28 maggio 2012
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Biografia di Arturo Brachetti
Torino 13 ottobre 1957. Attore trasformista, regista e prestigiatore. «Fin da bambino non riuscivo a mostrarmi su un palco se non travestendomi. Di questo mio psicodramma ho fatto un’arte». In grado di interpretare ottanta personaggi in cento minuti.
• «Faccia liscia da ragazzo, il celebre ciuffo svettante su un cranio quasi rasato, il fisico magrissimo e tonico, adatto a reggere i suoi costumi spesso esagerati» (Silvana Mazzocchi). «Il Leopoldo Fregoli dei nostri giorni» (Anna Bandettini).
• «Pare che sia uno dei due unici attori a praticare quest’arte che i francesi, nel Settecento, chiamavano Chapeaugraphie» (Alvise Sapori). Brachetti: «Credo il termine sia stato usato per definire il lavoro del primo, cioè dell’inventore di questo gioco trasformistico. Sarebbe stato un certo Tabarin, ma sì: come il bar tabarin. E forse il tabarin inteso come sala di spettacolo leggero deriva da lui, il quale, sulla Place Dauphine, o sul Quai de la Seine, sempre dalle parti del Pont Neuf, avrebbe inventato e perfezionato questo numero. Siamo nei primi anni del Settecento».
• Padre impiegato alla Fiat, nonno operaio nella stessa azienda, «magro e bruttarello, gli altri bambini mi prendevano in giro, così per tenerli buoni inventavo giochi di illusionismo», «mi descrivevano timido, in famiglia e fuori, poco adatto a giocare a calcio, a fare a botte con i compagni di scuola. Mio padre decise di mandarmi in seminario. Mi vedeva mite pretino, protetto dalla tonaca e dal magistero sacerdotale. Invece, proprio in seminario, ho imparato ad essere Brachetti. Conobbi don Silvio Mantelli, un giovane prete prestigiatore che aveva, là dentro, un magazzino fascinoso, pieno di giochi, trucchi e libri di magia. Gli bastò darmene la chiave. Entrai e fui subito rapito dalle possibilità che mi si aprivano davanti». A 18 anni si rifece il naso: «Avevo una melanzana. Quando mi trasformavo nei personaggi femminili sembravo sempre la Callas».
• «Fregoli è stato un grandissimo. Sono stato persino benedetto da una coincidenza: ho debuttato con il mio spettacolo, a Parigi, un secolo esatto dopo il debutto di Fregoli, giorno, mese e anno. Perché non considerarla una sorta di lontana benedizione? Sono un attore che è capace di cantare, faccio delle pantomime e qualche numero di prestidigitazione, parlo al pubblico e posso farlo in italiano, in francese e in inglese. Tecnicamente, quello che faccio in prevalenza, si dovrebbe definire “trasformismo”. Mi trasformo in vari personaggi, anche astratti. Travestirsi allude al travestimento al femminile, cosa che pure faccio, ma il trasformismo mi permette non solo personaggi umani ma anche astrazioni».
• «Giro con tre tir e venti persone dietro le quinte che mi aiutano, concentratissime perché tutto deve essere un orologio».
• «La velocità dei miei trasformismi è tecnica della ripetitività. Più ti alleni, più sei veloce. Sono uno che mangia veloce e dorme poco». «Quanto impiega per un cambio d’identità, quanto per prepararlo? “Due secondi. Forse tre. A volte anche uno e mezzo. Ma per un’esibizione posso lavorare anche un anno”» (Lavinia Farnese). «In palcoscenico mi si vede da solo, ma dietro le quinte ho due assistenti che si occupano dei costumi. Con loro ho un rapporto quasi fisico e violento, a volte ci facciamo anche male perché scappano delle gomitate».
• «Mi piacerebbe riuscire a fare una cosa “normale”. Voglio dire che vorrei avere un ruolo in un film dove non mi cambio, non volo, non sparisco».
• Regista di tutti gli spettacoli teatrali di Aldo, Giovanni e Giacomo.
• Da ultimo lo show Arturo Brachetti 2014, scelta delle sue migliori performance. Nel 2013 ha presentato in Canada e Francia Comedy Majik Cho.
• Dal 2006 è nel Guinness dei primati come il trasformista più veloce del mondo.
• Si è raccontato nell’autobiografia Uno, Arturo, Centomila. Vita, magie e salti mortali dell’uomo dai mille volti (Rizzoli, 2007).
• Conosce a memoria Zelig di Woody Allen.
• Dice di non bere, non fumare, non prendere droghe, ma solo di avere passione per le torte al cioccolato.
• Corpo pieno di ferite per gli incidenti in scena (scivolate dietro le quinte ecc.), una volta ha tamponato la ferita sul cranio col cerotto, poi ci ha messo sopra del trucco e ha continuato, il pubblico non s’è accorto di niente, «ma mi faceva un male boia».
• «La casa di Arturo Brachetti: “Ha i passaggi segreti, la libreria che gira, l’acqua luminosa, i quadri che parlano, i muri che si spostano, è piena di scemenze che mi corrispondono”; quando va in giro si veste da “rocker, prete o professore di filosofia”» (Renato Franco).