30 maggio 2012
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Biografia di Gianni De Gennaro
• (Giovanni) Reggio Calabria 14 agosto 1948. Poliziotto. Dal 3 luglio 2013 presidente di Finmeccanica (confermato dal governo Renzi nell’aprile 2014). Sottosegretario di Stato con delega ai servizi segreti nel governo Monti fino al 28 aprile 2013. Dal 2008 al 2012 è stato capo del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (nominato da Berlusconi). Per i primi sei mesi del 2008 è stato commissario per l’emergenza rifiuti in Campania (sostituito da Guido Bertolaso). Dal giugno 2007 capo di gabinetto del ministero dell’Interno. Dal 2000 al 2007 capo della polizia. Cavaliere di gran croce, nel dicembre 2006 fu insignito della Fbi Medal for Meritorius Achivement, un riconoscimento per meriti eccezionali mai attribuito prima a qualcuno che non fosse cittadino degli Stati Uniti: «È stato uno dei primi a capire che la miglior risposta al crimine ormai senza confini era quella di una cooperazione senza confini tra le forze di polizia. Oggi quelle strategie create per combattere Cosa nostra vengono utilizzate anche nella lotta al terrorismo» (Robert Mueller, capo dell’Fbi).
• «La sua carriera inizia negli anni Settanta, prima alla sezione narcotici della Squadra mobile romana, poi alla Criminalpol del Lazio. In questi anni, mentre la criminalità organizzata romana fa il salto di qualità stabilendo contatti con il clan dei marsigliesi e la mafia, nasce la collaborazione e l’amicizia con Giovanni Falcone. Numerosi i suoi successi: dalle operazioni Pizza Connection e Iron Tower all’arresto di decine di latitanti eccellenti, in Italia e all’estero, fino nelle prigioni dell’Estremo Oriente per catturare e convincere, insieme a Falcone, il narcotrafficante Ko Ba Kim a collaborare. E dopo di lui Tommaso Buscetta, Totuccio Contorno, fino al primo dei corleonesi “pentiti”, Giuseppe Marchese. Intorno alla sua figura nasce, nei primi anni Ottanta, il nucleo anticrimine che diventerà Servizio centrale operativo della polizia (Sco), modello per la creazione di analoghe strutture nei carabinieri (Ros) e nella Guardia di Finanza (Scico). Dalla direzione dello Sco, passa alla neonata Dia come vicedirettore e ne diventa direttore nell’aprile del 1993» (Corriere della Sera).
• «Lo squalo», come lo chiamavano i suoi più stretti collaboratori, è sempre stato un uomo di poche parole, con le idee molto chiare e capacità riconosciutegli anche dai suoi nemici. «All’inizio degli anni novanta mi diedero un pezzo di carta e mi dissero “fai la Dia”. Non avevo nulla, lo staff era composto praticamente solo da me. Con l’autista ci fermavamo in una traversa di via Barberini e in macchina scrivevo le relazioni» [Alessandro Da Rold e Luca Rinaldi, Ink 4/7/2013].
• Nei sette anni da capo della polizia «ha fatto il suo lavoro come meglio ha potuto, restandosene, come si dice, “al suo posto”. Spesso fin troppo rispettoso dei bizzarri e contraddittori indirizzi dei governi, sempre alla ricerca dei migliori risultati per l’interesse pubblico. Risultati che non sono mancati, dall’arresto di Bernardo Provenzano all’annientamento del rinato nucleo delle Brigate Rosse, all’arresto degli assassini di Massimo D’Antona e Marco Biagi» (Giuseppe D’Avanzo).
• Nel giugno 2007, in contemporanea alle dimissioni da capo della polizia, ricevette un avviso di garanzia per istigazione alla falsa testimonianza nelle indagini inerenti agli avvenimenti del G8 di Genova e in particolare ai fatti della scuola Diaz. De Gennaro avrebbe fatto pressione perché l’ex questore di Genova, Francesco Colucci (vedi Mario Placanica), modificasse, ritrattasse certe sue dichiarazioni nelle quali lasciava intendere che la responsabilità reale sull’ordine pubblico in città nei fatti non era stata sua, semmai la catena di comando degli ordini arrivava al Viminale. Il 3 maggio 2007, chiamato a deporre dall’accusa, a sorpresa, contraddisse e ribaltò molte delle dichiarazioni rese in istruttoria. Tanti “non ricordo”, “la mia affermazione di allora forse è stata superficiale”. A insospettire i magistrati, sono le circostanze che Colucci mostrava di ricordare. Nella sua ricostruzione di quella notte disgraziata, i dettagli inediti riguardano le sue comunicazioni con il vertice della polizia, oltre a una nuova definizione della catena di comando che gestì l’irruzione nella scuola dei no global, che “esclude” alcuni imputati cari a De Gennaro e tira in ballo altri nomi, segnatamente quello di Lorenzo Murgolo, vicequestore di Bologna che al G8 fungeva da vice di Ansoino Andreassi, il “superpoliziotto”, all’epoca fu questa la definizione, che gestì la preparazione al G8 genovese.
• Il 14 luglio 2007 De Gennaro rispose per quattro ore di fila alle domande dei pubblici ministeri di Genova «ribadendo di non aver mai ordinato a Colucci di raccontare bugie o di modificare precedenti versioni: “È possibile che gli abbia parlato del processo Diaz prima del suo interrogatorio”, ha spiegato in sostanza, “ma solo per ricordargli quello che ho sempre detto al riguardo: la verità”» (Massimo Calandri). Il 16 novembre 2007 scrisse un accorato appello a Colucci: «Hai fornito due rappresentazioni dello stesso fatto e devi farti carico di questa contraddizione», nel dicembre 2007 chiese un confronto con lo stesso. Nel marzo 2008 la Procura di Genova ne chiese il rinvio a giudizio: «Secondo i pm Francesco Cardona Albini ed Enrico Zucca, i super-poliziotti sotto accusa per la Diaz avrebbero elaborato una precisa “strategia”: minimizzare il ruolo dell’ex capo della polizia, e prendersela con chi in qualche modo non può difendersi. Arnaldo La Barbera, nel frattempo deceduto. Lorenzo Murgolo, uscito dal processo. Ansoino Andreassi, che era contrario all’intervento. “L’operazione è stata semplice. Si è trattato di eliminare gli accenti sui ruoli di responsabilità degli imputati. E nel contempo di enfatizzare i compiti dell’unico funzionario la cui posizione è stata archiviata, del defunto prefetto La Barbera e dell’unico teste schierato contro la gestione della operazione Diaz”» (Repubblica). • Il 23 novembre 2011 De Gennaro e l’ex capo della Digos di Genova Spartaco Mortola sono stati definitivamente assolti «perché i fatti non sussistono». Il 10 dicembre 2012 Colucci è però condannato a 2 anni e 8 mesi per falsa testimonianza in favore di De Gennaro.
• Feroci scontri con Francesco Cossiga (1928-2010), col quale ebbe in passato grande sintonia. Le cose cambiarono dopo l’8 luglio 2006, quando l’ex presidente della Repubblica dichiarò: «L’ho sempre difeso anche contro un altissimo esponente diessino di governo che, Dio mio quanto preveggente, si era opposto strenuamente alla sua nomina a capo della Polizia. E così mi ritrovo con un uomo insincero, tortuoso, ipocrita, falso, un personaggio cinico e ambiguo che usa spregiudicatamente la sua influenza». Francesco Grignetti: «L’innesco è l’inchiesta di Milano sul Sismi ovvero i guai a valanga che hanno portato alla defenestrazione del generale Nicolò Pollari. Nell’inchiesta c’entra la Digos, ossia la polizia. E quando viene fuori dirompente lo scontro tra Pollari e De Gennaro, con rispettive tifoserie schierate, ecco che Francesco Cossiga fa la sua scelta. Si schiera con Pollari e nel giro di qualche mese, presenta ben 35 tra interrogazioni o interpellanze contro il prefetto che guida la polizia italiana dai toni sempre più accesi. Lo denuncia anche alla magistratura di Brescia. Chiede ossessivamente la sua testa. Non è un mistero che Pollari avesse identificato in De Gennaro il “nemico”. Aveva messo insieme gli articoli su diversi giornali, in particolare Repubblica. Non solo la storia di Abu Omar. C’era anche il Nigergate. E qualche indiscrezione di troppo sulla gestione dei sequestri in Iraq. Pollari ha insomma identificato in De Gennaro il “suggeritore”. Certe notizie – pensava – le può aver raccolte e veicolate solo lui. Quando poi comincia a circolare il progetto di riformare i servizi segreti, e di farne un solo grande servizio segreto, un po’ più amico degli americani di quanto fosse il Sismi di Pollari, e a cui De Gennaro ha fatto un pensierino, ecco che poi scatta la sindrome-Negroponte. Il prefetto vuole forse diventare lo Zar italiano antiterrorismo?». Causa l’esposto presentato a Brescia da Cossiga nel 2006, De Gennaro finì indagato (con il capo della Procura di Milano, Manlio Minale, il giudice delle indagini preliminari Enrico Manzi, i due procuratori aggiunti – vice di Minale – Ferdinando Pomarici e Armando Spataro, i dirigenti della Digos milanese Ignazio Coccia e Bruno Megale) per il reato di «procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato» (accusati di aver violato il segreto di Stato nell’indagine sul rapimento di Abu Omar, sfociata poi nel rinvio a giudizio di 26 agenti Cia e 5 dirigenti del Sismi – compresi il direttore Nicolò Pollari e il numero tre Marco Mancini – per concorso nel sequestro di persona dell’imam). Dopo un’informativa di Giuliano Amato, nel luglio 2007 Cossiga ha detto di aver cambiato idea perché De Gennaro avrebbe agito «per ordine dell’autorità giudiziaria», facendo solo «il suo dovere avvertendo le autorità politiche che la polizia giudiziaria stava spiando il Sismi per conto della procura di Milano». Il 12 febbraio 2013 la Corte d’appello ha condannato Pollari a 10 anni di reclusione per il sequestro Abu Omar. Nell’appello bis Mancini è stato condannato a nove anni. Nella sentenza nessun riferimento, giudiziario o politico, riguarda invece De Gennaro.
• «Giorgio Napolitano stima De Gennaro da molti anni, in ogni polemica che ha coinvolto il 66enne super-poliziotto si trova sempre traccia di una dichiarazione a sua difesa di Napolitano: dalla gestione del pentito Tommaso Buscetta nel 1996, quando Napolitano era ministro dell’interno e l’altro vicecapo della polizia, al G8 di Genova alla gestione dell’emergenza rifiuti a Napoli, la città di Napolitano. Tra le tante cose che ha fatto De Gennaro, tra un incarico di vertice e l’altro, c’è anche aver ricoperto il ruolo di capo di gabinetto di Giuliano Amato al Viminale, ed è nota la stima di Napolitano per Amato (che il capo dello Stato avrebbe gradito come successore e che, per il momento, ha mandato alla corte Costituzionale)» (Stefano Feltri) [Fat 16/4/2014].
• Fratello di Andrea, generale della Guardia di Finanza.
• Sposato, due figli. «La moglie, Carla, è una piemontese altolocata nello stile, una signora così chic da permettersi il lusso di andare al lavoro nell’anonimato di un autobus; i figli sono due ragazzi felicemente tagliati fuori dall’orgia del generone romano. Niente chiacchiere, niente distintivi. Niente mondanità» (Pietrangelo Buttafuoco).