28 maggio 2012
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Biografia di Enrico Bondi
• Arezzo 5 ottobre 1934. Manager. Amministratore delegato della Parmalat dal 2005, rimane in carica fino al marzo 2011, quando la francese Lactalis comincia ad acquisire le azioni del gruppo. Dal 30 aprile 2012 al 7 gennaio 2013 commissario alla spending review, nominato dal governo Monti; dall’11 aprile al 25 maggio 2013 amministratore delegato dell’Ilva di Taranto (si dimette un mese dopo a seguito del maxi-sequestro preventivo di 8 miliardi di euro deciso dal gip di Taranto il 22 maggio sui beni della Riva Fire Spa, che controlla l’Ilva). A giugno 2013 il governo Letta decide di ricorrere al commissariamento temporaneo dell’Ilva per realizzare gli interventi di bonifica dell’impianto siderurgico controllato dalla famiglia Riva (che è al centro di una indagine della magistratura per disastro ambientale) e lo nomina commissario strarodinario del gruppo. «Ho perso peso a furia di star seduto».
• Vita Laurea in Chimica presso l’Università di Firenze, si occupò di ricerca in Montedison e all’Ivi, poi nel 1975 passò alla Snia, dove anche grazie a Cesare Romiti fu nominato Responsabile ricerca e sviluppo della divisione chimica. Nel 1993 iniziò la sua leggenda di grande risanatore: venne scelto da Enrico Cuccia per affiancare Guido Rossi, allora presidente, nel salvataggio del gruppo Montedison dopo il crac dell’impero Ferruzzi seguito a Tangentopoli e al suicidio di Raul Gardini (Montedison aveva un debito di 30 mila miliardi di lire). «Bondi è di quelli che arrivano in ufficio alla sette della mattina, quando gli altri ancora dormono, e quindi gode di un certo vantaggio. Si mette al lavoro. Di fatto (lui che si proclama un chimico) cancella la chimica e trasforma la Montedison in un gruppo energetico (il secondo dopo l’Enel, sia pure a una certa distanza, come dimensioni). E il lavoro di restyling riesce così bene che quando in giro se ne accorgono comincia una guerra lunga parecchi mesi per arrivare al controllo della stessa Montedison» (Roberto Turani).
• Nel 2001 passò in Telecom-Olivetti, dove nel tempo ricoprì gli incarichi di amministratore delegato, presidente di Telecom Italia Mobile e presidente di Seat Pagine Gialle. «Subito di lui si dice che è sul piede di partenza, che “soffre” l’ombra di Tronchetti, che è uomo di chimica e non di telecomunicazioni. Lui, come al solito, non dà retta alle voci e lavora. Alle strategie, al piano industriale, gestisce l’uscita di alcuni manager di peso, e chiama solo pochi fedelissimi, fra i quali il responsabile alla sicurezza. Taglia costi, rivede la pubblicità. Non fatica a dialogare con i politici, carta indispensabile in un mondo regolamentato come quello della telefonia. Forse, a questo punto considera la sua missione compiuta. E lascia, in grande accordo con Tronchetti Provera» (Sergio Bocconi).
• Nel settembre 2002 assunse l’incarico di amministratore delegato della Premafin, la finanziaria di Salvatore Ligresti. Di qui sarebbe dovuto andare in Fiat: ma la fama di uomo durissimo con i creditori (per salvare le aziende non esita ad azzerare le pretese di chi vuole soldi e a revocare i pagamenti anche di soggetti sulla carta molto forti) mobilitò le banche creditrici della Fiat, che impedirono a Umberto Agnelli di chiamarlo: «Ha un curriculum che ne fa, per le banche creditrici, “un personaggio da incubo”: “Il modus operandi scelto insieme a Mediobanca per ristrutturare il debito e forzare l’acquisto di obbligazioni a prezzi superscontati ha riportato nelle tasche dei prestatori di Ferruzzi soltanto un quinto del valore”» (Rob Cox). Passò perciò brevemente presso il gruppo Lucchini e fu infine chiamato al salvataggio della Parmalat, ottavo gruppo italiano, che nel dicembre 2003, dichiarandosi non in grado di rimborsare un bond da 150 milioni di euro, annunciò un crac da 14,4 miliardi di euro (pari allo 0,7% del Pil italiano) lasciando a tasche vuote 99 mila risparmiatori (vedi Calisto Tanzi e Fausto Tonna).
• Chiamato come consulente dal cda della Parmalat il 10 dicembre 2003, fu nominato commissario straordinario il 24 dicembre, ventiquattr’ore dopo che il ministro delle Attività produttive Antonio Marzano aveva fatto approvare un provvedimento che concedeva l’amministrazione controllata, sotto la guida di un commissario straordinario, a grandi aziende in situazioni di insolvenza che avessero più di mille dipendenti e un debito superiore a un miliardo di euro. Bondi calcolò subito una perdita del cento per cento per gli azionisti e almeno dell’80 per cento per gli obbligazionisti. E mise sotto accusa le banche sia italiane (in particolare Capitalia) che straniere (in particolare la Bank of America, contro la quale avrebbe intentato quindici cause). Le colpe tra banche italiane e banche straniere furono divise così: banche italiane 30 per cento, banche straniere 70. Al tribunale (testimoniò il 28 febbraio 2006) disse di aver avviato 3 azioni di responsabilità, 15 di risarcimento e 75 revocatorie. Si sa che queste riguardavano una cinquantina di banche italiane e straniere (7,5 miliardi di euro furono chiesti alle banche italiane, 10 miliardi di dollari a quelle straniere).
• Suo racconto di come fu coinvolto in Parmalat: «Tanzi mi invita a cena a Collecchio l’8 dicembre 2003, mi chiede di ristrutturare il gruppo e trovare i 150 milioni per pagare il bond scaduto. Vengo eletto presidente il 15 del mese. Tre giorni dopo mi convoca d’urgenza la Consob a Roma: è Lamberto Cardia, in quell’incontro riservato, il primo a dirmi che non esistevano i 3,9 miliardi di euro della Bonlat. L’ho saputo solo dall’esterno, la mina l’ha fatta esplodere la Consob. Poi, con i nostri consulenti Price, ci è bastato un mese per scoprire tutta la verità».
• Bondi riportò in Borsa il titolo il 6 ottobre 2005, dopo 21 mesi di sospensione (valore nominale 1 euro, 1,6 miliardi di azioni).
• Il suo comportamento di fronte alla devastante crisi societaria di Parmalat è stato definito «da manuale»: «Assieme agli uomini della comunicazione, ha separato gli aspetti finanziari dalla produzione e ha conquistato il sostegno dei lavoratori che si sono astenuti da qualunque iniziativa di sciopero. Dopo le prime settimane di notizie sui telegiornali con l’intero top management inquisito, è così scattata una sorta di catena di solidarietà tra le istituzioni e i consumatori. Infine, dando visibilità alle tecnologie utilizzate per garantire prodotti di alta qualità, Parmalat è riuscita addirittura ad aumentare le quote di mercato» (Felice Fava).
• Nel gennaio 2007 vende il Parma Footbal Club, di cui era presidente dall’ottobre 2006, all’imprenditore Tommaso Ghirardi (titolare de La Leonessa) per circa 24 milioni di euro. In questo modo chiude il bilancio 2006 (approvato nell’aprile 2007) con un utile di 125,6 milioni, che permette di distribuire un dividendo di 0,025 euro per azione.
• Nel luglio 2007 parte nei confronti di Parmalat una class action da parte dei creditori americani stimata in otto miliardi di dollari. Nel maggio 2008 la causa è stata archiviata dal tribunale di New York, avendo la società di Bondi accettato di versare 10,5 milioni di azioni proprie, pari a un valore di circa 24 milioni di euro.
• Nel dicembre 2007 stipula con Intesa Sanpaolo un accordo che fa incassare a Parmalat 419 milioni, mentre Monte dei Paschi di Siena si accorda e versa 90 milioni nelle casse di Collecchio nel febbraio 2008. Il bilancio del 2007 segna un incremento degli utili pari a 673,4 milioni di euro, che permette un dividendo di 0,159 euro per azione.
• Nel frattempo continua la sua battaglia legale con banche italiane e straniere e raggiunge una seria di accordi extragiudiziali per chiudere le pendenze delle revocatorie avviate da Parmalat. Alla fine del 2007 porta così a 1,2 miliardi le entrate dagli accordi transattivi. Incassa da Bnl-Bnp Paribas 112 milioni di euro nel dicembre 2006; 115 milioni dalla società di revisione Deloitte & Touche nel gennaio 2007; 160 milioni dalla Nextra e 155 milioni da Morgan Stanley nel marzo 2007; 72 milioni da Merrill Lynch, Banca Monte Parma e Ing Bank nel giugno 2007 ecc. «Bondi non sembra lasciare spazio a nessuno nelle trattative, nemmeno ai nomi di spicco come Vittorio Mincato e Andrea Guerra che pure siedono nel consiglio di amministrazione del gruppo. Nel caso della transazione di 112 milioni con la Bnl tutto sarebbe stato deciso e chiuso direttamente tra Bondi e il numero uno di Bnp Paribas, Baudouin Prot» (Massimo Sideri).
• L’assemblea degli azionisti nell’aprile 2008 gli rinnova il mandato per altri tre anni (con un voto favorevole del 27,8% del capitale), nonostante lo scontro con i fondi d’investimento, che chiedono un aumento dei dividendi.
• Nel giugno 2008 chiude due importanti transazioni con le banche elvetiche Ubs e Crédit Suisse che portano nelle casse di Parmalat 356 milioni di euro e nell’agosto trova un accordo di transazione con UniCredit per 300 milioni di euro. Alla fine, con le sue azioni revocatorie e risarcitorie, Bondi è riuscito a ottenere oltre 2 miliardi di euro.
• Bondi rimane in carica in Parmalat fino a quando nel marzo 2011 la multinazionale francese Lactalis, che in Italia già possiede i marchi Galbani, Invernizzi, Locatelli e Cademartori, inizia ad acquisire azioni Parmalat: «Con l’ennesimo coup de théâtre, il colosso di formaggi e latticini della famiglia Besnier ha messo sul piatto, sotto la regia del consulente Societè Generale, un assegno da 750 milioni di euro per comprare dai fondi esteri Zenit, Skagen e Mackenzie il 15,3% di Parmalat. Una quota che si somma a circa il 14% di azioni già rastrellate dai francesi che in tutto hanno sborsato circa 1,3 miliardi» (La Stampa). «Il padrone della Lactalis, monsieur Emmanuel Besnier, s’è presentato ai tre fondi con 744 milioni di euro in mano e ha detto: avete tempo a vendere fino alla mezzanotte di oggi, dopo di che mi ritiro. L’offerta era irresistibile: 2,8 euro ad azione, mentre durante il rastrellamento precedente il titolo era arrivato al massimo a 2,6. Ora, con quasi il 29,9 per cento delle azioni in mano, i francesi possono eleggere un consiglio d’amministrazione controllato da loro. Anche se il 29,9 per cento può sembrare una quota di minoranza, in realtà non lo è: Parmalat ha il suo capitale diffuso in Borsa, con quasi il 30 per cento si è tranquillamente padroni» (Giorgio Dell’Arti) [Gds 26/3/2011]. Il 26 aprile 2011 Lactalis annuncia il lancio di un’Opa totalitaria su Parmalat, al prezzo di 2,60 euro per azione, conclusasi con successo l’8 luglio 2011. «Chiunque possieda titoli Parmalat può portarli a Lactalis e sarà pagato 2,60 euro ad azione. Si tratta del 12,5% in più rispetto al prezzo di giovedì scorso (21 aprile 2011, ndr), del 21,3% in più rispetto al prezzo dell’ultimo anno e del 33,6 in più rispetto al valore di libro della società di Collecchio. L’offerta è “totalitaria”, cioè Lactalis è pronto a comprare il 100 per cento» (Giorgio Dell’Arti) [Gds 27/4/2011]. Ad oggi la società è controllata per l’83,30% dalla francese Lactalis.
• Il 30 aprile 2012 il governo Monti lo nomina commissario della spending review: un commissario straordinario per la razionalizzazione degli acquisti di beni e servizi con il compito di definire il livello di spesa per voci di costo. La nomina arriverà con decreto legge. «Monti ha definito Bondi “la persona più rispettata in Italia per la sua attività inflessibile di risanatore, tagliatore di costi, documentata dalla sua attività passata”. A lui il compito di gestire la riduzione della spesa di amministrazioni pubbliche, enti, regioni. Con tutti gli strumenti a disposizione. Bondi ha, in pratica, il timone dei tagli» (Andrea Telara) [Pan 30/4/2012]. Si dimette dall’incarico il 7 gennaio 2013, dopo che Monti gli ha affidato l’incarico di supervisore della sua lista Scelta civica per le elezioni.
• L’11 aprile 2013 viene scelto dalla famiglia Riva come amministratore delegato dell’Ilva di Taranto. Il 25 maggio si dimette, insieme al Consiglio di amministrazione, in seguito al maxi-sequestro preventivo di 8 miliardi di euro deciso dal gip di Taranto sui beni della Riva Fire Spa, gruppo della famiglia Riva che controlla l’Ilva. «Secondo le stime dei custodi giudiziari e delle indagini dei carabinieri del Noe e della Guardia di finanza si tratta della somma che i Riva avrebbero risparmiato evitando di mettere a norma lo stabilimento dal 1995 al 2013. Un maxi sequestro che arriva a pochi giorni di distanza dal sequestro preventivo di 1,2 miliardi di euro disposto dai giudici milanesi che hanno indagato Emilio Riva per evasione fiscale». Il sequestro provocherà il commissariamento dell’Ilva e il 4 giugno 2013 il governo Letta nomina Bondi commissario straordinario.
• Il 28 novembre 2013 il Sole 24 Ore dà la notizia che Bondi «ha avviato un’azione di risarcimento da 484 milioni di euro contro la capogruppo Riva Fire, che nonostante il sequestro resta ancora appieno nell’orbita della famiglia di acciaieri. L’accusa è giuridicamente pesante e – nell’etica degli affari – infamante. Per diciassette anni – dal 1995 – l’Ilva è stata usata dai Riva come un bancomat. In linguaggio giuridico Riva Fire – come società – e i Riva – in quanto amministratori della capogruppo e in alcuni casi anche dell’Ilva – avrebbero attuato un esercizio abusivo delle attività di direzione e di coordinamento della controllata che ha come attività principale l’acciaieria di Taranto, violando i principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale. In pratica i Riva avrebbero distolto dall’Ilva soldi veri, che adesso Bondi e i suoi collaboratori quantificano in poco meno di mezzo miliardo di euro, trasferendo negli anni questa cifra in Riva Fire attraverso un contratto di “assistenza tecnica e di servizi”, stipulato fra le due società nel 1999. L’Ilva, società eminentemente manifatturiera, non disponeva di tutte le competenze, tecniche e nel rapporto con il mercato, per funzionare bene. Dunque, per diciassette anni ha acquisito questi servizi dalla controllante, Riva Fire, pagando dei prezzi che ora vengono ritenuti non corretti. (…) La richiesta di risarcimento danni viene rivolta a quasi tutto l’albero genealogico dei Riva: Fabio Arturo (latitante in Inghilterra, a Londra il 14 gennaio 2014 l’ultima udienza per l’estradizione), Nicola (ultimo presidente dell’Ilva, prima di Bruno Ferrante), Angelo Massimo, Claudio, Daniele, Emilio Massimo, il fondatore Emilio e il fratello Cesare Federico» (Paolo Bricco) [S24 28/11/2013]. Intanto poco prima di Natale 2013 la Cassazione restituisce ai Riva la disponibilità di 2,1 miliardi cash e alcune partecipazioni, tra le quali l’intero pacchetto di Riva Fire che, a sua volta, possiede il 61,62% di Ilva.
• Mossa successiva nel gennaio 2014: chiedere alle grandi banche di sostenere finanziariamente il piano di rilancio dell’Ilva: in particolare gli investimenti per la bonifica ambientale. Bondi, appoggiato dal governo, punta a un supporto di circa 1,3 miliardi. Dagospia: «Bondi all’Ilva prova la strategia usata con Parmalat: spremere le banche, Zanonato lo appoggia e spera che ci pensino le banche a ristrutturare l’Ilva...».
• Critica «È certamente il manager più silenzioso della scena finanziaria italiana. Da buon toscano sarebbe anche uomo di battute, ma se le concede solo in privato. Manager riservato, ma anche un po’ bizzarro. Laureato in Chimica, sostiene di essere appunto un chimico e di sapere poco di economia. Invece è vero probabilmente il contrario, e infatti alla fine hanno passato a lui i casi più complicati di dissesti aziendali e spesso la chimica non c’entrava proprio niente» (Giuseppe Turani).
• «Lesina dichiarazioni, evita la mondanità, si assicura l’ufficio più piccolo» (Sergio Bocconi).
• «Entra alle sette ed esce per ultimo. Riservato. Forse fin troppo, deve aver pensato chi nella primavera del 2002 gli aveva piazzato una cimice sulla macchina di rappresentanza della Telecom. E lui, per non dare nell’occhio ed evitare altre brutte sorprese, si era fatto dare la più piccola vettura del parco macchine della compagnia telefonica e per giunta senza le orecchie indiscrete di un autista. Decisionista e allergico alle intrusioni di campo. Quando arrivò alla corte di Salvatore Ligresti, prima di accettare l’incarico di amministratore delegato della Premafin ed avventurarsi nella battaglia Sai-Fondiaria, era l’agosto 2002, fu molto chiaro: “Ingegnere – spiegò a Ligresti – lei faccia l’azionista che io faccio l’amministratore delegato con pieni poteri”. Qualcuno, ispirandosi anche al suo fisico, asciutto e scavato, lo ha definito “l’asceta della disciplina contabile”» (Federico Monga).
• «Franchezza toscana, quando serve. E riserbo assoluto come stile di vita. La sua biografia è un capitolo di storia contemporanea: i segreti del capitalismo italiano. Si narra che Mister Bondi, l’uomo che risolve problemi, avesse imparato la virtù della discrezione dal suo nume tutelare, Enrico Cuccia, il numero uno della storica Mediobanca, per decenni il vero potere forte. Errore: l’odierno signor Parmalat era abituato al silenzio molto prima di conoscere Cuccia. Un’abitudine da militare, legata a un curriculum che spiega anche il suo piglio autoritario» (Paolo Biondani).
• Vizi Per molti anni accanito fumatore di sigarette e sigari toscani, ha smesso del tutto nel 2007.
Conosce tre lingue: inglese, francese e tedesco.
• Ha una tenuta nelle colline aretine, chiamata «Il matto», dove si reca appena può per curare ulivi e vigne.
• Sposato, ha due figli. Alessandro Bondi, è l’amministratore di Compass.