28 maggio 2012
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Biografia di Ilda Boccassini
• Napoli 7 dicembre 1949. Procuratore aggiunto della Repubblica presso la Procura di Milano. Coordinatore, sempre a Milano, della Direzione Distrettuale Antimafia (Dda).
• Magistrato combattente («Io sono un soldato»), rossa di capelli e idolo della sinistra, detta perciò, facilmente, «Ilda la Rossa» (ma nel settembre 2013 s’era fatta bionda). Bestia nera anche dei colleghi, con i quali s’è spesso scontrata, che ha spesso aspramente rampognato o criticato, con qualche conseguenza sulla carriera. Da ultimo protagonista, anche con un’arringa che ha suscitato numerose polemiche, del cosiddetto «processo Ruby», nel quale Berlusconi è stato condannato in primo grado a 7 anni di reclusione per concussione e prostituzione minorile (24 giugno 2013), assolto in Appello per entrambi i capi di imputazione (8 luglio 2014), assoluzione confermata in via definitiva dalla Cassazione il 10 marzo 2015. La destra l’ha sempre vissuta come nemica implacabile e alfiera di quella corrente della magistratura che, a suo dire, fa politica con le inchieste e con le sentenze. L’avvocato di Berlusconi, Nicola Ghedini: «Molta passione. Mai serena. Nessuna attitudine ai rapporti con gli avvocati».
• Entra in magistratura nel 1977, passa per Brescia, arriva a Milano nel 1979. Indaga sul boss Gaetano Fidanzati e si scontra con Domenico Sica e Francesco di Maggio sulla strategia da seguire per catturarlo. Quindi al fianco di Falcone nell’inchiesta denominata “Duomo Connection”: il mafioso Toni Carollo è a Milano per lucrare sugli appalti pubblici e procede corrompendo politici e burocrati. Questa è l’ipotesi di reato, che non troverà però conferma nelle sentenze (le condanne in primo grado furono annullate dalla Cassazione nel 1995, le condanne successive si limitarono ai reati di droga). In questa inchiesta indaga anche il capitano Ultimo, nome d’arte del carabiniere Sergio De Caprio (vedi). «Ilda procede come un treno. Macina indagini su indagini, ma fa tutto da sola. Non si fida di alcuni colleghi e non manca di sottolinearlo aumentando così le tensioni all’interno dell’ufficio. La situazione è talmente tesa che Borrelli, dopo aver assistito all’ennesimo scontro con Armando Spataro, un altro magistrato dal carattere spigoloso, la estromette dal pool che indaga sulla criminalità organizzata. Nel settembre del 1991 il procuratore scrive: “Boccassini è dotata d’individualismo, carica incontenibile di soggettivismo e di passione, non disponibilità al lavoro di gruppo”» (Peter Gomez). Più tardi la Boccassini ammetterà che il provvedimento di Borrelli «era dettato da una sorta di ragion di stato».
• Alla morte di Falcone (23 maggio 1992), dopo aver vegliato il cadavere dell’amico, torna a Milano e prende la parola in un’aula magna affollatissima di magistrati: tutti – ricorda – compresi «gli intellettuali del cosiddetto fronte antimafia» hanno accusato Falcone di essersi venduto quando nel 1991 aveva accettato di andare a lavorare al ministero di Grazia e Giustizia al fianco di Claudio Martelli. «Voi avete fatto morire Giovanni, con la vostra indifferenza e le vostre critiche; voi diffidavate di lui; adesso qualcuno ha pure il coraggio di andare ai suoi funerali». Ilda accusa senza mezzi termini anche quelli del pool di Mani pulite, ricordando una telefonata sconsolata del giudice ucciso dalla mafia, a cui era stata mandata una rogatoria senza documentazione: «Che amarezza, non si fidano del loro direttore degli Affari penali». Non ha mai smesso di chiedere ai colleghi una severa autocritica sul caso Falcone.
• «Giovanni Falcone restò solo perché era il più bravo di tutti. Io ero amica di Giovanni e ho sempre cercato di rispettarne la memoria e sono intervenuta solo quando ho visto fare scempio del suo nome, come quando Antonio Ingroia si è paragonato a lui. Dopo la strage di Capaci sono tornata in Sicilia, per me significò lasciare i figli, la minore aveva solo otto anni» (nel marzo 2015 parlando agli studenti del liceo scientifico “Mascheroni” di Bergamo).
• Dubbi anche sul successo mediatico del Pool di Mani Pulite (anni 1993-1994). In quel momento la Boccassini si trovava a Caltanissetta a indagare sulla morte di Falcone: «Vivevo in hotel bunkerizzati, con i sacchetti di sabbia e a proteggerci soldati che avevano l’età di mio figlio. Poi venivo qua a Milano, a salutare i colleghi, e vedevo le telecamere, i giornalisti, le manifestazioni a loro favore. Ho provato una cosa terribile. Non è l’approvazione della gente che mi deve spingere ad andare avanti, ma fare bene il mio mestiere».
• Nei due anni in cui, a Caltanissetta, indaga sulla strage di via D’Amelio, quella in cui furono uccisi Paolo Borsellino e i cinque uomini della sua scorta, entra in conflitto con i magistrati del posto. Soprattutto non crede al pentito Scarantino: fa avere al procuratore della Repubblica della città, Giovanni Tinebra, una lettera di venti pagine, firmata con Roberto Sajeva, in cui si dimostra che almeno 25 delle dichiarazioni di Scarantino sono palesemente inattendibili e si manifestano pesanti dubbi su come siano state raccolte e verbalizzate. I colleghi non le dànno retta. Il tempo le darà ragione su tutta la linea (anno 1994).
• Una carriera piena di successi e contrasti: chiamata da Caselli a Palermo, sostiene, contro il parere del procuratore capo, che nelle indagini su Cosa Nostra è sbagliato privilegiare il filone dei rapporti tra criminalità e politica a discapito di quello sull’attività militare; rientrata a Milano, e dopo che Times ed Express l’hanno inclusa – unica italiana – tra le cento donne più importanti del mondo, le viene affidata la pratica di Renato Squillante, accusato di aver preso mazzette in margine ai processi Sme e Imi-Sir: Squillante finirà condannato a cinque anni e si salverà solo in Cassazione.
• Impegnata sul processo relativo al lodo Mondadori e alla corruzione del giudice Metta (vedi anche Cesare Previti), la Boccassini, in tandem con Gherardo Colombo, scopre le numerose telefonate intercorse tra il giudice e l’avvocato Previti negli anni 1992-1993.
• Si dimette dall’Associazione Nazionale Magistrati il 20 dicembre 2007, quando il Consiglio Superiore della Magistratura le preferisce, per il posto di procuratore aggiunto di Milano, Francesco Greco.
• Nominata nell’aprile 2008 procuratore generale a Verona, rifiuta l’incarico: aveva fatto domanda per Padova, Firenze o Bologna. Il 28 maggio 2009 il plenum del Csm la promuove comunque procuratore aggiunto a Milano. Nel giugno 2013 ha nuovamente presentato domanda per la procura generale di Firenze.
• Incaricata del fascicolo relativo al caso Ruby (vedi Silvio Berlusconi), la Boccassini lo portò avanti implacabilmente fino a sentenza di primo grado. Chiesta una condanna a otto anni, ne ottenne sette (più l’interdizione perpetua dai pubblici uffici). Clamorosa la sua requisitoria, pronunciata il 13 maggio 2013, nella quale si inserirono inaspettati elementi di moralismo rivolti specialmente alle ragazze che frequentavano le cene di Arcore: «La procura ritiene che è stato provato che l’imputato non solo era a conoscenza della minore età, ma ha fatto sesso con una minorenne. La storia della nipote di Mubarak è una bufala grossolana. Tutta la faccenda dimostra che era stato messo in piedi un sistema prostitutivo per il soddisfacimento dell’ex premier. Berlusconi non poteva non sapere che Ruby era minorenne, dato che lo sapeva Emilio Fede. Possiamo immaginare che una persona con cui aveva un rapporto di fedeltà come Fede non avesse detto a Berlusconi che aveva introdotto ad Arcore una minorenne? Non c’è dubbio che Ruby abbia fatto sesso con l’imputato e ne abbia ricevuto benefici. La ragazza è stata vittima del sogno italiano in negativo, quello che hanno le ragazze delle ultime generazioni i cui unici obiettivi sono entrare nel mondo dello spettacolo e fare soldi. È difficile credere che una ragazza possa avere mille euro in tasca facendo animazione, che vuol dire far ridere clienti stupidi. Ruby è una giovane di furbizia orientale. Non ha come obiettivo il lavoro, la fatica, lo studio, ma accedere a meccanismi che consentano di andare nel mondo dello spettacolo, del cinema. Al centro del sistema c’erano Fede, Mora e Minetti». Giuliano Ferrara (da destra): «Non si incappa in una espressione come quella della furbizia orientale, che di per sé sarebbe del tutto tollerabile in un racconto di vita, senza mescolare peccato e reato, concezione della vita e concezione del diritto». Ritanna Armeni (da sinistra): «Mi colpisce sempre vedere quanto puritanesimo di ritorno abbia colpito tante donne italiane che occupano posti importanti nel giornalismo, nello spettacolo, nella magistratura. Donne che si dichiarano femministe e di sinistra. Boccassini non è la prima anche se lei ha avuto l’occasione di esprimerlo in una situazione di massima esposizione mediatica. Colpisce vedere come oramai l’obiettivo principale di molte di loro sia distinguere le donne “perbene” dalle altre che “perbene” non sono magari perché hanno i capelli troppo biondi e occhi troppo truccati. O orecchini grandi come lampadari. Con singolare protervia vorrebbero le altre infelici e sacrificate o costruite a loro immagine e somiglianza. È mai loro venuto il dubbio che non rappresentano un modello così desiderabile? E che oramai da loro emana un inconfondibile odore di misoginia?». Piero Ostellino (liberale): «La requisitoria della signora Boccassini al processo Ruby, più che un atto di accusa nei confronti di Berlusconi, m’è parsa la condanna morale delle donne che lo avevano frequentato, trattate da puttane. (…) Resto dell’opinione che, anche quando si prostituisce, una donna ne deve rispondere solo alla propria coscienza, non al Pubblico ministero di un Tribunale e ai media che gli fanno da coro; se no, si passa dal Diritto alla teologia».
• Dopo l’assoluzione in via definitiva di Berlusconi nel processo Ruby, il procuratore capo di Milano Edmondo Bruti Liberati l’ha difesa pubblicamente: «Difendo la professionalità a tutto tondo della collega Ilda Boccassini, attaccata reiteratamente in modo vergognoso. L’indagine era doverosa. Le stesse motivazioni dell’appello confermano il quadro probatorio e se non c’è stata la condanna lo si deve solo a una diversa valutazione rispetto al primo grado delle accuse di prostituzione minorile e concussione».
• Negli ultimi anni, oltre che del «caso Ruby», si è occupata della cosiddetta Calciopoli (si dice che custodisca in archivio un importante fascicolo segreto dell’indagine), di ’ndrangheta (in particolare della sua penetrazione a Milano), del caso Zambetti (vedi Domenico Zambetti) e del sequestro-lampo del ragionier Giuseppe Spinelli (vedi), tesoriere di Silvio Berlusconi.
• Assai dubbiosa sull’inchiesta relativa alla trattativa stato-mafia (vedi Antonio Ingroia), critica anche sul sistema delle intercettazioni: «È evidente che le intercettazioni sono uno strumento importante per la ricerca delle prove, ma non possiamo non riconoscere che c’è stato un cattivo uso di questo strumento da parte della magistratura (...). Nella conflittualità che c’è oggi nel nostro Paese le intercettazioni diventano uno strumento di lotta politica. E fin quando lo scontro tra poteri sarà così violento, non sarà possibile l’autocritica di entrambe le parti necessaria per sedersi attorno a un tavolo e studiare un sistema giudiziario a uso e consumo dell’utenza» (Antonio Castaldo). Filippo Facci: «Ecco, magari si potrebbe chiederle se fossero proprio tutte necessarie le 389 pagine di intercettazioni (più un supplemento di altre 227) che la sua Procura raccolse tra gli elementi d’indagine sul RubyGate (...): tutto è finito sui giornali e sul web, compresi i numeri di cellulare delle persone intercettate. Si potrebbe chiederlo a lei, che alla privacy ci tiene».
• Nel marzo 2015 si è detta «preoccupata» per la riforma sulla responsabilità civile dei magistrati portata avanti dal governo Renzi: «Non si capisce perché all’improvviso si tiri fuori questo argomento vent’anni dopo il referendum. Se si sbaglia si deve pagare. Ma chi dovrà giudicare un potente contro uno che non lo è, lo farà ancora in modo sereno? All’interno della magistratura abbiamo già organismi di disciplina e in questi giorni è stato aperto un procedimento nei miei confronti dopo un esposto di un avvocato impegnato in un processo di mafia. Ho riflettuto sul fatto che un altro magistrato ha deciso di dare più credito a questo avvocato piuttosto che a me. Ecco, di fronte alla prospettiva della responsabilità civile io temo soprattutto la cattiveria dei miei colleghi».
• «Sono presuntuosa. Non mi faccio condizionare dall’opinione pubblica e dai mass media. Non me ne frega niente. (…) Non riuscirò a vedere la distruzione totale di Cosa nostra. Forse una speranza ce l’avranno i nostri figli. Un apparato militare può essere distrutto solo da un altro apparato militare. Contro 20 mila soldati ci vuole l’esercito. I posti di lavoro e gli investimenti servono per recuperare i giovani, ma la mentalità mafiosa resta. (…) Il senso dell’onore e l’amore non possono giustificare tutto. Io sarei disposta a rinnegare i miei figli se dovessero fare cose che non condivido» (a Liana Milella) [Rep 6/3/1998].
• Interpretata al cinema da Anna Bonaiuto, nel film di Nanni Moretti Il Caimano. «Dice la Boccassini che quando il pubblico ministero, cioè se medesima interpretata da Anna Bonaiuto, scambia quel lungo sguardo con il Caimano – sono nell’aula del tribunale e il Caimano è stato condannato a sette anni e gli occhi del Caimano/Nanni Moretti sono accecati dall’odio per quella donna in toga – il cuore le è andato per aria, nel buio della sala. Un impulso inatteso. Si è ritrovata emozionata, atterrita, stupita della sua stessa angoscia. Come se davvero quell’occhiata ci fosse stata a Milano, al termine del processo. Come se davvero il suo viso fosse stato affrontato, per un breve e lunghissimo momento, dal disprezzo assoluto, dal rancore, dalla feroce inimicizia dell’imputato. Quello sguardo non c’è mai stato ma, dice la Boccassini, quei pochi secondi del film l’hanno precipitata di nuovo in giorni che vuole dimenticare; all’indietro in quella bolla d’odio in cui si è trovata a vivere; e ancora in quella sproporzione vigliacca che l’ha tenuta prigioniera per anni. Da un lato, il potere: il capo eletto dal popolo, il governo, il Parlamento e le televisioni, i giornali, le burocrazie, schiere di avvocati, l’opinione pubblica o meglio quella gente che le inviava lettere minacciose dicendole “puttana” o augurandole la morte per cancro. Dall’altro, lei. E chi era lei se non si crede allo Stato, all’equilibrio dei poteri, all’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge? Un niente, nulla di più che una donna con il golfino che, per trovare coraggio e mostrare risolutezza in pubblico, mette su una collana rosso fuoco e fa ancora più vermigli i suoi capelli. Il pubblico ministero/Anna Bonaiuto affronta il risentimento del Caimano con uno sguardo non domo ma, dice la Boccassini, se ha avuto nel buio della sala quel momento d’apprensione concretissima è perché lei conosce i costi di quello sguardo fiero e ne ricorda la fatica e, perché non dirlo?, anche la paura. Quel tassista grosso grosso che, una notte, sentendo l’indirizzo di casa, le dice di aver capito e, senza girarsi verso di lei, ringhia per confermarlo: “Sì, in quella piazza dove abita la maledetta giudicessa comunista con i capelli rossi”» (Giuseppe D’Avanzo).
• Giuliano Ferrara, dopo la requisitoria del processo Ruby, le fece il verso sul sito del Foglio, apparendo in parrucca rossa e occhiali da sole e cantando: «Bella rossa di Procura, / schiavo dei pandetti tuoi, / con un’intercettazione puoi / le mie cene, le mie cene vendicar! / Vieni e senti / del suo cuore / la furbizia / sì oriental! (…) Taci: l’inchiesta tua non val! / L’infelice codicillo / per l’invidia non usar!».
• Sul suo coinvolgimento nello scontro fra Alfredo Robledo e Bruti Liberati, vedi Alfredo Robledo.
• Separata dall’avvocato Alberto Pironti, da cui ha avuto due figli, Antonio e Alice.