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 2012  maggio 30 Mercoledì calendario

Biografia di Paolo Di Lauro

• Napoli 26 agosto 1953. Camorrista. Boss del clan omonimo.
• Detenuto al 41 bis. Latitante dal 1996, è stato arrestato il 16 settembre 2005.
• Alias Ciruzzo ’o milionario, dalla sera in cui il boss Luigi Giuliano lo vide sedersi al tavolo da poker e, nel farlo, lasciarsi cadere dalle tasche decine di biglietti da centomila lire (Giuliano esclamò: «E chi è venuto, Ciruzzo ’o milionario?»). Noto anche negli States come “little Ciro the millionaire” (Simone Di Meo).
• Sposato con Luisa D’Avanzo, dieci figli, di cui sei avviati nel clan (Cosimo, Vincenzo, Ciro, Marco, Nunzio, Salvatore). Uno, Domenico, è morto anzitempo, per aver preso male una curva in moto, e la sera stessa del decesso Paolo Di Lauro, ricevendo in visita un sottoposto disobbediente, Gennaro Marino, alias “Genny McKay”, ne approfitta per offrirgli da bere il proprio piscio al posto della birra (buttato giù senza fiatare).
• Inizia la sua carriera a metà degli anni Settanta, come sottoposto del boss di Secondigliano Aniello La Monica, che si fida talmente di lui da fargli tenere i libri paga del clan. Nell’82 Di Lauro decide di liberarsene per prendere il suo posto, e per realizzare il piano coinvolge i fedelissimi del boss (i fratelli Giuseppe e Antonio Rocco, Rosario Pariante, Raffaele Prestieri, e Domenico Silvestri), convincendoli che La Monica non sta ai patti, poiché trattiene per sé una somma superiore a quanto gli spetta. L’omicidio viene consumato il 1° maggio 1982: «La Monica venne attirato fuori di casa con una scusa. Gli dicono che deve vedere dei brillanti da acquistare, ma appena esce dal portone l’auto su cui viaggiava il commando lo investe in pieno… C’era pure Paolo Di Lauro… Cominciarono a sparare prima ancora che il corpo ricadesse a terra dopo l’urto (Antonio Rocco, interrogato il 12 ottobre 1994). La stessa fine tocca dopo poco tempo anche a Domenico Silvestri, che aveva partecipato alla spedizione. Di Lauro viene arrestato, ma rilasciato in poco tempo, perché non ci sono prove contro di lui. Solo dopo la pronuncia delle sentenze di assoluzione per i due omicidi, il 3 novembre 2004, Luigi Giuliano, pentito, ha raccontato: «Paolo Di Lauro ha ammazzato i suoi amici più cari, perché i camorristi fanno in questo modo. Per avere più potere ammazzano gli amici più cari. Ha ucciso Aniello La Monica e Domenico Silvestri, i suoi più cari amici d’infanzia, quelli con cui faceva il ladruncolo quando erano giovani e con cui è cresciuto dal punto di vista camorristico» (Gigi Di Fiore).
• La scalata si compie con la morte di Gennaro Licciardi (per ernia ombelicale, nel 1994). Approfittando del vuoto di potere, in poco tempo Di Lauro monopolizza il traffico di droga a Napoli, e ne fa il più grande mercato europeo, rifornendosi direttamente dai cartelli sudamericani (produttori) e alleandosi con i cartelli albanesi (distributori della grande rete).
• Il clan è organizzato come un’impresa, secondo il modello di azienda in multilevel (garantisce che, in caso di arresto e pentimento di qualcuno, la conoscenza sia limitata a singoli segmenti). Primo livello: dirigenti del clan controllano l’attività di traffico e spaccio attraverso affiliati diretti. Secondo livello: affiliati del clan trattano direttamente la droga, curando acquisto e confezionamento dello stupefacente, gestione degli spacciatori e relativo supporto legale in caso di arresto. Terzo livello: con mansione di capi-piazza, membri del clan coordinano pali e vie di fuga, e controllano i magazzini dove la merce è stoccata e tagliata. Quarto livello: gli spacciatori. Con questa organizzazione Paolo Di Lauro si garantisce un profitto pari al 500 per cento dell’investimento iniziale (per un fatturato di 500 mila euro al giorno) (Roberto Saviano).
• Avviata l’impresa del narcotraffico, Di Lauro deve preoccuparsi di reinvestire. I due settori merceologici più redditizi sono l’abbigliamento e la tecnologia. Le grandi griffe sfruttano la manodopera a basso costo gestita dalla camorra in Campania, in parte immettendo nel circuito legale i manufatti, in parte tollerando un mercato parallelo direttamente gestito dalla camorra, che vende gli stessi capi con marchio contraffatto, ma a prezzi accessibili (nella sua rete distributiva Di Lauro predilige la Francia, con negozi a Nizza, Parigi, in rue Charenton 129, e a Lione, in Quai Perrache 22). In Cina, invece, Di Lauro fa produrre apparecchi fotografici identici alle Canon e alle Hitachi, salvo apporre un altro marchio, per venderli nel mercato dell’Est Europa.
• Nel 1989 fonda l’impresa Confezioni Valent di Paolo Di Lauro & C. (che secondo lo statuto sarebbe cessata nel 2002, ma nel novembre 2001 è sequestrata dal Tribunale di Napoli). Oggetto sociale universale: commercio di mobili, prodotti tessili, carni, distribuzione di acque minerali, fornitura alimentare a strutture pubbliche e private, attività alberghiere, catene di ristorazione, compravendita di terreni, attività edilizia, apertura di centri commerciali. La licenza commerciale è rilasciata dal Comune di Napoli nel 1993, amministratore Cosimo Di Lauro, ma all’inizio della sua latitanza, nel 1996, Paolo Di Lauro cede le sue quote alla moglie Luisa.
• Trascorre in latitanza dieci anni (lo inseguono anche i servizi segreti, che scoprono il suo avvenuto ricovero in una clinica marsigliese), per tutti diventa il “Boss fantasma” (smaniando dalla voglia di vederlo, un affiliato si rivolge perfino al boss Maurizio Prestieri: «Ti prego, fammelo vedere, solo per un attimo, solo uno, lo guardo e poi me ne vado»).
• Ricompare per siglare il patto con gli scissionisti, che a forza di agguati hanno spezzato il monopolio del clan Di Lauro (a Secondigliano chiamati gli “Spagnoli”, sono gli uomini legati a Raffaele Amato, a vicchiarella, responsabile delle piazze spagnole, che cominciò a versare sempre meno capitale nella cassa del clan Di Lauro). Il patto, quattro i punti d’accordo, è diffuso a mezzo stampa sul quotidiano Cronache di Napoli, in data 27 giugno 2005: «Il territorio dovrà essere diviso in maniera equa. La provincia agli scissionisti, Napoli ai Di Lauro» (punto 2); «Gli scissionisti potranno servirsi dei propri canali per l’importazione della droga senza più ricorrere obbligatoriamente alla mediazione dei Di Lauro» (punto 3); «Le vendette private sono separate dagli affari ossia gli affari sono più importanti delle questioni personali. Se si verificherà una vendetta legata alla faida questa non farà riaccendere le ostilità ma rimarrà sul piano privato» (punto 4).
• Il suo ultimo nascondiglio è la casa di Fortunata Liguori, donna di un affiliato di basso rango (Napoli, via Canonico Stornaiuolo), dove i Ros lo arrestano, il 16 settembre 2005, dopo aver individuato la vivandiera che acquistava il suo pesce preferito, la pezzogna.
• Pochi giorni dopo l’arresto è tradotto in tribunale nell’aula 215, jeans, polo scura e Paciotti ai piedi, dalla gabbia parla solo per dire «presente», per il resto esprimendosi a gesti, occhiolini, sorrisi e ammiccamenti. Separato dal figlio Vincenzo, lo saluta, dopo anni che non lo vede, baciandolo attraverso il vetro blindato con le mani attaccate alla superficie trasparente. Senza la fede al dito, a domanda del figlio gli fa capire che gliel’hanno tolta i carabinieri, in realtà i due si sono comunicati chi è stato il traditore che ha portato all’arresto. Anello, in napoletano “aniello”, allude insieme alla fede tradita e ad Aniello, patriarca della famiglia La Monica, ucciso anni prima dal suo stesso figlioccio Paolo Di Lauro, e vendicato, secondo il clan Di Lauro, con la delazione di Edoardo La Monica, a sua volta torturato e ammazzato, a meno di ventiquattr’ore dall’arresto (tagliate le orecchie con cui ha sentito, cavati gli occhi con cui ha visto, spezzati i polsi con cui ha preso i soldi, tagliata la lingua con cui ha parlato). Solo a fine udienza Paolo Di Lauro ritrova la parola, quando l’avvocato chiede di autorizzare padre e figlio ad abbracciarsi («sei pallido», dice il figlio, e il padre risponde: «da molti anni questa faccia non vede il sole») (Saviano).
Ultime Il 12 aprile 2012 il figlio Cosimo è stato assolto in via definitiva per l’omicidio di Gelsomina Verde (vedi De Lucia Ugo). In primo grado, nel 2010, era stato condannato all’ergastolo e “Il Mattino” dava la notizia che, in attesa dell’appello, aveva staccato un assegno da trecentomila euro per la famiglia dell’uccisa.
12 giugno 2013, ore 5. È scattata l’operazione “Beluga”: cinquecento militari hanno circondato il Terzo Mondo, roccaforte de clan Di Lauro, ed eseguito 105 arresti.
Il 17 luglio 2012 è diventata definitiva la condanna a 29 anni di reclusione nei suoi confronti, per associazione camorristica e associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, nel ruolo di capo («indiscusso», a dire della Corte di Cassazione).
• Il 22 maggio 2014 condannato in via definitiva l’omicidio del cutoliano Giuseppe Frattini, detto “Bambulella”, ucciso e fatto a pezzi il 21 gennaio 1982 (il suo cadavere ritrovato in una Fiat 500 senza testa, cuore e mani).
Il figlio Marco, latitante dal 2004, attualmente ritenuto a capo del clan, dal luglio 2013 è sotto il mirino degli 007 americani, che hanno trasmesso al Dipartimento del Tesoro americano informative per segnalare la sua infiltrazione nell’economia della Grande mela.
Libri Simone Di Meo, L’impero della camorra. Vita violenta del boss Paolo di Lauro, Newton Compton 2008.