30 maggio 2012
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Biografia di Baldàsarre Di Maggio
• San Giuseppe Jato (Palermo) 19 novembre 1954. Pentito a suo tempo mafioso. Detto “Balduccio”. Detenuto. Nato da Andrea e Antonina Prestigiacomo. Separato, con figli, una compagna, Elisabetta Scalisi. Di professione meccanico, a scuola si è fermato alla quarta elementare.
• Con Giovanni Brusca (vedi scheda) erano cresciuti insieme (abitando sulla stessa via ed essendo lontanissimi parenti), finché, un bel giorno (all’inizio dell’81), il compagno di giochi di un tempo gli chiese di andare con lui a bruciare qualche macchina, e qualche mese dopo di andare da solo ad ammazzare un tale detto “Caino” (il nome non lo seppe mai). Venne l’inverno e una mattina il padre di Giovanni, Bernardo, lo invitò ad andare vestito a festa nella sua casa di campagna, in contrada Dammusi, senza dire perché e per come. Balduccio ci andò, e vi trovò, oltre a Bernardo e Giovanni, altri sette uomini d’onore (di cui quattro facevano di cognome Brusca), seduti intorno a un tavolo rettangolare, che gli dissero s’accomodasse, e poi lasciarono la parola a Bernardo. Due le domande (se i presenti gli erano simpatici, e se avesse relazioni con qualche femmina). Avuta risposta, Bernardo estrasse dalla tasca una pistola ed un coltello, che posò sul tavolo a mo’ di croce, si fece porgere da Balduccio la mano destra, gli punse l’indice con un ago e fece gocciolare il sangue su un’immaginetta sacra, che gli bruciò nelle mani, intanto dicendogli di ripetere con lui la formula di giuramento. Il rito terminò con le presentazioni («siamo tutti la stessa cosa»). Fu così che Balduccio venne combinato, senza nemmeno prima essere interpellato, e padrino fu Bernardo.
• Tutto andò bene finché Totò Riina non lo nominò sostituto capo mandamento di Bernardo (lui e il figlio essendo nello stesso periodo o detenuti o al soggiorno obbligato). Passati tre anni (era il 91), i due rientrarono e si fecero subito reintegrare nelle funzioni, ma temendo il prestigio che Balduccio si era guadagnato nel frattempo, chiesero a Riina di posarlo (farlo uscire da Cosa Nostra), con la scusa che aveva un’amante (circostanza vera, ma a tutti nota da nove anni). Ci fu una riunione in cui Riina ordinò a Giovanni di calmarsi il sangue e giurò a Balduccio che lo avrebbe sparato se avesse saputo che era uno sbirro. Capito che c’era una tragedia in atto contro di lui (secondo la migliore tradizione mafiosa si accusa il prossimo di cose non vere per farlo fuori), Balduccio pensò bene di mettersi al sicuro con la sua nuova compagna, prima a Novara, poi, nel maggio 92 (subito dopo la strage di Capaci), in Canada, e infine di nuovo a Novara (perché la sua compagna aveva la testa sempre ai parenti), dove l’8 gennaio 1993 fu arrestato, perché aveva con sé una pistola e un giubbotto antiproiettile. Incensurato, se la sarebbe cavata con poco, ma preferendo finire in galera che all’aldilà, dichiarò di essere un uomo d’onore, e trasferito a Palermo, il 13 gennaio, rese interrogatorio davanti ai pm Giuseppe Pignatone e Gioacchino Natoli: «A questo punto, io ho deciso di collaborare con le Autorità dello Stato, perché ho capito che in questo stava la mia salvezza». Grazie a lui, due giorni dopo arrestarono Totò Riina.
• Omicidi Più di dieci quelli ammessi il 13 gennaio (di cui non era minimamente sospettato), così elencati in ordine cronologico (ma avendone dimenticato la data): «di certo “Caino” in Roccamena; di certo Ala e di altra persona in Mazara del Vallo-Tre Fontane; di tre giovani sconosciuti, che accompagnavano una persona, pure uccisa, che mi venne detto essere Riccobono Rosario, in San Giuseppe Jato; di tale Grippi in San Giuseppe Jato; di certo Ignazio detto “ quararedda” in San Cipirello; di tale Sciortino in contrada Pietralunga di San Giuseppe Jato; di tale Ajavolasit in un bar di San Giuseppe Jato (in un periodo in cui Brusca Bernardo era già detenuto); omicidio commesso nell’Ospedale civile di Alcamo; dell’impiegato e del titolare di una pellicceria in Piana degli Albanesi; di tale Di Carlo Soluzzo detto “ petta”, in contrada Pietralunga di San Giuseppe Jato; di tale Dragotta in Partinico. Non riesco a collocare nel tempo, invece, l’omicidio di tale Baio Sasà, avvenuto in San Giuseppe Jato. Ho pure commesso altri omicidi, sui quali mi riservo di fornire in seguito precise notizie».
• Nel 96 era stato già ammesso al programma di protezione (in compenso il 24 aprile aveva ricevuto 500 milioni di lire in acconto), quando ne approfittò per tornare a San Giuseppe Jato, con altri due pentiti, Santino Di Matteo e Gioacchino La Barbera, per risolvere qualche pendenza a suon di pallottole. Scoperto, nel settembre 97, non ne fece mistero e il 13 ottobre finì di nuovo al gabbio (essendogli stato revocato il programma di protezione, il 23 novembre 98 ricevette un decreto ingiuntivo per la restituzione dei 500 milioni incassati). Nel 99 si fece venire una paralisi alle gambe e a un braccio (alcuni medici dissero di origine psicosomatica), ottenendo, il 7 marzo 2000, gli arresti domiciliari, a Buti, 7 chilometri da Pontedera, nel Pisano. Intercettato, fu arrestato di nuovo il 25 gennaio 2001, con l’accusa di traffico di droga (faceva tutto da casa, con l’aiuto della compagna, salvo sedersi sulla sedia a rotelle quando lo andavano a controllare i carabinieri, e se non lo arrestavano aveva già pronti i bagagli per fuggire all’estero).
• Il 3 giugno 2006 è stato condannato in via definitiva a 24 anni di reclusione per vari omicidi.
• Vero o no, chiunque almeno una volta ha provato a immaginare Andreotti scambiarsi un bacio con Totò Riina.
• Liberazione anticipata Il 30 luglio 2012 la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Firenze, che aveva respinto la sua istanza di liberazione anticipata, e ha rinviato gli atti allo stesso tribunale per nuovo esame (a cura di Paola Bellone).