30 maggio 2012
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Biografia di Gerardo D’Ambrosio
• Santa Maria a Vico (Caserta) 29 novembre 1930 - 30 marzo 2014. Magistrato e uomo politico. È il giudice che trovò la formula del «malore attivo» per spiegare la morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli (vedi Adriano Sofri). Poi capo del pool di Mani Pulite, quindi procuratore capo a Milano. Politico: nel 2006 e 2008 eletto senatore (Ds, Pd).
• «Tra il 92 e il 94 siamo stati ingenui: pensavamo che ottenere 1408 condanne definitive per tangenti bastasse a dare un colpo decisivo alla corruzione. Invece quando abbiamo toccato interessi più forti, ci hanno cambiato le leggi. Contro questa criminalità superiore, in ogni periodo storico, ci vogliono magistrati eccezionalmente capaci, autorevoli e preparati. E anche più coraggiosi».
• Studi al liceo classico, laurea a pieni voti in Diritto amministrativo all’Università di Napoli, nel 1953 diventa procuratore legale, nel 1957 entra in magistratura, prima destinazione la Pretura di Nola. Superati gli esami di procuratore aggiunto, è destinato al Tribunale di Voghera, da lì passa alla Pretura di Milano. Poi viene trasferito alla Procura generale dove si occupa del processo Calvi. Nell’89 sale in Procura come aggiunto. Tra i casi più celebri che ha seguito: la strage di Piazza Fontana, le indagini sul terrorismo rosso e nero, la stagione di Mani Pulite (vedi Antonio Di Pietro).
• «Pure i più acerrimi critici gli riconoscevano l’onestà intellettuale del pm che, giusti o sbagliati che fossero giudicati i risultati del suo lavoro, di certo non se li era fatti dettare dalle sue notorie opzioni culturali di sinistra. Così fu nelle conclusioni dell’inchiesta sulla caduta dell’anarchico Pinelli dalla Questura di Milano nel 1969, quando “l’animo della sinistra era rabbiosissimo, volevano assolutamente che la polizia fosse colpevole e che si concludesse per l’omicidio, ma tutte le risultanze lo escludevano”: convinzione mantenuta negli anni da D’Ambrosio, se mai lamentando che gli si rinfacciasse di continuo un’espressione (“malore attivo”) in realtà sintesi giornalistica di un passo della sua archiviazione (“nel termine malore ricomprendiamo non solo il collasso che si manifesta con la lipotimia, risoluzione del tono muscolare e piegamento degli arti inferiori, ma anche con l’alterazione del “centro di equilibrio” cui non segue perdita del tono muscolare e cui spesso si accompagnano movimenti attivi e scoordinati (c. d. atti di difesa)”» [Luigi Ferrarella, Cds 31/3/2014].
• «Quando, nel 1975 – con Calabresi ormai già ucciso da estremisti di Lotta Continua moralmente spalleggiati da tanti bei nomi della cultura italiana – D’Ambrosio concluse l’inchiesta dicendo che Pinelli non era stato ammazzato, ma era caduto per un malore, su di lui si riversarono le peggiori accuse e i peggiori insulti. Certo l’espressione usata per descrivere quel che era capitato a Pinelli (un “malore attivo”), estrapolata dalla sentenza, poteva far sorridere. Ma alcuni punti fermi erano stati raggiunti. Primo fra tutti che Calabresi non era neppure nella stanza da cui Pinelli era precipitato. D’Ambrosio, fino a poco tempo prima accusato di essere comunista dai difensori dei terroristi neri, che ne avevano chiesto la ricusazione, era dunque diventato “un fascista”. Anni dopo, quando si trovò a dirigere l’inchiesta su Mani Pulite, si prese di nuovo del comunista: dicevano che, da procuratore aggiunto, aveva ostacolato le indagini di un pm, Tiziana Parenti, sulle tangenti del Pci. Insinuazioni di cui lui, in fondo, andava fiero: quando un magistrato è accusato sia da destra che da sinistra, vuol dire che nel suo lavoro non guarda in faccia a nessuno» [Michele Brambilla, Sta 31/3/2014].
• Nel 2007 la senatrice Cinzia Bonifacio (nel 1992 accusata di corruzione e associazione a delinquere) gli diede dell’«assassino e criminale» in aula: «Non è forse vero che quelli del pool Mani Pulite hanno ucciso o, meglio, costretto al suicidio molti imputati?».
• «Per quante letture “politiche” siano state tentate in questi anni, i fatti restano fatti: Antonio Di Pietro, un ex poliziotto, contadino, ha trovato la crepa nel sistema dei partiti ed è un cavallo solitario; Piercamillo Davigo è un “cervello” giuridico, è sembrato spesso una spalla, ma solo perché non ama i riflettori; Gherardo Colombo, al quale il palazzo di giustizia di Roma, quando era “il porto delle nebbie”, ha scippato spesso indagini importanti, ha esperienza, ma s’è stufato. Tre tipi diversissimi. Ma D’Ambrosio non ha lasciato scampo a nessuno, né a Francesco Greco, né a Paolo Ielo, né a Ilda Boccassini, tutti hanno collaborato, anno dopo anno, lasciando inchieste che hanno fatto e cambiato la storia, anche quella con S maiuscola» (Piero Colaprico).
• «Di lui si può dire qualsiasi cosa, purché a un certo punto si specifichi: “Però D’Ambrosio è un galantuomo”. Invece i biechi di destra hanno detto: è un giudice comunista. E questo solo per delle informative riservate che lo volevano vicino al Pds; solo perché stroncò Tiziana Parenti che indagava sul Pds; solo perché si oppose agli avvisi di garanzia contro il tesoriere del Pds» (Pietrangelo Buttafuoco).
• Nel 1994 era contrario a spedire l’invito a comparire a Berlusconi durante il vertice Onu di Napoli: «Io sono stato soprattutto un magistrato che ha cercato di fare con grande serietà e professionalità il suo lavoro. Quando depositai la sentenza sulla morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli, dicendo che non vi era prova di un coinvolgimento dei poliziotti, scrissero che ero fascista. Quando rinviai a giudizio Freda e Ventura per piazza Fontana i difensori addirittura mi ricusarono sostenendo che ero socialista» (a Giuseppe Guastella).
• «Delle lettere di insulti (dove "sporco comunista" era l’ appellativo più frequente) non si è mai preoccupato, e delle vignette di Giorgio Forattini che lo prendevano di mira si è appeso un ingrandimento in ufficio» (L’Unità).
• Dopo l’approvazione dell’indulto (luglio 2006, vedi anche Clemente Mastella), fece sapere: «Oggi non mi candiderei più. Non farei il senatore». E ancora, nel 2008: «Lo avevo detto io che dalle carceri ne sarebbero usciti 25 mila, una notte intera a scaricare i dati da Internet e poi arriva Mastella e dice che no, tranquilli, ne usciranno solo 12 mila. Chi aveva ragione? Io, purtroppo».
• Dopo lo scioglimento delle Camere (febbraio 2008) disse: «A uno come me, che per venti mesi ha lavorato come un pazzo, davvero non si può dire che i senatori guadagnano troppo. Se uno viene in aula solo per premere il bottone allora sì, sono troppi soldi. Ma se lavori seriamente, se fai le quattro del mattino come è capitato a me...». È stato anche indeciso se candidarsi nuovamente come senatore: durante il Prodi II aveva presentato dieci disegni di legge sulla giustizia «e invece ne è passato solo uno, ridotto a emendamento alla Finanziaria. Un’umiliazione».
• Ha scritto La giustizia ingiusta (Rizzoli, 2005) e Il Belpaese. L’Italia che ho vissuto (Carte scoperte, 2011).
• Nel 2011 ha sostenuto Pisapia: «Lo conosco da anni: da quando, appena laureato, veniva col padre a fare le udienze in tribunale. E’ una persona molto preparata, onesta e che soprattutto ama Milano e farebbe molto bene il lavoro di amministratore».
• Già vedovo, una figlia. Nel 1991 è stato sottoposto a trapianto di cuore: «Non c’è momento in cui non pensi, più che al donatore, a chi, come la sorella, diede il consenso con un atto di generosità immenso».
• «Sulla morte scherzava, come a volte sa fare chi l’ha vista da vicino: “La signora con la falce non mi vuole”. Gerardo D’Ambrosio l’ha attesa con “serenità”, in ospedale, accanto alla figlia, e l’ha incontrata a 83 anni. É morto più vecchio di quanto pensasse, ma con la coscienza di avere “il cuore libero”. Quel suo cuore trapiantato, del quale era fisicamente “amico”, tanto da indicarlo con il dito, dicendo: “È più giovane di me, per questo non sento la fatica”» [Piero Colaprico, Rep 31/3/2014].