28 maggio 2012
Tags : Giorgio Bocca
Biografia di Giorgio Bocca
• Cuneo 18 agosto 1920 – Milano 25 dicembre 2011. Giornalista. «Quelli disposti a morire per il mestiere non li ho mai capiti. Anch’io sono stato in Vietnam, ma sempre per dovere, mai per vocazione».
• «L’incarnazione del cronista italiano militante, fazioso, che ha combattuto tutte le guerre, vincendo anche quelle che i suoi momentanei compagni di battaglia invece perdono. La genialità di saper ballare la danza dell’indignazione, un po’ più a lungo e un po’ meglio degli altri, lo rende insostituibile. Nel 1979 disse di sé a Walter Tobagi: “Il giornalismo è un po’ come lo spettacolo, come il ballo, il teatro. Devi saper ballare, devi saper recitare, non puoi ingannare i tuoi colleghi. A volte la marcia può essere molto lenta, ma chi sa durare riesce”. La sua stagione migliore è legata all’esperienza del Giorno, il suo servizio più importante fu l’intervista al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, un vero testamento politico che segnò, per molti anni, la battaglia contro la mafia. Indimenticabili alcuni suoi servizi sul terrorismo. Risultano invece grotteschi alla rilettura certi apocalittici racconti, come quando, incazzato e perduto su un’autostrada di Los Angeles, credette di vedere nell’auto la fine di tutte le civiltà. O quando raccontò di aver incontrato sulla Catania-Palermo, assolata e deserta d’estate, una donna che faceva l’autostop e che, sotto mille veli neri, si rivelò bellissima e naturalmente lo sedusse. Scrive su Repubblica e sull’Espresso, non è mai stato direttore e tuttavia vuole esercitare un controllo ideologico sui giornalisti più giovani che, spesso, nei suoi articoli bastona senza generosità. Mitici il suo familismo e il suo attaccamento al denaro» (Pietrangelo Buttafuoco).
• Crebbe nell’Italia fascista, la svolta nel 1942: «Ero stato figlio della lupa, avanguardista, avevo subìto la propaganda. L’aviazione più potente del mondo! E l’aviazione non si alzava da terra». Diventò partigiano (Giustizia e Libertà): «Eravamo i migliori, noi di GL e del Partito d’azione, per un motivo molto semplice: per una ragione di classe. La paura del comunismo, che caratterizzava fortemente la borghesia, fece sì che il maggior numero degli ufficiali, dopo l’8 settembre, decidesse di andare con Giustizia e Libertà e non con le brigate Garibaldi controllate dai comunisti. Non a caso gli alleati facevano i lanci di armi a noi, non ai garibaldini. Il merito di GL, comunque, fu quello di presentare gli aspetti migliori della borghesia, ignorando i peggiori». Al Giorno arrivò dall’Europeo: «Nel ’60, mi pare, con Gaetano Baldacci non ho mai lavorato. Mi voleva, ma ho preferito entrare con Italo Pietra. Baldacci, giornalisticamente, era troppo lontano da me. Io venivo dalla cronaca, lui dalla politica. Mi ricordo ai funerali di Alcide De Gasperi, per caso ero nella cabina vicino a quella da cui Baldacci telefonava il suo servizio. Sembrava di ascoltare un ministro. Lo ammiravo, ma non mi assomigliava. Con Pietra invece ci riconoscevamo, stesse esperienze, partigiano come me, era stato venti mesi in montagna, ci si intendeva al volo. Il Giorno di Baldacci era anche un giornale-spettacolo, con Pietra aveva i piedi più piantati per terra. È stato una rivoluzione del giornalismo. Prima, per fare un esempio, nessuno si sarebbe mai sognato di fare un servizio su una fabbrica, le vicende sindacali erano ignorate. Col Giorno s’è incominciato a fare del giornalismo concreto, a occuparsi delle faccende concrete del Paese. Mi ricordo il mio primo servizio, a Vigevano, il boom delle calzature. Cominciava così, più o meno: “Mille fabbriche, nessuna libreria…”, roba mai scritta prima. E scritta in un italiano diverso, per farsi capire da tutti. Il rapporto con l’Eni ed Enrico Mattei era strettissimo. Lo consideravo un partigiano, non mi dava fastidio il condizionamento. Quando affidò ai suoi partigiani la costruzione del metanodotto da Piacenza a Milano che certi comuni non volevano consentirgli di fare, e quelli lo costruirono in una notte, be’, lo trovai entusiasmante. Le cose cominciarono a cambiare con la morte di Mattei, nel 1962. All’Eni era arrivato Eugenio Cefis, che era contro la politica di Mattei, e aveva il compito di riallacciare con gli americani. Negli anni Settanta la destra Dc si era reimpossessata del giornale. Con Gaetano Afeltra, il vero direttore era Aldo Moro. Nel 1975 me ne andai».
• Non ancora partigiano, s’abbandonò a poco onorevoli proclami antisemiti: «È un argomento così disgustoso! È talmente in malafede, chi mi perseguita così da vent’anni! Fingono che sia stato un esponente del fascismo. Ma non lo sono stato, non contavo niente. L’ho confessato pubblicamente tante volte. L’ho perfino raccontato in un libro, Il provinciale. Allievo ufficiale a Bassano, ero in licenza a Cuneo. Ho accettato l’invito del federale a scrivere un articolo per un giornale locale in cambio di tre giorni di licenza in più. Venti mesi di guerra partigiana, a rischiare la pelle tutti i giorni, non sono abbastanza come “pentimento”? I miei amici ebrei di Cuneo, i partigiani ebrei con i quali ho condiviso idee, paure, pericoli, non sono abbastanza per capire che cosa ho sempre provato per gli ebrei?».
• Suo libro più importante Il provinciale (a carattere autobiografico, Mondadori 1991), l’opera del Bocca scrittore si divide in tre: il giornalista d’attualità, lo storico e il memorialista. Del Bocca memorialista va ricordato Partigiani della montagna, la Resistenza nel Cuneese vista dalle divisioni di Giustizia e Libertà (uscito nell’ottobre 1945 e da Feltrinelli nel 2004), da ultimo Le mie montagne (2006); sul versante storiografico Una repubblica partigiana (1964, poi 2005), Storia dell’Italia partigiana (1966), La Repubblica di Benito Mussolini (1977), una nota biografia di Palmiro Togliatti (1973).
• «Quando lavoro per me è tempo libero. Lavorare è la parte più divertente e centrale della mia vita».
• «Il mio maestro assoluto è Vittorio Foa».
• «Andai nel Bangladesh dove c’era un’inondazione e dormii per due notti sulla tolda di una nave. È un mestiere simile a quello di un attore. L’attore pensa che morirà sul palcoscenico, il giornalista che non smetterà di scrivere nemmeno nel momento della malattia».
• «Sono un ottimo padre, ma ho scoperto alla mia veneranda età che non lo sono solo per ragioni sentimentali ma anche per narcisismo. Sono un risparmiatore paranoico di soldi, perché penso che lasciare ai propri figli dei soldi sia importante».
• Per molti anni la sua compagna fu la giornalista Silvia Giacomoni (Genova 15 settembre 1938).• Era ateo: «Non credo in Dio perché non l’ho mai incontrato. Possibile che questo Dio così potente non abbia mai trovato il tempo di manifestarsi?» (a Gabriella Colarusso) [Lettera43.it 24/4/2011].
• «Rubavo qualche soldo a mia sorella per andare a sciare. Anche io ero un debole, poi mi sono fatto forza e ho scoperto una cosa. Che per essere onesti bisogna essere un po’ ricchi» (Colarusso, cit.).
• Guardava molta televisione: «Sì, ho il gusto dell’orrido. È una galleria di mostri. Non riesco a levarmi l’incubo di Feltri, Belpietro, quel Sallusti… E le facce di Ghedini, di Brunetta… Quando li critichi, ti rispondono che sei un vecchio arteriosclerotico. Ma come si fa a diventare così?» (a Marco Travaglio).
• È morto a Milano, il giorno di Natale.