30 maggio 2012
Tags : Pippo Delbono
Biografia di Pippo Delbono
• Varazze (Savona) 1 giugno 1959. Danzatore. Attore. Regista. Autore. «Ha cominciato quando aveva 5 anni e faceva Gesù Bambino nel teatrino della parrocchia. Ha vissuto on the road sulle strade d’Italia e del mondo, ha studiato teatro in Oriente, nel mitico Odin Teatret in Danimarca, a Wuppertal con Pina Bausch. È “residente” nello Stabile di Emilia e Romagna. I suoi spettacoli si chiamano La Rabbia, Barboni, Il silenzio, Gente di plastica, L’Urlo. In Italia, dice Delbono, “sono passati quasi inosservati”. Ma riempiono le sale del mondo, soprattutto» (Cesare Martinetti).
• Nel 2012 debutta nella lirica con la regia di Cavalleria rusticana di Mascagni al San Carlo di Napoli: «lui e il suo attore-feticcio, Bobo si aggirano durante l’opera in platea e sul palco, spettatori partecipi di vicende individuali e collettive. L’idea è quella di assimilare “Cavalleria” a una tragedia rituale ambientata, come ha detto lo stesso Delbono, in un “luogo mentale”, astratto» (Jacopo Pellegrini) [il Foglio 1/8/2012].
• Parti minori al cinema con Luca Guadagnino (Io sono l’amore 2009), Bernardo Bertolucci (Io e te 2012), Marco Risi (Cha cha cha 2012). Nel 2014 è in uscita La pulce non c’è (Giuseppe Bonito), con Marina Massironi, ispirato a una storia vera, dove fa la parte del padre di una bambina autistica.
• «Madre insegnante, papà segretario d’ospedale (dopo aver deposto il violino, lui forse discendente di Paganini). Io amavo il teatro. Ho lasciato Economia e commercio a quattro esami dalla laurea. Ho condiviso arte, viaggi ed esperienze con un grande amico divenuto tossicomane, stroncato giovane. Un trauma. Nell’89 mi sono scoperto affetto da una malattia grave, con conseguente esaurimento nervoso. Pur figlio di madre cattolicissima, ho scelto un’altra spiritualità (lei mi diceva “Tutto passa perché Dio perdona” e andava a Lourdes). Ho avuto bisogno del teatro. Ho fatto pratica di nascosto, sono stato un ribelle in un corso del polacco Ryszard Cieslak, ho incontrato Pepe Robledo in un seminario, ho fatto un training all’Odin in Danimarca, da noi ho dato ripetizioni in una scuola per cuochi, ho frequentato danza, a Farfa ho dato grande fiducia a due donne, la Bausch e la Rasmussen, forti ma anche fragili. Gli uomini sono più chiusi, hanno paura di restare feriti, ma io amo il maestro che sa piangere, come in Madadayo di Kurosawa» (a Rodolfo Di Giammarco).
• David di Donatello per il lungometraggio Guerra, nel 2006 presentò alla Festa del Cinema di Roma il lungometraggio Grido dove interpreta «la parte di un tizio che ha la mia storia e che un giorno, durante un laboratorio nel manicomio di Aversa, ha conosciuto un piccolo uomo e sordomuto: Bobò» (da allora membro stabile della sua compagnia). «Oltre a lui ci sono Nelson, ex clochard che spicca sulla scena con il suo corpo disseccato e un’allure decisamente signorile, e il down Gianluca, ampio, morbido e paffuto come un Buddha» (Leonetta Bentivoglio).
• Nel 2012 firma alla regia Sangue, presentato al festival di Locarno, con una lunga intervista al brigatista Giovanni Senzani, «che senza batter ciglio e aggiungendo un delirante discorsetto sul tema “trattamento dei traditori nei movimenti rivoluzionari” racconta l’esecuzione di Roberto Peci, fratello del pentito Patrizio Peci. Non pago, evidentemente, di aver filmato la feroce esecuzione dopo il lungo interrogatorio dai lui personalmente condotto, riesce a dire cose come “anche per pietà, non abbiamo detto al prigioniero cosa stavamo per fare” (undici colpi di pistola)» (Mariarosa Mancuso) [Il Foglio 14/8/2013]. Il film riprende anche l’agonia della madre del regista sul letto di morte: «In Occidente è stato bandito il pensiero della morte. La morte rimane come paura, perdita, non come coscienza lucida del vivere».