30 maggio 2012
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Biografia di Giuseppe D’Avanzo
• Napoli 10 dicembre 1953 – Calcata (Vt) 30 luglio 2011. Giornalista. Laureato in Filosofia, ha iniziato da cronista alla Voce della Campania, poi a Paese Sera. Passò a Repubblica nel 1984 lavorando come corrispondente da Napoli prima di essere chiamato nella redazione romana. Al Corriere della Sera nel gennaio 1998 per poi tornare a Repubblica nel maggio 2000.
• Morì a mezzogiorno e mezzo del 30 luglio 2011 durante un’escursione in bici con il collega Attilio Bolzoni e altri due amici: si allenavano per un tour ciclistico da fare in Sicilia. Lasciò la moglie Marina D’Amico e la figlia Giulia.
• Scrisse anche libri: con Giovanni Maria Bellu (I giorni di Gladio, Sperling & Kupfer 1991), Bolzoni (Il capo dei capi. Vita e carriera criminale di Totò Riina, Mondadori 1993; La giustizia è cosa nostra, Mondadori 1995; Rostagno. Un delitto tra amici, Mondadori 1997) e Carlo Bonini (Il mercato della paura. La guerra al terrorismo islamico nel grande inganno italiano, Einaudi 2006).
• Autore di grandi inchieste giornalistiche (dal Russiagate del 1999 al caso Telekom Serbia del 2001, sino al Nigergate nel 2005 ecc.) spesso in coppia proprio con Bonini. Insieme, condivisero anche la passione per il rugby. Nel 2007 svelò l’indagine della magistratura napoletana su Silvio Berlusconi, accusato di tentata corruzione nei confronti di senatori del centrosinistra per provocare la caduta del Prodi II. Poi tenne quasi la “contabilità” dei suoi processi: «Ventotto, ventisei, centosei o centonove, e quante assoluzioni? In realtà, i processi affrontati dal Cavaliere come imputato sono sedici. Quattro sono ancora in corso: corruzione in atti giudiziari per l’affare Mills; frode fiscale per i diritti tv Mediaset (in dibattimento a Milano); appropriazione indebita nell’affare Mediatrade; e quest’ultimo per concussione e favoreggiamento della prostituzione minorile» [Rep 21/1/2011]. Il suo interesse per le vicende giudiziarie di Berlusconi gli valse le critiche della stampa di destra (Ii Giornale titolò la notizia della sua morte definendolo «la penna che odiava il Cavaliere»). Giuliano Ferrara: «Scriveva piuttosto bene, si faceva leggere con i suoi scoop e le sue campagne, e questo lo rendeva ancora più irritante. (…) È caduto da soldato, (...) questo avversario di cui avevamo in qualche senso bisogno. (…) Fu capace di fair play, e il colpo basso tutto sommato era l’eccezione professionale che confermava una regola umana e psicologica molto in disuso: rispettare il nemico» [Fog 1/8/2011].
• Inventò l’espressione «macchina del fango», poi usata da Roberto Saviano e da Repubblica per descrivere le delazioni mediatiche nei confronti degli avversari politici di Berlusconi.
• «In lui c’era molto di più della semplice capacità d’indignazione. La sua forza risiedeva in un metodo unico, la raccolta rigorosa dei dati e poi la capacità narrativa di spiegare vicende raccontandole. Questo vuol dire, semplicemente, fare il giornalista» (Roberto Saviano) [Inchiesta sul potere, La biblioteca di Repubblica, a cura di Attilio Bolzoni e Leopoldo Fabiani, 2011].
• Con le 10 domande del caso Noemi (2009) e le 10 bugie sul caso Ruby (2011) inaugurò un metodo premiato ad Harward «in nome dell’accountability, il richiamo al principio di responsabilità che i giornali devono continuamente rivolgere al potere» (Ezio Mauro). Il genere fu ripreso da molte tra le maggiori testate internazionali ed entrò nel lessico giornalistico. Evidenziava «le incoerenze che il giornalista sintetizzò in una serie di interrogativi a lungo ignorati da Berlusconi e ai quali, poi, rispose indirettamente nel corso della presentazione di un libro di Bruno Vespa» (repubblica.it 30/7/2011). Il Cavaliere fece anche causa ma Repubblica la vinse, poco più di un mese dopo la morte del giornalista.
• Sul periodo a via Solferino: «La prima volta che ho visto Peppe era in questo stanzone, 1997, la redazione Cronache italiane, dove sto scrivendo adesso. “I giornali bisogna viverli, bisogna respirarli” era la sua spiegazione a chi gli chiedeva i motivi di quella scelta, lui che era già il più bravo di tutti, aveva l’ufficio lassù in alto e invece stava in mezzo a noi, redattori e capiservizio» (Marco Imarisio) [Cds 30/7/2011].
• Prosa complessa e ricercata («turiferari, egoarca, caudatari»), diceva di amare lo stile di Franco Cordero. Prima di morire stava lavorando al blog “Avanzi” per Repubblica. La sua testata oggi lo ricorda con la sezione “RE Le inchieste”, nata da una sua idea: «Un’inchiesta giornalistica è la paziente fatica di portare alla luce i fatti, di mostrarli nella loro forza incoercibile e nella loro durezza. Il buon giornalismo sa che i fatti non sono mai al sicuro nelle mani del potere e se ne fa custode nell’interesse dell’opinione pubblica».
• Le sue regole: «Al mattino fai cinque telefonate a cinque fonti diverse, a persone che ti possono dare notizie, non importa quali, basta che ti spieghino come stanno le cose; studia, non smettere mai di studiare, appassionati ai problemi, falli tuoi; rispondi, devi rispondere sempre quando il giornale ti chiama; ricordati che questo lavoro lo devi vivere con passione, ogni benedetto giorno, e metti passione in quello che scrivi, coinvolgi il lettore, butta sempre il cuore in quel che fai» (Imarisio, cit.).
• «Giustizialista» quando non «manettaro» secondo i suoi detrattori, in gioventù era finito in carcere per non aver rivelato le fonti di un suo pezzo.
• Vittorio Zambardino, amico, concittadino e collega, ne traccia ha tracciato un ritratto in Peppe. Giuseppe D’Avanzo come io l’ho conosciuto (ebook uscito nel luglio 2013).
• Baffoni e occhiali rotondi, voce stentorea. Grande fumatore di sigarette e sigari. In una delle (rarissime) foto è in maniche di camicia e bretelle dietro una scrivania sommersa dalle carte.