28 maggio 2012
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Biografia di Giovanni Bollea
• Cigliano (Vercelli) 5 dicembre 1913 – Roma 6 febbraio 2011. Neuropsichiatra. L’innovatore della neuropsichiatria infantile italiana del dopoguerra. Formazione a Losanna, Parigi e Londra, è stato professore emerito all’Università La Sapienza di Roma. Fondatore e direttore dell’Istituto di neuropsichiatria infantile di via dei Sabelli a Roma, promotore di innumerevoli iniziative a favore dell’infanzia.
• «Figlio, amatissimo, di un padre con la testa piena di ideali e con la propensione a perdere tutti i denari in imprese destinate a non avere futuro, e di una madre dolcissima, con il senso pratico che permise alla famiglia di tirare avanti, il giovane Bollea, liceale, alle cinque del mattino andava nel pastificio di via Po, ereditato dalla bisnonna. Aiutava la mamma a fare la pasta e alle otto correva a scuola. Del resto, che coraggio e determinazione siano doti dell’uomo lo conferma la sua storia. Nel luglio del 1938, si laurea in medicina, a Torino. Il 5 agosto dello stesso anno, sposa Renata Jesi, ebrea romana, sfidando le leggi antisemitiche promulgate il 15 luglio. Si specializza, quindi, in malattie nervose. Come visse il periodo del fascismo, professore? “Basti pensare che, durante la guerra, fui costretto a nascondere i miei figli...”. Nella campagna di Russia, il giovane medico opera i suoi compagni, senza l’ausilio di anestetici. E aiuta se stesso e altri grazie alla forza di volontà e a particolari tecniche di respirazione. Durante la ritirata, è costretto a ripercorrere la strada disseminata di cadaveri dei soldati per mettersi in salvo. Finita la guerra, decide di fare qualcosa per aiutare i più piccoli. Nasce così, a Roma, l’Istituto di Neuropsichiatria infantile più avanzato d’Europa» (Daniela Daniele).
• Ha fondato l’Alvi, Alberi per la Vita, associazione per il rimboschimento dell’Italia, senza spesa pubblica.
• Alla suora che davanti ai bambini più gravemente malformati del Cottolengo aveva esclamato: «Questi andranno sicuramente in Paradiso», rispose: «Perché invece non li curate?». Aveva sette anni.