30 maggio 2012
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Biografia di Serena Dandini
• Roma 22 aprile 1954. Conduttrice tv. Dal 2004 al 2011 ha condotto il talk show Parla con me (la domenica notte su Raitre: la conseguente revisione del palinsesto ha molto irritato la redazione del Tg3 che s’è sentita sacrificata)
• «Non è tanto Serena Dandini a essere un volto di Rai3, ma piuttosto l’entertainment del terzo canale a essere totale appannaggio della show woman» (Gian Maria De Francesco) [Grn 17/5/2010].
• Abbandonata la Rai, è passata nel 2012 a La7 con il programma del sabato sera The Show Must Go Off.
•Nel giugno 2007 ha lanciato un appello per salvare il Teatro romano Ambra Jovinelli, del quale è direttore artistico dal 2001: «Come tutte le sane famiglie italiane, anche noi veniamo sfrattati per morosità (...) È una guerra fra poveri, quella di chi fa cultura in questo paese, ed è vergognoso» (a Emilia Costantini).
• «Coordinatrice di gruppi comici e no, da La tv delle ragazze a L’ottavo nano, tessitrice di tele “arternative” e fracassone che stavano in piedi grazie a lei, collante di discorsi alti e bassi, politici ed etici, intelligenti e scemi, comunque di tanti in coro» (Simonetta Robiony).
• «Capocomica scaltra, ama circondarsi di talenti, e non di mezze cartucce per essere notata di più» (Alessandra Comazzi).
• Figlia di un avvocato civilista: «Era un conte, la nostra è una famiglia della nobiltà papalina». Il cognome completo è Dandini de Sylva: «I de Sylva erano spagnoli e ricchi. Tanti anni fa, una di loro, sposandosi con un Dandini che stava messo male, impose di mantenere il cognome. Abbiamo pure uno stemma con un’aquila, un leone, le palle e tante altre cose. Da ragazza però di questa cosa mi vergognavo come una ladra».
• «Stesso liceo di Antonello Venditti. Giulio Cesare. Stesso bar, il Tortuga, quello della canzone Compagno di scuola, dove Nietzsche e Marx si davano la mano. Ricordo il giorno di Piazza Fontana. I fascisti vennero davanti a scuola a urlare “Assassini”, a sputare, a menare. Frequentavo Fgci, Lotta Continua, Potere Operaio. Mi intrufolavo dappertutto, ero amica di tutti. Mi sono fatta tutta la mia militanza femminista, i gruppi di autocoscienza».
• Studi anglo-americani. «Un giorno la professoressa Bianca Maria Pisapia mi segnalò alla Rai e mi chiamarono. Che cosa facevo? Quella che andava a prendere le musiche in archivio. Aprivo e chiudevo cassettini. Un lavoro d’impegno. Mi chiamavano programmista musicale. Ogni tanto dicevo: “Ma perché mettete questa canzone che è brutta? Mettete quest’altra”. Nei cassettini c’era di tutto. Alcuni dischi avevano il timbro rosso: “Intrasmettibile”. Tipo Gaber, tipo Dario Fo, Radio anch’io. Cominciai a fargli scoprire i cantautori. E poi scrivevo qualche nota. Mi dissero: “Invece di rompere le scatole, vieni in diretta e leggile tu stessa”. Poi cominciai a proporre programmi miei. Il primo fu Il pianeta cantautore, una specie di fiction che usava le canzoni come dialoghi. Feci anche l’inviata da Sanremo, mi pare nell’85».
• «Il passaggio dalla radio alla televisione è stato un trauma terribile. Io credevo che radio e tv fossero la stessa cosa. Invece in tv prima arriva l’immagine, poi, se sei fortunata, arriva quello che dici. Insomma, le prime volte mi sono fatta truccare, bigiotteria per dare luce, capelli tirati con treccia che non riuscivo nemmeno a parlare, ombretto azzurro. Mi sono vista e mi sono messa a piangere. Chi è quella?» (a Claudio Sabelli Fioretti).
• «Fin dai debutti apparve bella di coscia ma un po’ forte di fianchi: grassottella dimagrita, “ex sgianfona”, come la chiamano premurosamente le sue amiche, veste di nero, che sfina e fa sempre chic. Ha l’espressione un po’ così, di quelli che ridono pure in un cimitero» (Pietrangelo Buttafuoco).
• «Sotto quel look sbarazzino-dandinesco (tailleur-pantalone a righe, camicie sgargianti, sandali yéyé) batte il cuore di un’abile imprenditrice di se stessa e del suo piccolo gruppo, dove spiccano il fidanzato musicista Lele Marchitelli e la fedele Gabriella Ruisi, capace di moltiplicare i campi di intervento riuscendo a restare libera e senza mai consegnarsi a contratti capestro. Ma nella crescita del “Dandini power”, un modello un po’ Arbore un po’ Costanzo (“Però io ho le tette, loro no” scherza), conta molto anche una spiccata capacità di tessere alleanze, di trovare amici e sponsor. Nel centrosinistra, ma non solo. Anzi, facendo di quella guizzante vocazione alla trasversalità il marchio della propria libertà. Uno dei primi ad accordarle fiducia fu Angelo Guglielmi, allora direttore di una Raitre rivoluzionaria nel mischiare materiale “alto” e “basso”. Per quella promettente speaker radiofonica che da grande avrebbe voluto insegnare letteratura angloamericana fu il primo passo vincente. Poi c’è la politica. E qui i rapporti si fanno più sfuggenti, impalpabili, indecifrabili. Di sicuro Serena Dandini non è nelle grazie di Massimo D’Alema, se non altro per la memorabile caricatura tributatagli da Sabina Guzzanti all’epoca del Pippo Chennedy Show» (Michele Anselmi).
• «A Serena Dandini piaceva Massimo D’Alema: “Ma come facevo a trovarlo sexy quando in trasmissione avevo tutti i giorni Sabina Guzzanti che lo imitava ed era uguale?”. Le piaceva molto anche George Clooney: “Andai a Londra per intervistarlo, peccato che avesse appena mangiato dell’aglio”. “Attrazione fisica pazzesca” per Ben Harper intervistato a Parla con me: “Per capire cosa ho provato basta guardare la mia faccia quando si siede accanto a me sul divano”» (Sara Faillaci) [Vty 7/11/2013].
• Ha pubblicato da Rizzoli Dai diamanti non nasce niente. Storie di vita e di giardini (2011) e Grazie per quella volta. Confessioni di una donna difettosa (2012).
• Tra il 2012 e il 2013 ha messo in scena il suo primo testo teatrale, Ferite a morte, un recital ispirato a fatti realmente accaduti di violenza sulle donne. Lo spettacolo in tre tappe (Genova, Bologna e Palermo) è stato interpretato, tra le altre, da Lilli Gruber, Geppi Cucciari, Angela Finocchiaro, Isabella Ragonese, Lella Costa, Paola Minaccioni, Malika Ayane, Concita De Gregorio, Ambra Angiolini e Elisa Toffoli. «“Sulla falsa riga di Spoon River di Edgar Lee Master, e prendendo a prestito un titolo ‘poetico nella sua tragicità’, quello di un romanzo di Raffaele La Capria (Ferito a morte, 1961), ho cominciato a scrivere col desiderio di dare un pugno allo stomaco per richiamare l’attenzione su vicende drammatiche, un fenomeno pervasivo, (…) perché le morti sono la punta dell’iceberg di un vissuto e una quotidianità di violenze e sopraffazioni, che è assolutamente trasversale alle aree geografiche e alle classi sociali, tanto che dal 2005 sono aumentate le morti delle donne acculturate. Più c’è emancipazione più questa ‘colpa’ va punita”» (a Alessandra Clementi) [Rep 16/11/2012].
• Nel 2013 ha fatto parte della giuria di qualità del Festival di Sanremo.
• «Lo confesso: da piccola volevo essere Serena Dandini» (Victoria Cabello).
• «Pur partecipando a tutte le cause, sotto sotto ho sempre seguito più la scuola di Frank Zappa che quella di Adorno. Sarà per questo che oggi, a distanza di 40 e più anni, rido di cuore quando mi chiamano radical chic: non sono né radical né chic, ma nel fondo sono rimasta un’ inguaribile rollingstoniana» (Cds 16/5/2012).
• «Non sono mai stata iscritta a un partito».
• Due mariti, col secondo abitò per sette anni nella campagna umbra, a Montone: «Abbiamo provato a coltivare il granoturco e il tabacco, di cui ormai so tutto. I contadini del posto non capivano perché avessimo scelto di andare a vivere fra mille scomodità. È stato divertente anche se non c’era la luce e ci ammazzavamo di freddo e fatica. E non avevamo una lira in tasca. Ogni tanto dovevo tornare a Roma per guadagnare qualcosa in radio».
• Una figlia, Adele (tesi di laurea sul femminismo indiano).
• Colleziona rose antiche: «E ogni volta che faccio un viaggio, anche se non si potrebbe, porto via qualche pianta locale».
• Sogno di Serena Dandini: «Scomparire e lavorare dietro le quinte. Scrivere per il cinema, per la tv. E ingrassare ad libitum» [Cds 24/11/2011].