30 maggio 2012
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Biografia di Luigi De Magistris
• Napoli 20 giugno 1967. Ex magistrato. Politico. Sindaco di Napoli dal 30 maggio 2011 (confermato il 19 giugno 2016 battento Gianni Lettieri al ballottaggio con il 66,8% dei voti). Fino al 2002 alla Procura di Napoli, poi sostituto al Tribunale di Catanzaro, si è occupato di molti casi di corruzione nella pubblica amministrazione, nel 2008 il Csm ha deciso il suo trasferimento dalle funzioni e dalla sede per insufficiente diligenza, correttezza e rispetto della dignità delle persone. Il 24 settembre 2014 è stato condannato in primo grado a un anno e tre mesi di reclusione per abuso d’ufficio nell’ambito dell’inchiesta Why Not. «Io sono una toga anarchica».
• Magistrato Protagonista delle inchieste Poseidone (250 milioni di euro che tra depuratori e altre opere inesistenti dovevano mantenere blu le acque di Calabria), Why Not (un presunto comitato d’affari politico-massonico che avrebbe munto decine di miliardi di fondi pubblici), Toghe Lucane (coinvolti 3 magistrati della Procura di Potenza e due di Matera). Liana Milella: «Le “colpe” sono presto dette. Il passo “ingiustificato e irrituale” di mandare a Salerno gli atti dell’inchiesta Poseidone che il procuratore gli aveva tolto. Non aver avvisato il capo di una perquisizione motivata con un decreto “abnorme”. Il pm “biricchino”, che “si muove con un codazzo di giornalisti”, avvisa i capi solo “lasciando il decreto sul tavolo con un post-it”». Francesco Grignetti: «Il Grande Accusatore, Vito D’Ambrosio, oggi magistrato di Cassazione, già Governatore delle Marche, aveva avuto parole durissime nei suoi confronti: “Guai al magistrato che pensa di avere una missione e perde di vista che il controllo di legalità è un mestiere. Partendo dall’autocontrollo”». Il trasferimento diventerà effettivo solo quando (e se) le sezioni unite civili della Cassazione lo confermeranno.
• Il padre Giuseppe, magistrato, condannò a 9 anni l’ex ministro Francesco De Lorenzo e s’occupò del processo Cirillo, svelando un intreccio tra Dc, camorra e servizi segreti; il nonno Luigi, procuratore del re, subì ben due attentati; il bisnonno Alfonso fu magistrato del Regno già nel 1860.
• Con l’indagine Poseidone, De Magistris ritiene di aver scoperto un “comitato d’affari” politico ed economico tra la Calabria, Roma e Bruxelles. Carlo Vulpio: «Parla di “nuova Tangentopoli” e la descrive come un più evoluto “sistema di rapina delle risorse pubbliche” rispetto a quella degli anni 90, sottolineando come, a differenza di quella, “questa sta rivelando sorprese rispetto a tutto intero lo schieramento politico”. Ma c’è di più. Alla politica, dice de Magistris, adesso si accompagnano “e fanno sistema con essa, anche l’economia, le istituzioni e gli apparati di controllo”. Anche la magistratura? “Sì, anche pezzi di magistratura, come più volte ho detto pubblicamente e denunciato nelle sedi opportune”». Nel marzo 2007 l’inchiesta gli fu tolta dal procuratore capo Mariano Lombardi. Decisione contestatissima. Francesco Viviano: «Lo hanno bloccato quando hanno appreso che quel “rompiballe” stava firmando gli ordini di cattura, indagando anche politici “eccellenti” ed amici di molti magistrati della Procura di Potenza e Catanzaro che sapevano e insabbiavano». Antonio Massari: «La situazione esplode con l’avviso di garanzia destinato al senatore Pittelli. Lombardi sottrae l’inchiesta al pm: non l’avrebbe avvertito. Ma c’è un fatto: la compagna di Lombardi è madre di Pierpaolo Greco, che è socio di Pittelli, nella “Roma 9 srl”. I sospetti sono pesanti». Il 21 settembre 2007 l’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella ne chiese il trasferimento d’ufficio. Milella: «“Troppe interviste”, con troppi dettagli e troppe polemiche. Troppi provvedimenti “successivamente bocciati dai giudici del riesame”. Troppi giudizi sui colleghi, “inopportuni e non motivati”, finiti negli atti d’accusa. Una gestione “caotica” degli uffici. “Litigi continui” tra capo e sostituto a discapito delle inchieste e degli imputati. Comportamenti che, in una parola, configurano “gravi violazioni deontologiche” nella gestione di più d’un processo, ma in particolare di quello sulle toghe di Potenza e Matera. C’è questo, e molto altro, nel dossier di 300 pagine e nell’atto d’accusa di sei cartelle con cui il Guardasigilli Clemente Mastella ha chiesto al Csm di trasferire in via cautelare il pm di Catanzaro Luigi De Magistris e il capo della procura Mariano Lombardi». Stando a «fonti investigative riservate», De Magistris era pronto a iscrivere il ministro nel registro degli indagati dell’inchiesta Why Not. Massari: «Nel registro degli indagati, a luglio, era già finito il premier Romano Prodi. L’accusa ipotizzata: abuso d’ufficio, relativo al periodo in cu Prodi era presidente dell’Ue. Nel mirino di De Magistris, però, erano finite anche alcune conversazioni telefoniche tra il ministro Mastella e alcuni indagati (tra i quali l’ex piduista Luigi Bisignani e Antonio Saladino, uomo della Compagnia delle Opere, ex direttore della società di lavoro interinale “Why Not”). L’attenzione di De Magistris si sarebbe concentrata sui contatti esistenti tra Saladino e Mastella, relativi all’eventuale gestione di appalti sull’informatica al ministero della Giustizia».
• Il 4 ottobre 2007 De Magistris si difese con un intervento nella trasmissione di Michele Santoro Annozero (vedi anche Clementina Forleo) che suscitò molte polemiche.
• Il 20 ottobre 2007 gli fu tolta anche Why Not, avocata dalla procura generale di Catanzaro. De Magistris: «Mi hanno bloccato. Ero in dirittura d’arrivo, entro dicembre avrei chiuso la parte più importante della inchiesta, quella sulla ricostruzione dei flussi di finanziamento. Ci sono riusciti, come del resto hanno fatto con l’inchiesta “Poseidone” che proprio sulla linea del traguardo mi è stata tolta». Giuseppe D’Avanzo: «Gli sottraggono una prima inchiesta, avocata dal procuratore capo. Il pubblico ministero si mette al lavoro su un’altra inchiesta. In un passaggio dell’indagine che egli ritiene decisivo, il ministro della Giustizia (le indagini raccontano che è in buoni rapporti con due degli indagati) chiede – come una nuova legge gli permette – il trasferimento cautelare del pubblico ministero a un altro ufficio. Sarebbe la definitiva morte dell’inchiesta. Il provvedimento amministrativo non convince il Consiglio superiore della magistratura che lo deve disporre. Non ne intravede l’urgenza, prende tempo, tira in lungo. Il pubblico ministero iscrive, allora, il ministro nel registro degli indagati: atto dovuto per l’esercizio dell’azione penale e soprattutto garanzia per l’indagato. Ventiquattro ore dopo, il procuratore generale avoca a sé - sottrae al pubblico ministero - anche la seconda indagine. Il passo è inconsueto e appare anomalo. Gli addetti ricordano, se hanno memoria buona, qualche modesto precedente di quindici anni prima. Le ragioni del procuratore generale stanno in piedi come un sacco vuoto. Se il motivo dell’avocazione è l’“incompatibilità” per l’“inimicizia grave” tra il pubblico ministero e il ministro indagato (ha chiesto la punizione del pubblico ministero, che ne è risentito), si tratta di una fanfaluca. Se si accetta il principio, qualunque indagato che denuncia il suo accusatore potrebbe invocare l’“inimicizia grave” e liberarsi del suo pubblico ministero. Cesare Previti, in passato e ripetutamente, ci ha provato. Non è andato lontano. Ci sarebbe - trapela dalla procura generale - un’altra ragione per l’avocazione delle indagini: l’inerzia del pubblico ministero. L’accusatore è fermo. Non va né avanti né dietro. Non esercita l’azione penale. Non richiede l’archiviazione “nel termine stabilito dalla legge”. Ora, l’inchiesta del pubblico ministero è nei termini stabiliti dalla legge (è un fatto) e di quel pubblico ministero tutto si può dire tranne che sia pigro o inoperoso (è un fatto). La seconda ragione appare, se possibile, anche più debole della prima e nonostante ciò il pubblico ministero perde l’inchiesta e il capo del governo e il ministro di Giustizia tirano un respiro di sollievo, si liberano di ogni controllo (che abbiano o no responsabilità punibili è un’altra storia, naturalmente)».
• Nell’aprile 2008 il gip di Catanzaro Tiziana Macrì ha archiviato la posizione dell’ex guardasigilli nell’inchiesta Why Not «perché mancavano assolutamente i presupposti per l’iscrizione di Clemente Mastella nel registro degli indagati e successivamente non sono sopravvenuti elementi nuovi» (il procuratore generale di Catanzaro Enzo Jannelli).
• Nel gennaio 2008 De Magistris si è dimesso dall’Associazione nazionale magistrati con una dura lettera d’accusa: «(...) Il mio modello è la Costituzione repubblicana, nata dalla resistenza. Il modello “castale” e del magistrato “burocrate” non mi interessa e non mi apparterrà mai, nessuna “quarantena” in altri uffici, nessun “trattamento di recupero” nelle pur nobili funzioni giudicanti, potrà mutare i miei valori, né potrà far flettere, nemmeno di un centimetro, la mia schiena (...)».
• Antonio Di Pietro ha fortemente smentito la voce che Walter Veltroni lo avesse dissuaso dall’idea di candidare De Magistris alle politiche 2008.
• L’inchiesta Why Not si è conclusa a ottobre 2013 con l’assoluzione in Cassazione di tutti i principali imputati: fu l’inchiesta più famosa di De Magistris e contribuì alla caduta del governo Prodi nel gennaio del 2008. Riguardava la gestione dei fondi pubblici della Calabria. Nell’inchiesta Why Not finirono sotto indagine tra gli altri il presidente del Consiglio Romano Prodi, l’allora presidente della Calabria Agazio Loiero e l’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella. Le indagini si chiusero alla fine del 2008, quando per Prodi e Mastella la procura generale chiese l’archiviazione: non c’erano elementi sufficienti nemmeno per arrivare ad aprire il processo. Nel frattempo l’inchiesta era stata tolta a De Magistris, spostato da Catanzaro a Napoli, e presa d’autorità dalla procura generale di Catanzaro. Ne seguì un conflitto tra procure. Nel settembre 2014 De Magistris è stato condannato per avrebbe ottenuto illegittimamente i tabulati telefonici di alcuni parlamentari, senza averne l’autorizzazione: per lui e per Gioacchino Genchi, consulente informatico, è stata anche decisa l’interdizione dai pubblici uffici per un anno, con la condizionale (pena sospesa). L’abuso d’ufficio non si riferisce alle intercettazioni effettuate nel corso dell’inchiesta Why Not, ma solo ai tabulati telefonici. «Nel 2007, su mandato del pm De Magistris, Genchi acquisì dalle compagnie telefoniche i dati su centinaia di tabulati, incappando anche in quelli di cellulari in uso, secondo l’accusa, a 8 parlamentari (Prodi, Mastella, Rutelli, Pisanu, Gozi, Minniti, Gentile, Pittelli). Di qui l’accusa di averli acquisiti senz’avere prima chiesto al Parlamento il permesso di usarli, violando la legge Boato e l’immunità dei suddetti» (Marco Travaglio) [Fat 26/9/2014]. «La difesa nel processo di De Magistris lascia senza fiato. Sarà stata solo una scelta processuale, ma che l’ex pm di Catanzaro ammetta di non aver esercitato alcun controllo sulla attività di un consulente è allarmante. Sin dall’incarico affidato al dottor Gioacchino Genchi: “Lo schema di incarico di consulenza mi fu sostanzialmente dato da lui che mi disse: ‘Questo è il tipo di incarico che in genere mi viene dato dai suoi colleghi di altre procure’”» (Guido Ruotolo) [Sta 26/9/2014].
• La legge Severino, varata nel 2013, prevede la sospensione dalla carica (articolo 11) in caso di condanna come quella di De Magistris. La sua reazione: «Se mi sospenderanno farò il sindaco in mezzo alla gente, scenderò in strada e starò con i cittadini»; «Qui ci sono persone che si nascondono dietro le vesti dello Stato, ma sono più criminali di quelli che stanno nelle gabbie. Mi chiedono di dimettermi, ma guardandosi allo specchio e provando vergogna devono dimettersi quei giudici. Siamo di fronte a uno Stato profondamente corrotto» (parlando in Consiglio comunale due giorni dopo la sentenza).
• Politico Nel 2009, dopo essersi dimesso dalla magistratura, si è candidato alle elezioni del Parlamento europeo come indipendente nell’Italia dei Valori: è risultato il secondo candidato più votato d’Italia dopo Silvio Berlusconi. Nello stesso anno è stato poi nominato presidente della commissione del Parlamento europeo preposta al controllo del bilancio comunitario.
• Nel gennaio del 2011 si è candidato a Sindaco di Napoli ottenendo l’incarico alle elezioni comunale di maggio dello stesso anno. Il favore dei cittadini partenopei è però durato poco: se inizialmente il suo operato ha ottenuto un riscontro positivo, nei mesi immediatamente successivi all’elezioni il malcontento è aumentato in maniera esponenziale, sfociando in manifestazioni e proteste che si sono concluse con un nulla di fatto.
• Il 22 luglio 2013 De Magistris, insieme al presidente della regione Campania Caldoro e al presidente della Provincia di Napoli Cesaro, è stato iscritto nel registro degli indagati nell’ambito dell’inchiesta sulla gestione dell’America’s Cup con l’accusa di turbativa d’asta e abuso di ufficio.
• Critica «È uno di quei personaggi la cui popolarità si deve a una distorsione tutta italiana che nasce dalla sensazione diffusa di vivere in un Paese con un tasso di ingiustizia insanabile dalla naturale fisiologia istituzionale e che richiede l’intervento di attori eccezionali che rompano la crosta dell’impunità» (Cesare Martinetti) [Sta 26/9/2014].
• «De Magistris è un prodotto televisivo di Santoro che ne intuì e ne valorizzò la natura di Masaniello: “sparami ’n pietto” è un uno dei suoi soprannomi, il petto in fuori e il coraggio virile del guappo, ma di buona famiglia. E infatti “guappo e mammete” è l’ennesimo nomignolo divertito, e forse perché quelle frasi narcise – “sono bello, piaccio alle donne, è un fatto che sta lì, oggettivamente lo constato” - solo le mamme del Vomero riescono a imprimerle nella psicologia di un figlio» (Francesco Merlo) [Rep 27/9/2014]
• «I napoletani, che in questo gioco sono maestri insuperabili, hanno appiccicato al loro incontenibile viceré (il sindaco Luigi De Magistris) un nuovo nomignolo. I primi li aveva elencati Aldo Grasso: “Giggino ‘a manetta” (da magistrato che incarcerava), “Giggino ‘o skipper” (omaggio all’America’s cap), “Giggino ‘o scassatore” (rottamatore), “Giggino ‘o floppe” (sta per flop), “Giggino ‘a promessa” (alla bulimia verbale, non sempre sono corrisposti i fatti), “Giggino ‘ncoppa a gaffe” (“Napoli è più sicura di Bruxelles”, per dirne una) fino alla sintesi: “Giggino io narcisindaco”. La collezione, dopo aver appreso che il sindaco di Napoli si è tenuto per sé ben 18 deleghe, si arricchisce con “Giggino ‘o factotum”» (Gian Antonio Stella) [Sette 8/11/2013].
• Vita privata Sposato con Mariateresa, due figli, Giuseppe e Andrea.