30 maggio 2012
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Biografia di Franco Interlenghi
• Roma 29 ottobre 1931 – Roma 10 settembre 2015. Attore. Ha lavorato con i più grandi registi italiani come De Sica, che lo scoprì, e poi Visconti, Fellini, Antonioni e Monicelli. Tra i suoi film: Sciuscià (De Sica, 1946), I vitelloni (Fellini, 1953). Da ultimo Romanzo criminale (Placido, 2005), Notte prima degli esami, Oggi (Brizzi, 2007), Io, Don Giovanni (2009) e La bella società (2010). In tv nel 2006 nella fiction Papa Luciani su Raiuno (nel ruolo di Monsignor Casaroli).
• «Abitavo a Roma, a via Palestro, all’angolo con via XX settembre. Era il luglio 1945 e giocavo coi compagni, davanti a una villa inglese che ora non c’è più perché fu fatta saltare in aria nel 1948 dai terroristi. Giocavamo a tirarci un pezzo di legno, tanto per passare il tempo. Un vecchio generico che abitava da noi all’ultimo piano, forse scocciato dalle nostra grida, ci disse: “Ma che fate qui? Andate a via Po che De Sica cerca dei ragazzini per un film”. Ci andammo. Capirai! C’era una fila che arrivava fino a piazza Fiume. Allora, la fame spingeva tutti a tentare di fare la comparsa. Arrivai finalmente davanti a De Sica. Lui mi chiese: “Sai fare a pugni?”. E io risposi: “No”. “Avanti un altro!”, disse lui guardando la fila davanti a sé. Ci rimasi malissimo. Colpo di genio. Mi rimisi in fila. Tanto, neanche mi ha guardato, pensai. E infatti, arrivato di nuovo il mio turno, lui mi richiese: “Sai fare a pugni?”. E io, tutto d’un fiato: “Sì, faccio a pugni con mio fratello, coi compagni, poi vado in palestra, poi prendo lezioni di pugilato, poi...”. “Prendete il numero di telefono!”, tuonò De Sica» (da un’intervista di Flora Lepore).
• «È stato con Sciuscià uno dei minorenni più famosi del neorealismo insieme a quelli di Germania anno zero e Ladri di biciclette. Erano bambini non prodigio ma che testimoniavano dell’Italia umiliata e sconfitta dalla guerra (…) Con quegli occhi mai davvero innocenti, ricciolino, era pronto a passare dall’epoca post bellica al realismo rosa della Domenica d’agosto (1949) di Emmer (il ciclista proletario che si finge ricco) e di Parigi è sempre Parigi; e il paesano rivoluzionario di Don Camillo, il sospetto innocente di Processo alla città, il fratellastro della Lollobrigida nella Provinciale di Soldati-Moravia. Ma dopo il ragazzo del riformatorio, il ruolo che nel ’53 segna la carriera di Interlenghi è quello di Moraldo nei Vitelloni di Fellini compagno dell’ammiratissimo Sordi, di Trieste, Franco Fabrizi e Riccardo Fellini: ma è lui a sostenere il ruolo autobiografico del regista (“mi aveva chiamato, guardato a lungo senza dire una parola”) quello che decide di troncare con le illusioni di provincia e di tentare la fortuna a Roma. È lui in treno in un magico finale, mentre gli amici dormono: in città il personaggio di Moraldo si trasforma nel Marcello della Dolce vita». (Nicola Porro).
• «Era attraente, spontaneo, accattivante, aveva la fresca energia della giovinezza, era perfetto per rappresentare un paese pronto a ricominciare da capo, a rinascere dalle rovine del fascismo e della guerra. Nel biennio 1948/49, a quell’attore naturale privo di scuola, si aprirono persino le porte del teatro: tre spettacoli storici (Rosalinda, Morte di un commesso viaggiatore, Troilo e Cressida) con la compagnia Morelli- Stoppa e sotto la prestigiosa direzione di Luchino Visconti» (Alessandra Levantesi Kezich).
• «Apprezzato dai registi del neorealismo, fu però “punito” dalla faccia – un po’ troppo bella – di cui madre natura lo aveva dotato, finendo spesso relegato in parti di primo amoroso, fidanzato della figlia di Totò (Totò Peppino e i fuorilegge) o bel giovane nei peplum, come in Fabiola di Alessandro Blasetti e Ulisse di Mario Camerini, dove era un Telemaco disceso dai lombi di papà Kirk Douglas» (Roberto Nepoti).
• «Tuttavia il fatto di essere icona del neorealismo lo penalizzò, relegandolo nell’oblio, sulla svolta degli anni Sessanta: come se nell’Italia cinica del boom non ci fosse più posto per quel suo bel volto pulito. Per ritrovare Interlenghi sullo schermo bisogna attendere la fine degli anni Ottanta, e l’affermarsi di fresche leve di registi che, in qualche modo, si riallacciano al cinema dei padri. Sono Giuseppe Tornatore (Il camorrista) e Michele Placido (da Pummarò a Romanzo criminale) i primi a recuperare l’ormai maturo interprete offrendogli ruoli di carattere e dando il via a una nuova fase della sua carriera» (Alessandra Levantesi Kezich).
• Sposò nel 1955 con la collega Antonella Lualdi. «Era il 1953, nel film Canzoni, canzoni, canzoni di Domenico Paolella. È là che ho incontrato Antonella Lualdi, nella storia facevo lo studente, quello di Signorinella pallida. Per tutto il tempo ho cercato di corteggiarla. Quant’era carina! Gagliarda, veramente, abbiamo volato insieme per quindici anni» (a Fulvia Caprara)
• «I due si sarebbero separati ma, dopo un lungo periodo di lontananza, erano tornati insieme, incarnando fino all’ultimo quella coppia magica che aveva fatto sognare tanti italiani» (Gloria Satta).
• Due figlie, entrambi attrici, Stella e Antonella. Quest’ultima ha partecipato a diversi film di Bolognini (Gli innamorati, Giovani mariti, La notte brava), e poi aiutò un riconoscente Pasolini a inizio carriera, lavoro con Rossellini in Generale della Rovere e Viva l’Italia ; e tentò, ma non firmata, la regia di Universo di notte, nel ’62, filone strip night lanciato da Blasetti.