30 maggio 2012
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Biografia di Roberto De Simone
• Napoli 25 agosto 1933. Compositore. Dopo aver studiato pianoforte e composizione con Tita Parisi e Renato Parodi, si è dedicato come etnomusicologo alla ricerca sulle tradizioni popolari del Meridione. È stato direttore artistico del Teatro San Carlo e direttore del Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli. Cavaliere delle Arti della Repubblica francese, dal 1998 è accademico di Santa Cecilia. Regista e autore dell’opera musicale italiana più significativa di questo dopoguerra: La gatta Cenerentola (Festival di Spoleto 1976). Tra i suoi saggi: Carnevale si chiamava Vincenzo, Il presepe popolare napoletano, La tarantella napoletana.
• Nel 2007, ricevendo il premio De Sica, commentò: «È un premio istituzionale importante per uno che è stato messo al bando dalla sua città, Napoli».
• «A Napoli, chi non fa parte della corte o della clientela è fatto fuori. Napoli è governata da una falange di personaggi che in realtà non fanno che continuare un sistema politico inaugurato da Bassolino e mantenuto per 15 anni»[Cds 24/8/2012].
• «Roberto De Simone ci ha ricordato che i cantanti della sua Turandot hanno rischiato di andare in scena senza calzature perché la ditta Pompei che le forniva era in credito da molto tempo» (Valerio Cappelli) [Cds 27/12/2013].
• «Uno dei più celebri, veri e completi musicisti italiani. Ma confinare quest’uomo nell’ambito della musica sarebbe un errore. Egli è compositore, regista, revisore o arrangiatore di musica antica e no; è esoterista; è studioso fra i primi delle tradizioni popolari; talché chiamarlo antropologo è il minimo che gli si debba; infine è scrittore d’alta sfera e polemista (...) Dopo i brillantissimi diplomi al Conservatorio di San Pietro a Majella, al giovane Roberto toccarono anni duri di ostracismo da parte del piccino establishment napoletano. A prescindere dai suoi atteggiamenti anticonformisti, credo spaventasse la sua inclassificabilità umana e politica: arcaico o post-moderno, di destra o di sinistra? Così per anni campò la vita facendo musica leggera, persino suonando nelle pizzerie (...) Il De Simone giovane, non ancor eruditissimo, conosceva per sapienza innata o per insegnamento famigliare e muliebre tradizioni antichissime e dimenticate. Non a caso, a onta d’una sua devozione napoletana e cattolica, non cristiana, per la Madonna e i Santi, egli è un sincretista religioso perché troppo gli costa scegliere, sacrificare al dogma una figura, un simbolo, ai quali sente di appartenere. La profondità del suo vibrare per un mondo magico-religioso più terragno e ctonio che elisio esclude ch’egli sia, come oggi è di moda, un esteta della religione. Intanto, fra perplessità e ironia di molti, De Simone incominciò, ma da musicista laureato, a interessarsi di musica folclorica raccogliendo, credo, in modo né sistematico né scientifico, ché non era il suo obbiettivo, un gran patrimonio di canzoni e canti para-liturgici campani e meridionali, affiancando ciò allo studio di quelle forme tardo-rinascimentali e proto-barocche che, per esser prodotto di musica colta e stampata, non meno sono apparentate alle pratiche dell’improvvisazione polifonica popolare. Nacque così all’inizio degli anni Settanta la Nuova compagnia di canto popolare, strumento dal Maestro coniato per interpretare e far conoscere quanto aveva scoperto e artisticamente elaborato. Il nome del complesso appare serioso e polveroso: in realtà il gruppo fu una vera rivoluzione anche sotto il profilo sociale del teatro. Ragazzi belli e, per lo più, brutti, nemmeno tanto puliti e, forse, intonati, si presentavano in scena quasi si divertissero. Davan voce a canti antichissimi e più moderni, tutti elaborati in modo che non potesse sospettarsi traccia di archeologia “musicologica”. Invocazioni al sole che apparisse, invocazioni di fecondità alla Terra delle oscure plebi rurali europee, canti di corporazione di puttane e lavandaie. Basta aver letto Catullo e Apuleio, conoscer qualcosa sui Misteri Eleusini, per sapere che, come in ogni rito arcaico, il terribile e l’oscenoarcaico si mescolano; e un rilievo fin allora sconosciuto, perché qui basantesi sull’antropologia religiosa, ebbero i convergenti temi dell’omosessualità, dell’androginia, della castrazione, del travestimento. Realtà rimaste fino a pochissimi anni fa misteriosamente quotidiane per Napoli e Palermo, forse per il mondo, ma di rado manifestate con tanta naturalezza fuor degli appositi ghetti. Ancora nella versione registrata su video della Gatta Cenerentola nella seconda stesura la scena delle cucitrici, tutti uomini travestiti, è preziosissimo documento della cadenza, dotata addirittura di aspetti di metrica quantitativa e di “portamenti” nel parlato, che da sola valeva a socialmente qualificarli» (Paolo Isotta).
• Vive solo. «Un cuore infartuato e un solo dente in bocca. Vive in affitto a due passi dal quartiere Sanità, dove le “famiglie” hanno ripreso da qualche tempo ad ammazzarsi per strada. Piano nobile del seicentesco palazzo appartenuto ai principi De Gregorio, trecento metri quadri senza riscaldamento, pavimenti di mosaico e buchi a terra coperti di cemento, alle pareti pitture barocche di santi decollati, vetrinette piene di statue di anime dannate tra le fiamme, arpe senza corde, un piano a coda coperto da un lenzuolo» (Concita De Gregorio).