Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  maggio 28 Lunedì calendario

Biografia di Giancarlo Maria Bregantini

• Denno (Trento) 28 settembre 1948. Arcivescovo metropolita di Campobasso-Boiano dal novembre 2007 (ordinato da Benedetto XVI). Presidente della Commissione Cei per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace.
• Passato da operaio (alla Montedison di Porto Marghera, in fonderia a Verona), per tredici anni vescovo di Locri-Gerace (1994-2007), «ha sfidato la ’ndrangheta in una zona dove nulla si muove senza il consenso delle cosche» (Carlo Macrì), per questo grandi polemiche quando fu trasferito. Trasferimento vissuto dai fedeli calabresi come un allontanamento. Lui dichiarò in una lettera aperta: «Sono convinto che la mia partenza dalla Locride sia simile ad un albero potato ma non tagliato. Un albero che se sarà bene innestato darà frutti ancora più rigogliosi. La gente della Locride però non ha solo bisogno di buoni samaritani o di olio consolatorio, ma anche di buoni seminatori».
• «Per prima cosa fece diffondere in tutte le parrocchie i nomi di tutte le 263 persone che erano state ammazzate negli ultimi dieci anni. Poi distribuì un durissimo libro di preghiere di “sfida alla mafia”. Poi prese a battere a tappeto tutti i paesi e le contrade martellando (soprattutto in luoghi come Motticella: poche centinaia di abitanti e una cinquantina di morti per una faida) contro “l’idea aberrante di un destino ineluttabile per cui in Calabria tutto è sempre stato e tutto sempre sarà così”. Quindi, appoggiandosi anche a collaboratori entusiasti quali Piero Schirripa, un medico “profugo del marxismo”, cercò di spiegare alla gente di Platì, il paese incattivito da troppi tradimenti dello Stato fin dalla feroce conquista dei bersaglieri, il paese dei 68 sequestri in cui la mamma di Cesare Casella si era incatenata in piazza chiedendo la liberazione del figlio rapito, il paese in cui il nuovo parroco don Alessandro Di Tullio aveva trovato “registri parrocchiali dove non venivano annotati i morti da cinque anni e i battesimi da sette”, che c’erano alternative ai posti di lavoro offerti dai boss. E aiutò i giovani del posto a fondare la Cooperativa Valle del Buonamico che nel giro di pochi anni, vincendo pure l’ottusità idiota di uffici pubblici capaci di chiedere 24 passaggi burocratici e intralciare la concessione al vescovo del certificato antimafia, fece capire per la prima volta alla gente che si poteva vivere, dignitosamente, anche coltivando fragole, mirtilli e lamponi. Non c’è stato giorno, per anni, in cui monsignor Bregantini non abbia picchiato duro sulla mafia e la cultura mafiosa. Fino a suggerire “se necessario la militarizzazione della zona” perché “chi fa il male deve essere umiliato nel suo falso ‘onore’ perché ritrovi la forza di cambiare”» (Gian Antonio Stella).
• Nel 2012 ha lanciato l’allarme sugli effetti della riforma Fornero (vedi), dicendo: «Il lavoratore non è una merce. Non lo si può trattare come un prodotto da dismettere, da eliminare per motivi di bilancio» (a Giacomo Galeazzi) [Sta 23/3/2012].
• Nel 2013 ha caldeggiato, a nome della Cei, la rielezione del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
• Tra le sue ultime opere Non possiamo tacere. Le parole e la bellezza per vincere la mafia (Piemme, 2011).