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 2012  maggio 30 Mercoledì calendario

Biografia di Margherita Hack

• Firenze 12 giugno 1922 – Trieste 29 giugno 2013. Astrofisica. Prima donna a dirigere un osservatorio astronomico in Italia. «Fare scienza è come andare a caccia dell’assassino, con lo scienziato nei panni dell’investigatore».

• «Fulgida figura di astrofisica, donna di granitica fattura, autonoma, indipendente, incarnazione del libero pensatore» (Maria Luisa Agnese).

• Da ragazza si cimentò con successo nel salto in lungo e nel salto in alto (e voleva diventare radiocronista sportiva): «Si era tutti nazionalisti, si andava alle adunate, si faceva sport, ci si divertiva un mondo. Sono stata fascista fino al 1938, fino al giorno in cui entrarono in vigore le leggi razziali».

• Il padre era un contabile di formazione protestante e la madre, cattolica, lavorava come miniaturista agli Uffizi. Entrambi vegetariani. «Anche se non era facile: ero l’unica bambina che non faceva religione, che non mangiava carne e con un cognome così bizzarro. Ricordo che per sentirmi un po’ meno strana a un certo punto sono andata di nascosto da un prete per fare la prima comunione. Ma i miei turbamenti religiosi sono finiti lì: volevo essere come tutti gli altri, era il mio unico interesse». [Federico Taddia, La Stampa 30/6/2013]

• Preparò la tesi di laurea in astronomia all’Osservatorio di Arcetri sotto i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Era fuggita dalla facoltà di Lettere dopo aver ascoltato una sola lezione (di Giuseppe De Robertis, su Pesci rossi di Emilio Cecchi) per passare a Fisica. A esami quasi completati, cercò il direttore dell’Osservatorio Giorgio Abetti per chiedergli una tesi di astronomia. Non c’era. Trovò un suo giovane assistente, Mario Fracastoro, che fu poi direttore dell’Osservatorio di Catania e, per vent’anni, dell’Osservatorio di Torino. Fracastoro le affidò lo studio di una stella variabile. Era la prima tesi che seguiva. «Compresi dopo – ha raccontato la Hack – che per questo mi accolse con tanta amabilità e pazientemente mi insegnò a usare il telescopio, sviluppare lastre fotografiche e analizzare spettri stellari». [Piero Bianucci, La Stampa 30/6/2013]

• Ha studiato a Utrech e Groningen in Olanda, a Berkeley in California, a Princeton nel New Jersey incontrando i grandi dell’astronomia e della scienza: dal Nobel William Fowler al padre dell’atomica americana Robert Oppenheimer. Le sue ricerche erano legate soprattutto alla spettroscopia attraverso la quale decifrava la natura degli astri e mentre era a Berkeley scriveva con Otto Struve, illustre astronomo fuggito dall’Unione Sovietica, un trattato (Stellar Spettroscopy) ancora oggi giudicato un testo fondamentale per l’astrofisica. [Giovanni Caprara, Corriere della Sera 30/6/2013]

• «Non sono stata un Einstein. Non ho fatto grandi scoperte. Ho portato, nel mio campo, un contributo al progresso della scienza. E l’ho fatta conoscere soprattutto ai giovani, che sono molto interessati e contenti di imparare qualcosa. Son riuscita a mettere su una scuola di ricercatori molto bravi. Ho fatto fare un salto di qualità all’Osservatorio astronomico di Trieste, che ho diretto per oltre 20 anni». «Nel 1957, durante un lungo soggiorno a Berkeley, in California, avevo fatto delle ipotesi per spiegare le caratteristiche di una stella unica nel suo genere, Epsilon Aurigae, ma per verificare queste ipotesi avrei dovuto osservarla nell’ultravioletto, inaccessibile da Terra. Quando nel gennaio 1978 fu lanciato Iue, il mio primo programma di osservazione fu Epsilon Aurigae. Ricordo che ero alla stazione dell’Esa a Villafranca del Castillo vicino a Madrid da cui si comandava il satellite e aspettavo con ansia guardando lo schermo del computer. Se la mia ipotesi era giusta sullo schermo doveva apparire lo spettro ultravioletto, altrimenti lo schermo sarebbe rimasto vuoto. Dopo qualche minuto cominciarono ad arrivare i fotoni ultravioletti e la strisciolina luminosa che avevo predetto».

• «Tra le sue ipotesi più affascinanti, l’idea di un universo che si espande “a grappolo” e l’ammissione che la vita potrebbe essersi sviluppata anche in altri luoghi dello spazio» (Chiara Vanzetto che nel 2006 ha pubblicato per Editoriale Scienza L’universo di Margherita).

• Nel 1944 sposò Aldo De Rosa (che l’ha sempre chiamata Marga): «Complementare in tutto, lei atea lui cattolico, lei una scienziata lui un letterato (“un’enciclopedia vivente che consulto in continuazione”), lei del tipo aggressivo e lui pacioso, “imprevedibile, timido, sognatore, come un extraterrestre, il mio opposto”. Si sono conosciuti da bambini, a Firenze, dove lei abitava profeticamente in via Centostelle. “Io avevo 11 anni e lui 13, ci incontravamo ai giardini pubblici. Giocavamo a guardie e ladri, noi s’era sempre i ladri. Facevamo anche grandi tornei di palla e corse di resistenza. Ci arrampicavamo sugli alberi, e io lo battevo sempre”. La loro frequentazione si interrompe per dieci anni: il padre di Aldo, commissario di polizia, viene trasferito, prima all’Aquila, poi a Palermo. “Ci siamo ritrovati all’università e a dire il vero ci eravamo piuttosto antipatici. Si litigava sempre, non mi ricordo poi com’è finita che ci siamo innamorati e addirittura sposati”» (Laura Laurenzi).

• Il marito: «“Margherita lo diceva sempre che del matrimonio non c’era bisogno. Secondo me però è un impegno che si deve prendere. Lei non voleva, ho dovuto combattere un po’. Siamo andati in chiesa la mattina molto presto, quando non c’era nessuno. Un po’ si vergognava”. La prima cosa che gli è piaciuta di lei? “Che era straniera. Lei si sente fiorentina, ma il padre era svizzero. Mi ha colpito fin da quando l’ho incontrata da bambino: era energica, si arrampicava sugli alberi meglio di me, giocava a palla e non si arrendeva mai. Mi piaceva la forza che riusciva a esprimere”. Lei non ha voluto figli e lui l’ha assecondata: “Se glielo avessi chiesto non si sarebbe rifiutata, ma avevo capito che non le sarebbe piaciuto, anche fisicamente. E nemmeno a me sarebbe piaciuto vederla col pancione. Per me lei è sempre stata come Giovanna d’Arco: combattiva, un po’ maschile, mai civettuola”» (Enrica Brocardo).

• «Noi i figlioli non si volevano. C’è chi è portato e chi non è portato: io non sono portata. Da ragazza poi mi dava molta noia tutta quella propaganda di Mussolini secondo cui le donne dovevano fare figlioli per forza, e anche tanti. Oggi c’è molta retorica attorno alla maternità. Io preferisco i gatti».

• Ha vissuto fino alla morte a Trieste, in una casa con un giardino «da sempre non curato», con un cane e tre gatti.

• Sul suo aspetto trasandato: «Mi piaceva vestirmi bene, anche se sempre in modo molto semplice. Truccarmi no, al massimo avrò messo qualche volta un po’ di rossetto. Ma se i capelli non mi stavano come volevo io pativo molto. Poi m’è passata. A 18 anni ho smesso di badarci».

• Nota anche per le sue attività non strettamente scientifiche e in campo sociale e politico, è stata garante scientifico del Cicap (associazione che da anni si batte per dimostrare l’infondatezza di qualsiasi previsione astrologica), presidente onorario dell’Unione degli atei e degli agnostici Razionalisti; iscritta all’associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica. Nel 2005 eletta nel Consiglio regionale lombardo con il Pdci, cedette il seggio a Bebo Storti. Nel 2006 capolista alla Camera del Pdci in Friuli (senza essere eletta). Nel 2007 votò alle primarie del Pd, ma ribadì: «Sono un po’ più a sinistra». Nel 2008, dopo la batosta subita alle politiche dalla Sinistra-l’Arcobaleno, fu tra i cento che firmarono per il recupero non solo e non tanto della falce e martello, quanto del comunismo.

• Vegetariana.

• Convinta dell’esistenza degli extraterrestri: «È quasi certo che esistano, anche se le distanze sono talmente enormi che è praticamente impossibile che avvenga un contatto. Ma è assurdo pensare che non esistano altre forme di vita all’interno della Galassia».

• Alla domanda in tv di Lilli Gruber: «Lei crede in Dio?» rispose secca: «No». Ha poi spiegato: «Non c’è né Dio, né l’aldilà, né l’anima. Quello che noi chiamiamo anima è il nostro cervello. Non credo nella vita dopo la morte e tanto meno credo a un paradiso in versione condominiale, dove rincontrare parenti, amici, nemici, conoscenti. Non mi soddisfa. Certo, può essere consolatorio: un po’ come credere alla Befana...».

• Trecento pubblicazioni scientifiche, 45 libri divulgativi, gli ultimi Nove vite come i gatti (Bur – Rizzoli 2013), Stelle, pianeti e galassie. Viaggio nella storia dell’astronomia (Editoriale Scienza 2013), La mia vita in bicicletta (Sperling & Kupfer 2013).

• Coautrice del brano Questo il mondo del cantautore Stefano Pais, nel 2006 fu esclusa da Sanremo Giovani: «La mia esperienza musicale si chiude qui e continuerò a non guardare il Festival, che trovo di una noia mortale».

• In suo onore è stato intitolato l’asteroide 8558 Hack.