30 maggio 2012
Tags : De Falco Nunzio
Biografia di De Falco Nunzio
• Casal di Principe (Napoli) 19 marzo 1950. Camorrista. Detenuto. Il I dicembre 2010 è diventata definitiva la sua condanna all’ergastolo, come mandante dell’omicidio di don Peppino Diana, commesso a Casal di Principe il 19 marzo 1994 (giorno del compleanno del medesimo De Falco).
• Detto ’o Lupo. «Nunzio De Falco ha il suo soprannome stampato in faccia. Ha davvero la faccia del lupo. La foto segnaletica è riempita verticalmente dal viso lungo coperto da una barba rada e ispida come un tappeto d’aghi, e orecchie a punta. Capelli crespi, pelle scura e bocca triangolare. Sembra proprio uno di quei licantropi da iconografia horror» (Roberto Saviano).
• Fratello del fu Vincenzo De Falco, crivellato in macchina il 2 febbraio 1991 (contrastava l’ascesa di Francesco Schiavone detto “Sandokan” all’interno dei casalesi). Lo vendicò uccidendo l’alleato di Sandokan, Mario Iovine, il 6 marzo successivo, a Cascais, in Portogallo (condanna definitiva all’ergastolo – avendo rinunciato al ricorso contro la sentenza di appello che confermava il primo grado, la Corte di Cassazione, lo ha dichiarato inammissibile il 27 marzo 2012).
• Fu colpito da ordinanza di custodia cautelare per l’omicidio di don Peppino Diana, il prete anticamorra di Casal di Principe, il 15 novembre 1997, e con questa accusa arrestato ad Albacete, in Spagna, mentre viaggiava sull’intercity Valencia-Madrid. «Aveva messo su un potente cartello criminale assieme a uomini della ’ndrangheta e alcuni sbandati di Cosa Nostra. Tentò anche – secondo le indagini della polizia spagnola – di dare una struttura da gruppo criminale ai gitani presenti nel sud della Spagna. Aveva costruito un impero. Villaggi turistici, case da gioco, negozi, alberghi. La Costa del Sol aveva conosciuto un salto di qualità nelle infrastrutture turistiche da quando clan casalesi e napoletani avevano deciso di farne una perla del turismo di massa» (Saviano).
• La sentenza di primo grado della Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere (30 gennaio 2003, confermata in appello e in cassazione), ha accertato che l’omicidio di don Peppe Diana, ucciso alle sette e mezza di mattina, in sagrestia, da due sicari armati di pistola da guerra, fu commesso per eliminare il prete anticamorra, addebitando allo stesso tempo il delitto al clan rivale di Francesco Schiavone. De Falco, al tempo residente in Andalusia, dopo l’omicidio telefonò alla Questura di Caserta per chiedere un incontro, che si tenne in un ristorante vicino a Santa Fe (fu la moglie del boss ad andare a prendere i due funzionari all’aeroporto). A scanso di equivoci, il boss disse in premessa che la sua non era una denuncia (per non essere confuso coi collaboratori di giustizia), ma una versione di come erano andati i fatti. E cioè che a uccidere don Peppino Diana erano stati gli Schiavone, al fine di far cadere sui De Falco la responsabilità dell’omicidio. E dava anche un alibi: lui non avrebbe mai potuto dare ordine di uccidere don Peppino Diana, visto che suo fratello Mario gli era molto legato (don Diana l’aveva convinto a lasciare la camorra). Gli andò male, perché l’organizzatore dell’omicidio, Giuseppe Quadrano, si consegnò alla polizia e iniziò a collaborare con la giustizia. In motivazione i giudici danno anche atto dei ripetuti tentativi, nel corso del processo, di screditare la figura di don Diana, accusato di avere insidiato la cugina di un boss. • Contro la sentenza di condanna di appello De Falco ricorreva alla Cassazione, lamentando che la Spagna aveva concesso l’estradizione a condizione che non gli venisse applicato l’ergastolo. La corte rigettava il ricorso ricordando che «anche ove sia stata posta una limitazione di pena dall’autorità straniera, l’irrogazione dell’ergastolo comporta non la nullità della sentenza, ma l’eseguibilità della pena solo fino al limite temporale concesso dallo Stato estero».
• Difensore di Nunzio De Falco nel processo, Gaetano Pecorella, allora presidente della commissione Giustizia della Camera. «Mentre la sentenza veniva letta in tribunale mi venne da ridere. Una risata che riuscii a contenere lasciando gonfiare le guance… Ridevo perché i clan erano così forti da aver persino ribaltato gli assiomi della natura e delle fiabe. Un lupo si faceva difendere da una pecorella».
• Un giornale locale di Casal di Principe gli dedicò in prima pagina un articolo dal titolo “Nunzio De Falco re degli sciupafemmine” (il 17 gennaio 2005), mettendolo in cima alla classifica dei playboy della provincia. L’articolo attribuisce al boss sette mogli («naturalmente ci riferiamo non a rapporti matrimoniali veri e propri, ma rapporti duraturi da cui hanno avuto figli»), di cui una spagnola, una portoghese e una inglese, e dodici figli (Saviano). (a cura di Paola Bellone).