30 maggio 2012
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Biografia di Dalla Lucio
• Bologna 4 marzo 1943. Cantante. Autore. «Quando ero piccolissimo volevo fare il cane».
• Ultime Ha girato l’Italia con una serie di concerti (prima tournée da cinque anni, debutto il 19 ottobre 2007 al Sistina di Roma).
• Ha pubblicato i cd Il contrario di me (che contiene la canzone Due dita sotto il cielo dedicata a Valentino Rossi) e Lucio Dalla live: La neve con la luna.
• Ha messo in scena le opere Arlecchino e Pulcinella e The Beggar’s Opera e lo spettacolo Un punk del Rinascimento, su Benvenuto Cellini.
• In tv ha interpretato un vescovo in Artemisia Sanchez (Raifiction, 2007), al cinema un ex camorrista in Cinque, il numero perfetto (Egidio Eronico, 2008). Ha realizzato la colonna sonora di S.M.S. (regia di Vincenzo Salemme), musicato e cantato il brano Principessa, scritto inedito di Totò messo a colonna sonora al documentario Un principe chiamato Totò.
• Ha aderito informalmente al Pd.
• Ha fatto sapere di essersi avvicinato all’Opus Dei: «Sono sempre stato di sinistra e credente».
• Ha composto e cantato l’inno olimpico del Coni.
• Vita La madre non aveva 16 anni come nella canzone (4/3/1943) ma 42, non parlava con gli sconosciuti ma con Padre Pio; suo papà non veniva dal mare ma faceva il rappresentante. «O forse l’aviatore, non ricordo bene. Aveva il brevetto da pilota ed era anche il direttore del tiro a volo di Bologna».
• «“Si è spenta una luce”! Mia mamma mi annunciava così con pietà, dolcezza e, perché no, anche un poco di poesia quello che lei già sapeva, che era accaduto quindici giorni prima e che io intuivo e come solo un bimbo di sette anni può fare, forse avevo già metabolizzato: la morte di mio padre. Eravamo uno di fronte all’altra e lo spazio che ci separava non era più di un metro ma era una distanza che mi sembrava eterna, uno spazio infinito forse perché probabilmente avvertivo come già chiuso il dolore-ferita che aveva provocato alla mamma la morte del babbo e non era scattato o, non so per quale misteriosa ragione, non scattava il mio dolore di orfano per cui mi sentii obbligato a dare una risposta che la tranquillizzasse, certo non altrettanto poetica come “Si è spenta una luce” ma che testimoniasse nello stesso tempo e perentoriamente il mio essere diventato adulto, capo famiglia? Uomo. Con la stessa pietà e con lo stesso amore le buttai le braccia al collo e le dissi: dove andiamo quest’estate al mare? Era una gaffe? Un patetico tentativo di camuffare il dolore dimostrando di saperlo vincere? O un dire quasi: non preoccuparti mamma, da ora in poi ci penso io? Non lo so dire che cosa era, ma in questo squarcio della memoria ho ancora in mente e stampata negli occhi la faccia di mia madre che sbalordita mi stringeva al suo petto e la sensazione oggi come allora di averle dato comunque una risposta».
• La madre faceva la sarta: «Quando avevo quasi dieci anni, nel 1953, una cliente pagò mia madre con una casa alle Tremiti. Cominciai a passarvi tutte le estati. Ricordo quando mi dettero una maschera subacquea; ero un bambinetto e vidi per la prima volta il mondo del mare. Piante, coralli, rocce. Che grandissima emozione; fu come un pugno in faccia, come il primo bacio. Non l’ho mai dimenticato. Anzi, cominciò così il mio grande amore per il mare. Molti anni dopo, pescando nella mia nebulosa, scrissi Come è profondo il mare» (a Silvana Mazzocchi).
• «Ho studiato fino al primo liceo, ma a scuola andavo male, preferivo andare in giro a suonare. A 17 anni ero già a Roma a fare musica» (a Marina Cavallieri).
• «Quando cominciai a suonare non avrei mai pensato di fare il cantante. Ero come un invasato, il jazz mi aveva preso: suonare per me era sacro e quando mi accadde di trovarmi al fianco di Chet Baker o Bud Powell mi sembrò d’impazzire di gioia. Sono un trasgressivo. Vado a istinto, uso il clarinetto in modo anomalo, per suonarlo davvero bisogna saper fare Mozart» (a Vittorio Franchini).
• Nel 1964 l’esordio da cantante (grazie a Gino Paoli), nel 1966 il primo Festival di Sanremo (Pafff... bum con The Yardbirds e Bisogna saper perdere con The Rokes), poi scrisse Occhi di ragazza (1970, portata al successo da Gianni Morandi), nel 1971 tornò a Sanremo e conquistò la popolarità con 4/3/1943. L’anno dopo di nuovo al Festival con Piazza Grande: «Quando feci la canzone, Piazza Grande era un luogo d’incontro e di dibattito, si discuteva di politica e di sport, c’erano i capannelli, un mondo scomparso che oggi potrebbe interessare agli antropologi».
• Il gigante e la bambina (1971) e Itaca (1972) conquistarono l’hit parade. Col poeta bolognese Roberto Roversi realizzò gli album Il giorno aveva cinque teste (1973), Anidride solforosa (1975), Automobili (1976).
• «Da Roversi ho imparato tutto, a scrivere da solo le mie parole, ma sopra ogni altra cosa l’emozione pura. Perché quello esprimeva Roversi, nonostante volesse consegnare al pubblico italiano una canzone civile».
• Nel 1977 tornò a una produzione più commerciale con Come è profondo il mare, che segnò il suo debutto d’autore dei testi. Le canzoni di successo diventarono sempre più numerose: Ma come fanno i marinai (1978), L’anno che verrà (1979), Balla balla ballerino, Futura (1980)...
• «Ero a Berlino per un concerto, mi feci portare al check point e mi misi a guardare il muro che allora divideva la città. Ero amico del direttore di Stern e una sera lo andai a trovare in redazione. Dalla finestra si vedeva il muro dall’alto, con quello che c’era al di là, due mondi. Nacque Futura, la storia di una ragazza dell’Ovest che si innamora di un ragazzo dell’Est e insieme vivono la loro storia in una notte di guerra, anche se sono consapevoli che non sopravviveranno...».
• «Quando scrissi L’anno che verrà mi pareva inevitabile che qualcuno sarebbe sparito. Eravamo alla vigilia del sequestro Moro».
• ...quindi la trionfale tournée Banana Republic (con Francesco De Gregori), cui seguì nell’88 quella con Gianni Morandi (da cui l’album Dalla/Morandi). Intanto, nell’86, aveva scritto la sua canzone forse più popolare, Caruso.
• «Mi si ruppe la barca, ero tra Sorrento e Capri, mi ospitarono degli amici proprietari dell’albergo dove morì il grande tenore Enrico Caruso. Per tre giorni sentii raccontare la storia del maestro e di quella ragazzina a cui dava lezione di canto e di cui era innamorato. Mi raccontavano di come, in punto di morte, gli fosse tornata una voce così potente che anche i pescatori di lampare la sentivano e tornavano nel porto ad ascoltarla. Caruso è nata così» (a Cristina Taglietti).
• Nel 1990 l’album Cambio (con Attenti al lupo) cui seguirono Henna (1994), Canzoni (1996) ecc.
• «Definisce la sua attività nei teatri d’opera “un dopolavoro, un divertimento, una passione”, sceglie sempre partiture di rottura, come Arlecchino di Busoni e Pulcinella di Stravinskij» (Alfredo Gasponi).
• «Non ho mai programmato una famiglia. Le mie storie d’amore non sono raffinate, neanche violente, spesso casuali».
• «Concepire un figlio è un grande momento di speranza, e ammiro chi ha ancora il coraggio di questa speranza in un mondo di fuoco come è il mondo di oggi» (nel 1982).
• Critica «Forse senza saperlo, e certo senza volerlo, Lucio Dalla è un profeta. Lo è per il suo fisico che si adatterebbe benissimo a un uomo di Dio itinerante attraverso i deserti della Galilea. Lo è per la voglia di avvicinarsi agli altri, e di entrare in comunione con loro attraverso quel segnale affabile e misterioso che è la musica» (Ludovica Ripa di Meana).
• «Nel 76, quando cantava Nuvolari, era un grande artista, nell’86, quando cantava Caruso, era un ambasciatore mandolinesco ma efficace del made in Italy, nel 96, quando cantava Canzoni, era un autore senza più niente da dire ma ancora abbastanza lucido da riciclare il suo vero capolavoro, Disperato erotico stomp» (Camillo Langone).
• «Il suo genio pare talora confinare con la follia. Ha perso le amicizie antiche con quelli che furono i suoi colleghi, i Guccini e i De Gregori, “li rispetto ma a me piace cambiare mestiere”: scrittore (Bella La vita, Rizzoli 2002), editorialista, gallerista d’arte moderna, attore (con i Taviani), regista teatrale (al Piccolo), pilota alla Millemiglia (prima con Bergonzoni, poi con Oliviero Toscani), compositore. Dopo la rivisitazione della Tosca, le musiche per una fiction Rai sulla Contessa di Castiglione. I suoi discorsi sono coerentemente frenetici e sfuggenti. Ha lavorato con Pavarotti e con Califano, è amico di Claudio Abbado e di Max Gazzé. È incredibilmente umile per un artista» (Aldo Cazzullo).
• Frasi «Oggi non si può pensare di essere solo un cantante, nella vita il fatto che si canti è saltuario, è un fenomeno isolato, sono le allodole che cantano sempre. Così ogni mio progetto va oltre la musica».
• «Quando scrivo una canzone non la scrivo con uno strumento, ma con la testa. È come la ripescassi, come fosse la raccolta di una spremuta di quello che c’è già e che ci circonda».
• «I veri poeti sono come i bastardi, tutti li accarezzano, ma nessuno li vuole in casa».
• «Ho sentito sempre una distanza ogni volta che lavoravo insieme a un giovane cantante. Cosa che, del resto, è capitata molto spesso. Quanto alla possibilità di considerare qualcuno il mio successore, no, non trovo nessuno. E poi io non sono di facile riproducibilità. Cambio continuamente, cambio troppo spesso».
• «Io non ho il mito dei ricordi, ma credo nella memoria. Che per me è un misto di memoria storica e memoria liscia. Una sorta di nebulosa che interroga e poi ti risponde da zone misteriose, forse dalla coscienza. Questa memoria mi manda segnali, mi raddrizza, mi mette in tensione. È sempre stato così. Nella mia produzione non c’è mai il presente, ma sempre una specie di commistione tra passato e futuro».
• «Per essere un vero artista devi essere un po’ sciamano. Il presente è frammentato e devi poter capire dove ci porta. Io ho sempre visto il tempo come un’onda, concepisco il futuro come un’eco che viene dal passato, anzi penso che sia lo spostamento in massa del passato».
• «La tv è come un caminetto con il pubblico che ci si mette di fronte e gli attori, o chiunque vada davanti alle camere, diventano come i ceppi che bruciano nel camino».
• Mi piace invecchiare. Più vado avanti e più sono curioso.
• «Non credo nella morte, agli amici dico sempre che è solo la fine del primo tempo».
• Politica Ammiratore di Prodi («è caduto in piedi, lo stimo per questo»), nostalgico di Craxi: «In una cena a Hammamet, una sera dell’82 dopo la vittoria ai Mondiali di calcio, si lanciò in una appassionata perorazione. “Lucio”, mi disse, “dobbiamo riunire tutti i migliori artisti, medici, ingegneri, industriali e fondare un nuovo partito. Lo chiameremo Forza Italia!”. Ohi come ha sgranato gli occhi Berlusconi quando gliel’ho raccontato!».
• Nel 1997 disse che gli piaceva D’Alema ma era amico di Berlusconi: «Essere per la gente, per il popolo, per la democrazia. Questi sono valori di sinistra che però possono essere realizzati benissimo anche dalla destra. Se c’è un idraulico bravo ma di destra non è che non lo chiamo perché non la pensa come me».
• Conobbe Berlusconi nell’87: «Mi invitò ad Arcore l’antivigilia di Natale. Mi accompagnava il mio produttore, ma fu lasciato fuori dalla porta. Berlusconi preferiva vedermi da solo. Pensai a una proposta di lavoro. Voleva solo conoscermi. Parlammo per ore, di musica, di me, del mondo dello spettacolo. Ha assorbito un poco della mia forza. Mi ha chiesto di insegnare alla scuola dei suoi manager, come poi ho fatto. E devo riconoscere che qualche anno prima il mio mito, l’unico politico di cui tengo la foto a casa, Enrico Berlinguer, non mi aveva fatto la stessa impressione. Mi portò da lui Walter Veltroni, insieme con Francesco De Gregori. Un gelo terribile. Qualche parola di tanto in tanto, qualche sguardo. Per spezzare il silenzio gli dissi che trovavo simpatico Cossiga. Sapevo che erano cugini alla lontana, pensavo di fargli piacere. Credo però che avessero litigato, perché Enrico ci rimase malissimo. Siccome non poteva finire così, Veltroni ci riprovò. Ci invitò a cena, e quella volta parlammo. Berlinguer si era preparato. A De Gregori chiese la differenza tra una chitarra acustica e una elettrica. A me domandò chi avrebbe vinto il campionato di basket. E comunque un mito è un mito. Non deve essere simpatico».
• Appoggio incondizionato al sindaco Cofferati: «Io abito in una via del centro, ed è pe-ri-co-lo-sa. Bologna è una città con una stabilità sociale apparente, ma in realtà di equilibrio, come tutte le città di oggi, ne ha poco. I sindaci precedenti non hanno voluto mettere il dito nella piaga delle dinamiche complicate di questa scissione cittadina, l’apparente opulenza e il senso di disagio sottostante. Cofferati è l’unico che ha avuto il coraggio di farlo. Gli altri, anche Zangheri, o Vitali, sono stati dei semplici gestori del problema. Cofferati è l’unico che ha avuto il coraggio di entrarci dentro. E guardi, lo dico io che non sono suo amico, lo conosco appena, quando ci incontriamo “ciao Sergio, ciao Lucio” e finisce lì» (a Jacopo Iacoboni).
• Religione «Va a messa, rifiuta l’aborto (“La vita va difesa sempre e comunque”), cerca Dio (“La ricerca del divino e della trascendenza fanno parte della natura umana”). Ama papa Ratzinger, “un grande e fine intellettuale”, di cui ha apprezzato l’enciclica sulla Speranza, “il livello della sua catechesi è così elevato da sfuggire a quelle menti che ricercano, nel mondo attuale, solo l’insulto”» (Claudia Voltattorni).
• «Sento Dio in me, anche se a dirlo così ti pigliano per folle. Il destino lo sento come una specie di marketing celeste. Penso Dio come Ingmar Bergman nella sceneggiatura di Conversazioni private».
• Tifo Grande appassionato di basket, tifoso della Virtus Bologna.
• «Valentino Rossi mi ricorda Alessandro Magno. Il mio immaginario è stato colpito in passato da altri personaggi veloci come Baggio, Senna, Caruso, Nuvolari. Ma Valentino Rossi li supera tutti perché lui ha il gusto dell’eterna giovinezza e quello della scoperta».
• Vizi «Ho una manualità catastrofica, ho imparato ad allacciarmi le scarpe a ventun anni. Non ho mai dato valore ai gesti che mi riguardano, eppure ho imparato da subito a usare gli occhi, le mani e le orecchie come componenti essenziali dell’assimilazione del vivere. E ho affinato l’udito. Non conosco la musica; da ragazzo non trovavo logico seguire i segni scritti, ma la musica mi è sempre entrata dentro con facilità strabiliante. Ecco, diciamo che non c’è dubbio che io sia vittima di un handicap, ma anche che l’ho risolto con allegria. La memoria per me è solo un fatto creativo, a scuola mi piaceva leggere le poesie, eppure non ne ho mai imparata una, mi sembrava troppo stupido. Invece ricordo tutto ciò che m’interessa o che m’intriga, per esempio so tutto di Attila, anche quello che mangiava a colazione».
• «Sono stato un pioniere del telefono da portarsi appresso, avevo una centralina montata su un gippone, tanti anni fa, con la quale potevi comunicare ma solo con certe grandi città, Roma, Bologna, Milano, Firenze, Torino; era un oggetto come un meteorite».
• Da ragazzo era ossessionato dalla paura del tetano: «Mi spaventava la parola. Chiamavo di continuo la Croce rossa. La quindicesima volta mi hanno mandato al diavolo».
• Produce lo “Stronzetto dell’Etna”, «un vino fatto vicino alla mia casa di Milo e che consumo esclusivamente alla mia tavola o sulla mia barca».
• «Se dovessi fare l’analisi chimica dell’esistenza, sarebbe la musica a scorrere sopra ogni altra cosa. Per me la musica è tutto, da trent’anni dormo ascoltandola. In tutte le mie case ho uno stereo, un iPod o un lettore che rimangono accesi tutta la notte e, se qualcuno li spegne, io mi sveglio. È la musica che mi fa entrare nel resto della vita».