30 maggio 2012
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Biografia di Paolo Isotta
• Napoli 18 ottobre 1950. Storico della musica e critico musicale. Del Corriere della Sera (dal 1980 al 2015). Ha raccontato la sua vita, i suoi incontri e le sue passioni nel libro La virtù dell’elefante, pubblicato da Marsilio nel settembre 2014.
• Figlio di un grande avvocato civilista. «Nella sua saggezza, papà avrebbe voluto che facessi l’avvocato: esservi decoroso posto in tal mestiere anche per i mediocri, nella musica o si tocca l’eccellenza o si è un fallito. Il mio più gran rimpianto è non averlo ascoltato: oggi, con la mia intelligenza, la mia memoria, il rispetto acquisito per il lavoro ben fatto, sarei un professore di Diritto civile e i grandi clienti verrebbero da me col cappello in mano. Sono invece un impiegatuccio che dipende dal buon volere dei superiori...».
• Studi di pianoforte col maestro Vincenzo Vitale, corsi di teoria musicale dal maestro De Santis, composizione con Renato Parodi e poi con Renato Dionisi. «Quando da ragazzo capii che non avevo le qualità per fare il direttore d’orchestra, avevo bisogno di qualcuno che mi facesse da maestro per la musicologia, che in quegli anni era una materia molto nuova. Mi consigliarono un professore che ora è morto e che a quell’epoca stava a Parma. Ero un ragazzino carino e questo me lo voleva mettere in culo. Io non volli, lui mi disse: “Ti taglierò le gambe”. E lo fece, perché me lo trovai come commissario in due concorsi universitari. Un altro professore che respinsi mandò una lettera anonima ai miei genitori, che però riuscii a intercettare, dove li invitava a sorvegliarmi perché “i medici riescono a guarire le tendenze contro natura”» (a Silvia Truzzi) [Fat 20/7/2014].
• Dopo il liceo Umberto studiò presso la Federico II sia Lettere che Giurisprudenza. Professore straordinario al Conservatorio a 21 anni, poco dopo ordinario, nel 1994 lasciò la cattedra «per progressiva intolleranza verso gli allievi attuali».
• Nel 1974 divenne critico musicale del Giornale di Montanelli (Pietrangelo Buttafuoco: «Fu severo col baritono Renato Bruson e questi, incontratolo in un teatro, cercò seriamente di strozzarlo; il critico fu salvato da due attrezzisti»). Passato al Corriere della Sera, «nell’articolo 1 di dipendente di Via Solferino, Isotta aveva una clausola che lo relegava a scrivere solo da Roma in giù» (ancora Buttafuoco).
• «Un po’ piemontese e molto napoletano, devoto di San Gennaro, del quale afferma di godere ampia protezione, è il critico musicale (precisiamo, storico della musica) più bravo e più importante d’Italia. Lo sanno tutti, ma non tutti sono disposti ad ammetterlo, per motivi imperscrutabili. Da anni egli presta preziosa opera al Corriere della Sera senza farsi intimidire da alcuno, senza piegarsi ad alcuno, e se ciò giova alla sua reputazione, non giova alla sua quiete personale né ai rapporti nell’ambito della redazione, dove c’è sempre un collega o dieci a cui le persone intelligenti, libere e competenti danno sui nervi (…) Ha una prosa aulica, classicheggiante e rivelatrice di un’erudizione non comune in questi tempi di decadenza scolastica e universitaria. I suoi scritti si leggono avidamente: contengono concetti illuminanti, perfino sottilmente ironici» (Vittorio Feltri) [Grn 5/11/2014].
• «È uno specialista con in più il buon gusto del dilettante, nel senso etimologico del termine. Nelle sue critiche la musica si mischia alle lettere, cede il passo alla pittura, corre incontro alla cultura, delicatamente polemizza con la memorialistica. (…) C’è in lui un elemento “scugnizzo” che solo chi conosce la realtà di Napoli può comprendere, il combinato disposto di plebe e aristocrazia, popolino e borghesia che anima il suo centro senza barriere economiche e sociali, un intreccio unico che ne è insieme tormento e estasi. Coniugato al dandismo, l’essere scugnizzo è spesso una miscela esplosiva» (Stenio Solinas) [Grn 4/2/2013].
• «È napoletano del Reame e continuatore della lingua poetica del “dolce stil novo” ottocentesco e adopera perciò parole giammai sconciate dall’inabilità dello spirito ma sempre vive di timbro e prodigio» (Pietrangelo Buttafuoco) [Fog 2/7/2013].
• Nel 2013, dopo un articolo fortemente critico nei confronti di Daniel Harding e, indirettamente, di Claudio Abbado, fu bandito dalla Scala dal sovrintendente Stéphane Lissner. Con un corsivo sul Corriere della Sera il direttore Ferruccio de Bortoli commentò così: «Isotta è stato bandito dalla Scala. Non vi potrà più entrare. Decisione del sovrintendente dopo un articolo non proprio benevolo nei confronti di Daniel Harding e, indirettamente, di Claudio Abbado. Chi scrive, al contrario del suo critico, ama entrambi i direttori d’orchestra, l’allievo e il maestro, ma ha sempre ritenuto e ritiene che la libertà di critica sia sacra purché non scada mai nei toni e nei contenuti».
• «Ferruccio de Bortoli è stato ed è un grande amico; ed è un grande direttore. Ricordo che durante la sua prima direzione, ero al Festival di Pasqua di Salisburgo e Claudio Abbado diresse un Tristano di Wagner vergognoso. Scrissi una stroncatura, motivata, e De Bortoli si vide arrivare questo articolo violentissimo contro un mammasantissima come Abbado. Una cosa che al direttore del Corriere provocava più fastidi che una crisi di governo. Non per la mia importanza, ma per una questione di rapporti. L’articolo uscì così com’era, senza una virgola cambiata. Ma conservo molta gratitudine anche verso altri direttori, a cominciare da Paolo Mieli che nel 1993 resistette agli attacchi di Abbado e Pollini per farmi fuori. Solo con Cavallari ho avuto cattivi rapporti, voleva cacciarmi. Per mesi proibì che si pubblicassero miei articoli per fare un piacere al suo amico Edilio Rusconi il quale mi odiava perché avevo preso in giro un libro ridicolo di una musicologa americana, che sosteneva che la musica di Alban Berg è “sexy”».
• Il 16 ottobre 2015 il suo elzeviro sul “Corriere della Sera” si chiudeva con queste parole.
“Sono felice del fatto che citando costui per l’ultima volta faccio il nome d’un interprete mediocre: con mediocrità siffatte non avrò più da fare. Torno a essere un musicista e null’altro che questo. Col presente articolo si chiude la mia attività di critico musicale svolta per più di quarantadue anni; sul “Corriere della Sera” da trentacinque. L’ho esercitata con totale libertà; onde ringrazio i Direttori che, succedendosi, me l’hanno concesso, da Franco Di Bella a Ferruccio de Bortoli. Nel congedarmi mi piace ricordare che Francesco Guicciardini, commentando la sua azione quale governatore di Parma – presso la quale, alle Roncole di Busseto, nacque il più grande musicista della nostra Nazione - , chiosò, traendo il detto da Plutarco: Magistratus virum ostendit (“La carica illustra l’uomo”). Ciò poteva per me trentacinque anni fa ancor valere; oggi, sempre per me, solo va detto: Vir magistratum ostendit: “L’uomo rende illustre la carica”; la quale in sé, prima e dopo di lui, è parva res. “
• Nel 1974 pubblicò I diamanti della corona (Utet), sulle opere serie di Rossini, primo libro mai dedicato a questo tema. Tra i suoi libri, Dixit Dominus Domino meo: struttura e semantica in Händel e Vivaldi (Edizioni internazionali di musica sacra, 1980), Il ventriloquo di Dio (Rizzoli, 1983), Le ali di Wieland (Rizzoli, 1984), Victor De Sabata: un compositore (Edizioni della Scala, 1993), Omaggio a Renata Tebaldi (Edizioni della Scala, 2002).
• A proposito de La virtù dell’elefante: «L’ultimo libro importante l’ho pubblicato 31 anni fa, dopodiché sono stato bloccato per tre decenni. Ho scritto libri più corti. Ma ogni volta che si trattava di fare un lavoro più importante, più impegnativo, mi mettevo a studiare, a raccogliere il materiale e non mi sentivo all’altezza. Perciò mi bloccavo. Le mie ossessioni si sintetizzavano in una frase di Borges, “Una foglia postula l’universo”. E al cospetto dell’universo mi arrendevo. Poi, il giorno della Madonna del Carmine del 2013, il 16 luglio, ho cominciato a scrivere ed evidentemente sono stato aiutato dalla Madonna perché ho cominciato ad accettare i miei limiti. È stato un miracolo. Anche se certo non posso chiedere ai lettori di accettare anche loro i miei limiti, posso solo affidarmi alla benevolenza. Allora ho scritto un libro che solo apparentemente è un memoir, in realtà racconta soprattutto gli incontri con le persone grandissime che ho avuto il privilegio d’incrociare nella mia vita. Non solamente i grandi del mondo della musica. Parlo molto di Napoli e delle mie somme passioni: Wagner, Virgilio, Alessandro Scarlatti. Il libro è stato rifiutato da sei editori, in parte per motivi politici. Alla fine uscirà per Marsilio, m’ha aiutato San Gennaro perché ho avuto modo di lavorare con ottimi professionisti. Un editore mi ha detto: una persona perbene non scrive di essere amico di Marcello Dell’Utri. Invece io sono amico, e fiero di esserlo, di Marcello quindi non posso accettare un discorso del genere» (a Truzzi, cit.).
• «Ascoltando le fluviali e disordinate memorie dell’autore mi domandavo: ma che libro è questo senza le trame ed i personaggi di un romanzo ma con mille trame e mille personaggi ricordati ora con affetto ora con sapiente ironia, e sempre colti in un momento, in una frase, in un commento, rivelatori del loro carattere (…) Quanta ironia, quanta intelligenza, che profluvio di aneddoti, quante battute da ricordare, quanti pettegolezzi, personaggi, mezze figure e figuranti appaiono in questo teatro napoletano che Paolo Isotta fa vivere e di cui lui stesso è un protagonista. Questo è un libro “concentrico”, per così dire, senza nessuna progressione narrativa, e dunque tutto si espande come le onde quando un sasso cade nell’acqua. Il sasso qui è la natura tosta di Paolo Isotta che non si smentisce mai, curiosità infinita, cultura, erudizione, presunzione, talvolta protervia, e sempre un tocco di spericolata spregiudicatezza. Ma anche, e molto spesso, delicatezza di sentimento, cordialità, simpatia, e pietas» (Raffaele La Capria) [Cds8/10/2014].
• A ottobre 2015 è uscito ancora un suo libro, Altri canti di Marte. Sul verso della copertina riportate le parole di due artisti italiani che l’avevano letto. Francesco Caramiello dice: “Sono commosso e sbalordito da tanta bravura. La capacità che ha Paolo Isotta di contestualizzare le composizioni trattate, relazionandole ad altre, coeve e no, è qualcosa di straordinario e unico a tale livello. E’ qualcosa che solo Mario Praz poteva fare.” E Orazio Mula afferma: “Paolo Isotta adempie la storicamente necessaria, finora mancata rivalutazione del nostro grande Novecento musicale. Attraverso il pensiero e il bello scrivere ha sempre tenuto fede al carisma di far scoprire la bellezza ch’è nella musica, a beneficio di tutti i suoi lettori.”
• Nel 2007 fu premiato dal ministro Rutelli con la medaglia d’oro ai Benemeriti della cultura e dell’arte.
• Fa parte dei dieci musicisti italiani che, visto l’abuso oggi fatto del titolo di Maestro, hanno sottoscritto un documento col quale proibiscono di attribuirlo loro: la lista è aperta da Riccardo Muti.
• Interrogato da Buttafuoco sulla sua sessualità, ha risposto: «Io faccio tutte cose, comme se dice a Nnapule so’ attivo & passivo. Cco mascule e cco femmene. Ma nisciuno me può cchiammà “gay”. Io so’ ricchione. Vene a ddicere ca ’o ricchione è ommo, nel senso di essere umano. Homo sunt et nihil umani a me alienum puto. ’O gay, Dio liberi, è na caricatura ’e ommo e, al contempo, na caricatura ’e ricchione. Siamo in piena operetta, diceva ’o Maestro Pannain. ’nt’a ’na tetra operetta» [Fog 2/7/2013].
• «Ho avuto grandi storie d’amore. Quando ero ragazzo tendevo a innamorarmi. Mi innamorai pazzamente del grande pianista Dino Ciani che morì giovanissimo: e lui fu con me di una infinita delicatezza, giacché gli piacevano tipi rudi che lo maltrattassero, non un ragazzino aspirante critico musicale; quando avevo ventun anni un uomo sposato della più alta borghesia napoletana, di una famiglia amica della mia da quattro generazioni, mi fece girare la testa e dal punto di vista erotico è stata l’esperienza (non mercenaria) più intensa che abbia avuta. Mi sono innamorato di una ragazza napoletana trentacinque anni fa, Raffaella, colla quale sono stato a lungo fidanzato, e ancora ci vogliamo un bene dell’anima. Il mio amore femminile più completo e oggi più vivo che mai è con Toinette Manzella, una napoletana che vive a Roma e che ho soprannominato Judith per il suo desiderio di troncare il capo ai miei nemici, o presunti tali» (ad Alberto Dandolo) [Dagospia 24/10/2014].
• «Nel 1976 avevo a Milano una relazione con una donna molto più grande di me. A un certo punto mi accorsi che la signora era una grandissima iettatrice. Decisi di rompere con lei, ma dovevo farlo con tatto: mai far arrabbiare lo iettatore, lo iettatore non va irritato. Bisogna esser cauti assai. Chiamai Piero (Buscaroli, ndr) al telefono, gli raccontai le mie angosce. Lui andò da Bologna a Milano in auto seduta stante. Le raccontò tutto, non ho mai capito perché» (a Truzzi, cit.).
• «Per come li concepisco io, gli amori omosessuali sono amori nei quali l’elemento affettivo non deve entrare. Però è evidente che è un mio modo di concepirli. L’eros è talmente variegato che c’è spazio per mille sfumature» (ibidem).
• Un cane, Herzeleide, una gatta, Isaura.