante, s’intende. Ma dalla politica agli affari, dalle case al partito, il dato antropologico e umano è costante: la centralità del clan» [ibidem].
• Vizi «Parlo come mangio e la gente mi apprezza per questo».
• Si fa personalmente la rassegna stampa.
• In polizia praticò il judo (Silvio Di Francia: «Un torello che caricava a testa bassa, tutto fisico e poca tecnica»).
• Dopo cena fuma il sigaro.
• «Non sono mai entrato in un casinò, non ho mai giocato al Totocalcio, a poker o ai cavalli. Al massimo una partitina a briscola o a tressette» (a Giulia Cerasoli) [Chi 7/9/2011].
• «Bravissimo a fare il gioco dei mimi» [Vty 28/1/2009].
• In amore «non corteggio, faccio il gatto mammone, il pesce in barile. Butto l’amo e aspetto. Mi piace essere corteggiato» (a Claudio Sabelli Fioretti) [Amica 10/12/2002].
• Tifo Juventus: «Buffon. Un mito. Anch’io sono stato portiere, conosco il mestiere».