28 maggio 2012
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Biografia di Patrizio Bertelli
• Arezzo 6 aprile 1946. Imprenditore. Dall’87 sposato con Miuccia Prada, è amministratore delegato dell’omonimo gruppo. Dopo tre tentativi a Piazza Affari sempre sfumati poco prima del traguardo (nel 2001, nel 2002 e nel 2008), il 24 giugno 2011 è finalmente riuscito a far quotare in Borsa, a Hong Kong, il gruppo Prada, forte ormai di quattro marchi come Prada, Miu Miu, Church’s e Car Shoe: la valutazione del titolo è in breve tempo passata da circa 9 miliardi di euro a oltre 14 miliardi.
• Dicono che ha «rivoluzionato il familistico business del lusso italiano, accumulando marchi fortunati o disgregati» (Natalia Aspesi): «È dubbio se in quell’aprile 1977 poté più la scintilla delle emozioni o il richiamo del business. Sicuro è invece il risultato della prima stretta di mano fra Patrizio Bertelli, industriale pellettiere, e Miuccia Prada, commerciante, nel negozio in Galleria, aperto (1913) dal di lei nonno e diventato uno dei templi della buona borghesia milanese; un risultato aerodinamico con reazioni a catena. I due diventano coppia, la coppia diventa società, la società diventa uno stile, lo stile innesta il turbo e il turbo moltiplica con una velocità senza precedenti mercati e cifre. Patrizio, studi d’Ingegneria interrotti, aretino dalla mascella volitiva. Non delicata tempra di toscanaccio vulcanico, ringhioso e di fiuto straordinario, self made man. Alla Sir Robert, l’azienda pellettiera acquisita a 20 anni, accosta nel 1973 la parmigiana Granello. Se Miuccia è morfologicamente manzoniana, Patrizio risulta più dantesco: una specie di Cecco Angiolieri che se fosse foco arderebbe volentieri lo styling system e i suoi insormontabili birignao. Su questi ingredienti si è formata, in un mix di affinità, contrasto e gusto per il nuovo, la coppia che ha fatto di Prada il fenomeno più clamoroso della recente storia stilistica. Hanno due figli, Lorenzo e Giulio, i cui nomi sono un tributo alla passione del toscanaccio per il Rinascimento. Con il tempo anche Miuccia si è smanzonizzata per non correre il rischio di soccombere alle affettuose furie leaderistiche del marito: nel quartier generale di via Maffei i loro summit non passano inascoltati: creatività e nuove strategie contemplano un prezzo in termini di inquinamento acustico. Chi dei due ha dato di più all’altro? “È uno di quei pochi esempi” osserva Franca Sozzani, direttore di Vogue e loro amica da sempre, “di interazione perfetta, di scambio senza prevaricazione, di sintonia nella sostanza”» (Gian Luigi Paracchini). «“Lui è molto più provocatore di me” dice Prada. “Con lui ti metti sempre in discussione. Noi due abbiamo una piccola regola del tre: se lui dice una cosa per più di tre volte, allora io ci devo pensare. Qualche volta non mi va di ascoltarlo, ma lo faccio”» (Alessandra Galloni) [WSJ Magazine 11/3/2010].
• «Mentre controllava le decorazioni di un negozio Miu Miu a Manhattan, nel 1997, Bertelli se l’è presa con uno specchio e lo ha spaccato. “Faceva sembrare la gente troppo grassa”, ricorda oggi. E si sa che ruppe le luci posteriori di molte auto parcheggiate negli spazi sbagliati del posteggio di Prada. “Mi sono divertito”, racconta Bertelli ridendo» (ibidem). «L’unico marito al mondo attento ai dettagli: Bertelli ad Amsterdam, finito un meeting in una sede Prada, lasciò l’impronta dell’indice sul vetro di una finestra per controllare una settimana dopo che il vetro fosse stato pulito bene» (Annalena Benini) [Il Foglio 16/3/2010].
• «Lo shopping ormai è per molta gente una specie di religione dell’era della globalizzazione, una ben definita attività culturale, un nuovo linguaggio, una diversa forma di società, un modo di comunicare oggi molto diffuso» (Natalia Aspesi) [la Repubblica 7/10/2008].
• «L’Italia è l’unica nazione al mondo dove esiste ancora la filiera completa del tessile-abbigliamento-moda, nemmeno la Francia la possiede più: è su questo che dovremmo concentrarci. (...) Di questa filiera fanno parte i grandi marchi, a volte con strutture verticalizzate come la nostra, una miriade di piccole e medie imprese e centinaia di migliaia di persone. Senza dimenticare la rete di distribuzione: se si usasse solo la logica, bisognerebbe parlare del sistema moda come cardine dell’economia italiana» (Giulia Crivelli) [S24 24/9/2009].
• «Non invidio nessuno, né vorrei essere nato negli Stati Uniti: sono felice di essere europeo e di portare sulle spalle il peso di tanti secoli di storia e cultura. Non si può vivere solo nel presente, come sembrano fare gli americani, a partire da Obama: il futuro si costruisce anche guardando al passato. Mi stupisce molto negativamente la totale incapacità della maggior parte delle persone che lavorano nella moda di studiare il nostro passato, la storia del costume» (ibidem).
• Velista professionista negli anni Settanta, è noto al grande pubblico per essere il patron di Luna Rossa, barca che in certi frangenti ha trasformato gli italiani in un popolo di naviganti televisivi. Quattro edizioni dell’America’s Cup, tre finali di Vuitton Cup, una vinta (2000), due perse (2007, 2013): «Luna Rossa è il sogno marino dell’Italia. Questo non è uno sport come gli altri. L’atletica, il calcio arrivano ogni giorno. Ogni settimana. La Coppa America ci fa aspettare tre anni. Tre anni di sacrifici, di allenamenti. Tre anni in cui nella testa quella gara l’hai vinta e l’hai persa cento volte. Tre anni di silenzio». Dal 2012 il suo nome è iscritto nell’albo d’oro dell’America’s Cup Hall of Fame.
• Appassionato di vele d’epoca: all’Ulisse (imbarcazione ultramoderna dallo scafo di 105 metri) affianca il Lynette, tutto in legno, costruito ai primi del Novecento per i soci del New York Yacht Club.
• Non ha paura di dirsi grasso («Grasso e stupido. Non grasso e intelligente come Orson Welles e Giuliano Ferrara»).
• «Fin da ragazzo ho sempre avuto il gusto del prodotto, della materia, del fare. Ora mi piace cucinare gli antichi piatti della cucina toscana dell’800, influenzati dalla Francia: lepre in dolceforte, pasticcio di piccione, fagiano con panna e tartufo nero» (Aldo Cazzullo) [CdS 25/11/2010].
• «Il denaro serve per essere liberi. Niente di più. Io l’ho capito subito. Alle elementari facevo fare le brioche dal panettiere davanti a scuola e poi le vendevo ai compagni. Più tardi scrivevo le dispense di filosofia. Una specie di Bignami-Bertelli. Un successo, un furore!».
• Tifa per la Juve: «Ad Arezzo negli anni Sessanta il pubblico era diviso tra Fiorentina e Juventus. Charles, Sivori e Giampiero Boniperti mi convinsero con le loro prodezze a sposare la causa bianconera».