28 maggio 2012
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Biografia di Silvio Berlusconi
• Milano 29 settembre 1936. Presidente del consiglio in carica mentre consegniamo questo libro (Berlusconi IV). Imprenditore. Padrone di Mediaset. Padrone della Mondadori. Padrone del Milan. Uomo più ricco e potente d’Italia. Cinquantunesimo al mondo nella lista dei ricchi (Forbes 2007). Già presidente del consiglio nel 1994 (Berlusconi I) e per tutta la XIV legislatura (2001-2006, Berlusconi II e III).
• «“Quanti anni hai, piccolina?” “Sette”. “Sai, io alla tua età ne avevo solo cinque”» (a Milanello, il 23 luglio 2007, durante il primo giorno di ritiro dei milanisti campioni d’Europa).
• Ultime Il 2 dicembre 2006 grande manifestazione contro Prodi e il governo di centro-sinistra: «Tre cortei partiti contemporaneamente da tre punti diversi della città e riuniti poi in piazza San Giovanni. Qui le riprese dall’alto hanno mostrato una folla tipica dei comizi del 1° maggio o delle grandi adunate sindacali dei decenni passati. Dunque anche il centro-destra sa muovere le masse. Infatti il Manifesto è uscito col titolo “Non sottovalutiamo” e la sinistra in genere s’è detta preoccupata. E però: a Roma hanno sfilato Forza Italia, Alleanza Nazionale e Lega, cioè Berlusconi (guarito e scatenato), Fini e Bossi. Il quarto attore della compagnia, cioè Casini con la sua Udc, è andato a manifestare a Palermo, in un Palazzetto dello Sport strapieno, facendo sapere che “ormai le opposizioni sono due”. Cioè la Casa delle Libertà è finita e l’Udc non vuol più sentir parlare di leadership di Berlusconi. Il significato di questo minuetto si capisce bene guardando Mastella, il capo dell’Udeur che fa il ministro della Giustizia e sta nel centro-sinistra: ha sùbito proposto a Casini di far liste comuni per le prossime elezioni europee. Dall’Udc gli hanno risposto: “Tu prima esci dal centro-sinistra”. Non è detto che non accada» (Giorgio Dell’Arti).
• Durante la XV legislatura Berlusconi ha tentato di far cadere il governo Prodi anche tirando dalla sua - con ogni mezzo - senatori dello schieramento avverso. C’è riuscito quasi subito con Sergio De Gregorio. Solo alla fine con Bordon, Manzione, Dini e il suo piccolo gruppo di seguaci.
• Berlusconi ha sostenuto per mesi e mesi che il voto del 9-10 aprile 2006 era stato truccato dal centro-sinistra, e ha preteso insistentemente che si ricontassero le schede (prima il Senato e poi la Camera concessero la riconta il 6 e il 7 dicembre 2006, l’esito dell’operazione è poco significativo). La tesi dei brogli è stata sostenuta anche da Enrico Deaglio, che dedicò alle politiche del 2006 un numero speciale della rivista Diario, con tanto di dvd a suo dire dimostrativo: per Deaglio, però, a truccare i dati sarebbe stato il centro-destra che avrebbe, con un software annidato nella rete informatica del ministero degli Interni, sottratto un milione di voti al centro-sinistra (numero di Diario del 24 novembre 2006: vedi anche DEAGLIO Enrico). Su tutta la vicenda hanno indagato Luca Ricolfi e Silvia Testa nel capitolo “L’ipotesi dei brogli” del saggio Nel segreto dell’urna. Un’analisi delle elezioni politiche del 2006 (Utet 2007), raccolta di studi curata da Paolo Feltrin, Paolo Natale e Luca Ricolfi. Le conclusioni dello studio sono che un imbroglio orchestrato dall’alto risulta «estremamente difficile, se non impossibile». Manomissioni delle schede in periferia, cioè a livello di sezioni, sono invece possibili, ma difficili da scoprire. I due studiosi hanno comunque dubbi sulla regolarità complessiva del voto: vi sarebbe stata «sistematica e grave violazione delle regole nel caso del voto degli italiani all’estero» e «una enorme massa di irregolarità e stranezze denunciate — e spesso documentate — da membri dell’opposizione (compresi due ex ministri), specie in Emilia Romagna, e nelle quattro regioni - Liguria, Lazio, Sardegna, Puglia - in cui lo scrutinio manuale è stato affiancato da quello elettronico». Le elezioni finirono con un margine di vantaggio risicatissimo per il centro-sinistra alla Camera (24 mila voti), che permise però a Prodi di godere, grazie al premio, di un’ampia maggioranza. Al Senato invece ebbe complessivamente più voti il centro-destra, però il gioco dei singoli premi regionali consegnò al centro-sinistra la maggioranza, anche se appena di due senatori, rinforzata poi, tra mille violentissime polemiche, dal sostegno dei sette senatori a vita. Dallo studio di Ricolfi-Testa si ricava che tutt’e due le parti organizzarono brogli, annullandosi in definitiva a vicenda.
• Berlusconi lavorò tenacemente, mentre stava all’opposizione, per indebolire i propri alleati An e Udc. Via maestra per il raggiungimento di questo obiettivo fu l’offerta di collaborazione al centro-sinistra per la realizzazione delle riforme istituzionali e della nuova legge elettorale, presentata già all’indomani del voto del 9-10 aprile col nome di “governo delle larghe intese” e subito respinta da Prodi che resistette poi fino all’ultimo ad ogni ipotesi di apertura. La nascita del Partito democratico e l’ascesa di Veltroni (vedi) resero però di nuovo praticabile, almeno sul piano dei discorsi, questa tattica. Berlusconi e Veltroni si incontrarono pubblicamente il 29 novembre 2007 e, con due conferenze stampa di tono e argomenti molto simili, tenute a un’ora di distanza una dall’altra, annunciarono che avrebbero fatto insieme una nuova legge elettorale e, forse, un nuovo regolamento parlamentare. Berlusconi aveva già specificato, nei giorni precedenti, di volere una legge elettorale proporzionale con uno sbarramento che impedisse ai partiti piccoli l’accesso alle Camere. Veltroni era d’accordo, intanto sulla vocazione maggioritaria del proprio partito, e poi sul fatto che, essendoci in Italia due grandi forze politiche (Partito democratico e Forza Italia), toccava a loro garantire “il nuovo bipolarismo” e l’“alternanza”.
• Nel mese di maggio del 2007 Berlusconi fece capire di aver scelto come suo successore una giovane e avvenente seguace, di nome Michela Vittoria Brambilla, di professione industriale nel settore gamberi surgelati, salmone affumicato e alimenti per animali. Costei - subito esaltata dal Foglio - aveva messo insieme, o diceva di aver messo insieme, una rete di Circoli della Libertà nei quali si raccoglievano a suo dire migliaia e migliaia di giovani supporters del Cavaliere. Benché la rete la facesse automaticamente nemica di Marcello Dell’Utri - a sua volta organizzatore di analoghi circoli giovanili, detti del Buongoverno, e freddo detrattore infatti della Brambilla - Berlusconi la portò in prima linea e, in agosto, depositò insieme a lei dal notaio il marchio di una nuova formazione (dallo statuto amplissimo) detta “Partito della Libertà”. Il senso di questa mossa era molto chiaro: creare un contenitore nel quale fare affluire tutte le liste del centro-destra e prepararsi così a sfruttare al meglio, in caso di vittoria del sì al referendum (vedi GUZZETTA Giovanni), le caratteristiche maggioritarie della legge elettorale. Il 18 novembre, in occasione di una raccolta di firme contro Prodi organizzata col sistema dei gazebo distribuiti su tutto il territorio nazionale, Berlusconi arrivò in piazza San Babila a Milano e annunciò la nascita della nuova formazione: «Con un microfono che non funziona, mezzo nascosto dalla scorta, sotto un gazebo che ondeggia e con tre quarti d’ora di ritardo (...) Nasce qui, o meglio viene annunciato alle 17.17 in piazza San Babila, il nuovo partito. Che si chiamerà Partito del Popolo Italiano, che in sigla fa Ppi, o forse Partito del Popolo e della Libertà, Ppl, ma di sicuro farà parte del Partito Popolare Europeo, Ppe. Per colpa del microfono tra i mille del gazebo l’hanno capito solo le prime file. “Vi ricorderete di essere stati in questa piazza con me”, saluta subito il Cavaliere. Appena due minuti per uno spot politico che rimette Berlusconi a capotavola, almeno nel centrodestra (...) Tra i fedelissimi che lo aspettavano al gelo di piazza San Babila, deputati e senatori e la prezzemolina Michela Vittoria Brambilla, alzi la mano chi l’aveva previsto (...) Però Berlusconi deve aver capito che quei due minuti di spot non potevano bastare, un nuovo partito non può nascere con un comizio da sveltina. E siccome il Ppl o Ppi deve nascere tra la gente, eccolo che va verso la Mercedes che lo aspetta alla fermata del bus 54, apre la portiera, si appoggia al pianale e improvvisa un qualcosa che non è un comizio e nemmeno una conferenza stampa. (...): “Non devo e non voglio convincere nessuno. Se ci stanno, bene. Altrimenti andremo avanti con questa gente”. La gente sono “i più di sette milioni di italiani che hanno firmato ai nostri gazebo per eleggere un governo in armonia con i cittadini e contro i parrucconi della vecchia politica”. Parte da loro il nuovo partito. “La gente è più avanti di noi e questo ci chiede. Mettiamo da parte remore e paure e spero che tutti ci stiano. Sarà il partito dei moderati”. Insiste, con la gente. E i suoi spiegano il perché: il Pd è nato dalla fusione fredda delle segreterie, noi dalla gente, dai 7 milioni dei gazebo. E Berlusconi è ancora in piedi sulla macchina, tra saluti e risposte: “Gazebo aperti tutta la settimana!”» (Giovanni Cerruti). Marcello Sorgi ricostruì così la genesi (soprattutto mentale) di questa invenzione del Cavaliere: «Due, tre anni di gestazione, se ci si riferisce al lavoro preparatorio fatto dalla Fondazione Liberal e diretto da Ferdinando Adornato, un altro di quelli che domenica non è stato avvertito e s’è dimesso per protesta. Un anno solo, se si parte dalla grande manifestazione del 2 dicembre 2006, un giorno “dei più belli della mia vita”, come lo ha definito il Cavaliere. Tra i due punti di partenza non c’è contraddizione, anche se è chiaro, dall’inizio, verso dove pendeva il cuore di Berlusconi. Il lavoro di Liberal procedeva a rilento. Era stata composta una commissione di un centinaio di persone, affittato un intero piano di Palazzo Wedekind a Piazza Colonna, stabilita una certa articolazione/lottizzazione degli incarichi fra i tre partiti (Forza Italia, An e Udc) che avrebbero dovuto confluire nel partito unico. Berlusconi era ancora a Palazzo Chigi, due anni fa, e veniva continuamente invitato a benedire i lavori della commissione. Lo faceva di buon grado. Usciva a piedi, subito circondato dalla folla di fan che lo aspettava per strada, attraversava a passi svelti la piazza, entrava nel palazzo, poi nel salone della commissione, e salutava tutti alla sua maniera, tra sorrisi e battute. Dopo una mezz’oretta, con la scusa di pressanti impegni di governo, se ne tornava in ufficio. Una, due, tre riunioni bastarono a fargli venire la noia. Arrivava motivato e convinto che di lì a poco sarebbe nato il nuovo partito, e trovava tutti intenti a discutere di statuti, princìpi, regole per avviluppare la creatura prima della nascita. Alle sue domande, la risposta era secca: un partito vero si fonda così. Lui ascoltava paziente, ma poi per strada, ai più stretti collaboratori obiettava: “Sarà pure come dicono loro. Ma il popolo, dove sta il popolo, in mezzo a queste carte?”. Fabrizio Cicchitto, il vicecoordinatore nazionale di Forza Italia, si ricorda ancora quella volta che Adornato intrattenne Berlusconi sul Pantheon dei numi tutelari del nuovo partito: “Ci aveva messo dentro di tutto, Dante, Papini, Prezzolini, perfino Pasolini”. Berlusconi ascoltò in silenzio senza entusiasmarsi. Un’altra volta, ed era alla fine del 2005, quando i cento saggi approvarono la Carta dei Valori, Berlusconi tornò al lavoro contrariato. Continuava a chiedere: “Ma il popolo?”, aggirandosi nervosamente tra i muri dell’ufficio. E incredibilmente, per uno come lui abituato a trattare sempre con cortesia qualsiasi tipo di collaboratore, se la prese con un commesso, al quale aveva chiesto un panino, che gli aveva invece portato un tramezzino rinsecchito. Un divario come questo, tra quelli che Berlusconi ancora non chiamava “parrucconi”, e il popolo che lo aspettava sempre per strada, non poteva che aggravarsi dopo la grande manifestazione del 2 dicembre. Berlusconi osannato da una folla festante, messo di fronte a una piazza in cui, con suo grande compiacimento, “le famiglie di Forza Italia marciavano a braccetto con gli ex missini romani e i leghisti padani”, tornò a casa felice di aver visto “finalmente insieme, senza distinzioni, il popolo di centrodestra”. Ormai, dopo la sconfitta elettorale, l’allontanamento di Casini e dell’Udc e con le angustie dell’opposizione, il progetto di Adornato per il Cavaliere era diventato acqua passata. Nel suo futuro c’era solo il popolo, il partito unico e cominciava ad esserci la signora dai capelli rossi, quella Michela Vittoria Brambilla oggi a capo dei circoli e nel cuore politico del Cavaliere. Ad Emilio Fede, che l’aveva conosciuta giovane giornalista, fece un certo effetto ritrovarsela davanti. “Eravamo ad Arcore, il presidente mi fa: ti dispiace se arriva la Brambilla? Ma figurati, dissi. Poi, vedendola arrivare, me ne andai”. A tutt’oggi, un termometro stabile degli umori interni del centrodestra, oltre che di casa Berlusconi, come il Tg4, non ha ancora dedicato un minuto, dicasi un minuto, alla regina dei circoli. Ma per il Cavaliere, già proiettato sul suo popolo e seccato per le resistenze interne del partito a cambiare, anche la fredda accoglienza riservata a MVB fu motivo di amarezza. Lei, la signora, non versava certo acqua sul fuoco, e in un’intervista disse che Dell’Utri e Tremonti, suoi avversari, erano come le mestruazioni: all’inizio fanno male ma poi passano. Una sera di luglio a Napoli in cui, con un caldo asfissiante, la gente lo aspettava a piazza Plebiscito, Berlusconi si rivolse così a Donato Bruno, ex presidente della commissione Affari istituzionali: “Guarda questa gente, con quaranta gradi mi aspettano da ore. Mi sai dire perché non riusciamo a dargli il partito che ci chiedono?”». Fini e Casini reagirono duramente alla creazione del Popolo della Libertà (nome assunto dalla nuova formazione dopo una consultazione popolare). Incontrarono Veltroni, fecero scrivere ai giornali (non tra virgolette) che avrebbero potuto mettere i loro voti a disposizione di Prodi, Fini arrivò al punto di minacciare (tra virgolette) un appoggio al disegno di legge Gentiloni sulla tv, che riformando la Gasparri (vedi) avrebbe ridotto di un buon quinto il mercato di Publitalia.
• Caduto Prodi (su cui vedi anche MASTELLA Clemente), Berlusconi andò al voto imponendo a Fini e Casini di confluire nella lista del Popolo della Libertà oppure di correr da soli. Senza apparentamento, le due formazioni non sarebbero entrate a far parte del nuovo governo e non avrebbero goduto della loro parte del premio di maggioranza. Inoltre, correndo da sole, avrebbero dovuto superare uno sbarramento del 4% alla Camera e dell’8%, su base regionale, al Senato. Fini accettò la confluenza, Casini tentò di piegare il Cavaliere ricorrendo anche al Vaticano. Ma inutilmente: Berlusconi lasciò a terra persino Giuliano Ferrara e accettò, accanto a quello del PdL, solo i simboli della Lega, a Nord, e della Movimento per l’Autonomia di Raffaele Lombardo al Sud. L’Udc corse da sola e ottenne una rappresentanza parlamentare sparuta e ininfluente, condannandosi, almeno per la XVI legislatura, all’irrilevanza politica.
• Berlusconi condusse una campagna elettorale tranquilla, specie se paragonata ai fuochi d’artificio del 2001. Due ragioni: la grave crisi economica incombente, che lo sconsigliò dal far promesse mirabolanti, e l’eventualità di dovere dialogare davvero con Veltroni dopo il voto fissato per il 13-14 aprile 2008.
• Il PdL vinse col 45,7 alla Camera e il 47,18 al Senato, contro il 37,39 e il 38,12 dei Ds che s’erano apparentati con l’Italia dei Valori di Di Pietro. Luca Ricolfi: «Gli storici di domani parleranno del periodo 1994-2013 come oggi noi parliamo del fascismo. In che senso? Non certo nel senso che l’Italia di oggi abbia tratti fascisti, ma nel senso che entrambi saranno visti come due periodi storici piuttosto lunghi, piuttosto omogenei, e dominati da una figura politica centrale, Mussolini nel ventennio fascista, Berlusconi in quello - appunto - berlusconiano. Lo storico di domani sarà meno accecato dall’amore e dall’odio di quanto lo siamo noi oggi, e quindi riuscirà a vedere le cose freddamente. Naturalmente ci saranno gli storici di sinistra, che giudicheranno negativamente “il ventennio”, e ci saranno gli storici di destra, che lo giudicheranno positivamente. Ma quel che entrambi si chiederanno è: perché? Perché la sinistra è uscita sconfitta da Tangentopoli e dalla crisi della prima Repubblica (1994)? Perché è stata sconfitta di nuovo nel 2001 e nel 2008? Perché per vent’anni è stata succube, come ipnotizzata, dalla figura del Cavaliere?».
• Berlusconi formò il seguente governo (Berlusconi IV): Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio; Franco Frattini agli Esteri, Roberto Maroni agli Interni, Giulio Tremonti all’Economia, Ignazio La Russa alla Difesa, Angelo Alfano alla Giustizia, Maristella Gelmini all’Istruzione, Sandro Bondi ai Beni culturali, Claudio Scajola allo Sviluppo Economico, Altero Matteoli alle Infrastrutture, Maurizio Sacconi al Welfare, Luca Zaia alle Politiche agricole, Stefania Prestigiacomo all’Ambiente. Senza portafoglio: Umberto Bossi alle Riforme, Raffaele Fitto ai Rapporti con le Regioni, Elio Vito ai Rapporti col Parlamento, Andrea Ronchi alle Politiche europee, Renato Brunetta alla Pubblica amministrazione, Roberto Calderoli alla Semplificazione, Giorgia Meloni alle Politiche giovanili, Mara Carfagna alle Pari opportunità, Gianfranco Rotondi al Programma.
• In campagna elettorale Berlusconi aveva promesso che nei primi cento giorni avrebbe abolito l’Ici (tassa comunale sulla prima casa), ripulito Napoli dalla spazzatura e venduto Alitalia a una cordata di imprenditori che l’avrebbero rilanciata preservandone l’italianità.
• L’Ici sulla prima casa venne abolita in un consiglio dei ministri straordinario che si tenne a Napoli il 21 maggio 2008. Trattandosi di una tassa locale ed essendo il governo impegnato a varare una riforma federale centrata soprattutto sul fisco, il provvedimento venne criticato. E infatti Bossi - spinto dai sindaci del Nord - a Ferragosto chiese che venisse ripristinata. Calderoli annunciò allora la creazione di una tassa di servizio, all’interno della riforma federalista. Berlusconi negò con forza ciascuna di queste ipotesi. Nel momento in cui consegniamo questo libro è stata varata da un consiglio dei ministri tenutosi l’11 settembre 2009 un’ipotesi “preliminare” di riorganizzazione federalista (vedi CALDEROLI Roberto), priva però di numeri e impossibile quindi da analizzare. Il 18 luglio 2008 Berlusconi tenne un altro consiglio dei ministri a Napoli per certificare che, almeno dalla città, la spazzatura era sparita. Il direttore del Mattino Mario Orfeo, per verificare la verità dell’assunto, mise un suo giornalista (Pietro Treccagnoli) su un elicottero e gli fece sorvolare il centro abitato. I cumuli d’immondizia erano effettivamente spariti da Napoli, anche se erano ancora presenti in molti punti della provincia e della regione. Questo risultato era stato ottenuto attraverso la riattivazione delle due discariche di Savignano Irpino (provincia di Avellino) e di Sant’Arcangelo Trimonti (Benevento). Evitando la chiusura di Macchia Soprana. Ristabilendo i viaggi verso la Germania (cinque treni a settimana, ciascuno ogni volta con mille tonnellate di rifiuti). Infine facendosi aiutare da Piemonte, Lombardia, Puglia e Veneto, quattro Regioni che accettarono di smaltire la roba di Napoli. Essenziale fu per il successo dell’operazione la creazione di una Superprocura campana incaricata di occuparsi di tutti i reati connessi ai rifiuti e i cui pm erano legittimati a intervenire solo a seguito di decisione collegiale (decreto del 24 maggio 2008). In questo modo si riuscì a tenere aperta Macchia Soprana. La Procura di Napoli reagì mettendo sotto inchiesta il prefetto Pansa e facendo arrestare 25 manager che si erano occupati di discariche negli ultimi anni: tra questi Marta Di Gennaro, braccio destro di Guido Bertolaso, che Berlusconi aveva nuovamente nominato Commissario all’emergenza rifiuti. Questa inchiesta è ancora in corso, senza sviluppi apprezzabili al momento, nel giorno in cui consegniamo questo libro.
• Durante la campagna elettorale, Berlusconi era intervenuto sulla tentata vendita di Alitalia ad Air France dichiarando che si trattava in realtà di una svendita e che l’azienda andava mantenuta in mani italiane (su questo vedi la voce PADOA-SCHIOPPA Tommaso). Tornato al governo, incaricò l’amministratore delegato di Banca Intesa, Corrado Passera, di preparare un piano industriale e mettere insieme una cordata di imprenditori. Nell’affidarsi proprio a Passera, c’era una punta di malizia: il presidente di Banca Intesa, Giovanni Bazoli, era generalmente considerato un forte supporter di Prodi (e infatti su tutta la vicenda non ha mai rilasciato una dichiarazione). D’altra parte, l’interesse di Intesa a una soluzione del problema che coinvolgesse anche Air One era evidente, dato che la compagnia di Carlo Toto doveva restituire alla banca 600 milioni. Mentre Passera radunava intorno a una società detta Cai (Compagnia Aerea Italiana) 16 imprenditori disposti a sborsare complessivamente un miliardo, il governo modificava con un decreto la vecchia legge Marzano, preparata nel 2003 per il salvataggio di Parmalat. I 16 imprenditori fondatori di Cai erano: Roberto Colaninno tramite Immsi, gruppo Benetton tramite Atlantia, Gruppo Aponte, Gruppo Riva, Gruppo Fratini tramite Fingen, gruppo Ligresti tramite Fonsai, Equinox, Clessidra, gruppo Toto, gruppo Fossati tramite Findim, Marcegaglia, Bellavista Caltagirone tramite Acqua Marcia, Gruppo Gavio tramite Argo, Davide Maccagnani tramite Macca, Marco Tronchetti Provera e Intesa Sanpaolo. Il testo della Marzano modificata sospendeva per sei mesi le regole antitrust, attenuava le garanzie per azionisti e creditori, rendeva possibile la vendita della parte buona di Alitalia salvando gli acquirenti (almeno in teoria) da futuri ricorsi. Inizialmente il piano prevedeva un’offerta d’acquisto di 450 milioni (la polpa Alitalia senza i debiti), fra i 3 e i 4 mila esuberi, un taglio degli stipendi del 20%, un aumento della produttività di circa un terzo, l’organizzazione logistica dei voli non su un singolo hub, ma su sei aeroporti (Milano, Venezia, Torino, Roma, Napoli, Catania), cosa che avrebbe comportato per il personale trasferimenti assai sgraditi. Il presidente di Cai, Roberto Colaninno, spiegò ai sindacati che la nuova proprietà non avrebbe tollerato la presenza di nove sigle e che dunque i sindacati si riunissero in una Rsu, si presentassero alla controparte avendo una sola voce e risolvessero tra di loro i differenti punti di vista. Inoltre il gruppo dirigente di Cai (come amministratore della società era stato scelto Rocco Sabelli) non intendeva cedere ai sindacalisti (qui il discorso riguardava soprattutto i piloti riuniti nei sindacati Anpac e Up) nessuno dei poteri decisionali che la vecchia Alitalia aveva loro delegato per debolezza. Si sarebbe anche dovuta chiudere la trattativa in fretta dato che la compagnia, nel frattempo messa in liquidazione e affidata al commissario Augusto Fantozzi, aveva un’autonomia finanziaria molto ridotta. La Cisl di Bonanni (principale responsabile della fuga di Air One nella primavera precedente) firmò quasi subito e così pure la Uil e la Ugl di Renata Polverini. Le cinque sigle dei sindacati autonomi, che rappresentavano piloti, assistenti di volo e personale di terra, si opposero con molta forza. La firma della Cgil, che condivideva la proposta sottoscritta da Bonanni e dagli altri, venne però bloccata da Epifani con la scusa «che una compagnia senza piloti non può volare». Dietro questa posizione singolare - con la quale il sindacato nazionale aveva bloccato la propria articolazione di categoria (il segretario confederale della Cgil Trasporti, Fabrizio Solari, era pronto a firmare) - c’era la mano di Veltroni deciso a impedire un altro successo di Berlusconi, dopo quello dei rifiuti in Campania. Saputo del “no” Cgil, però, la Cai ritirò l’offerta d’acquisto e il commissario annunciò che, esauriti i soldi e le scorte di benzina, avrebbe portato i libri in tribunale chiedendo il fallimento. Era cioè una questione di pochi giorni. Intanto un migliaio di dipendenti, convinti evidentemente che, ritirandosi Cai, lo Stato sarebbe rientrato e avrebbe mantenuto i privilegi di prima, si fece riprendere dalle telecamere a Fiumicino mentre gridava in coro «Mejo falliti/ che anna’ co’ ’sti banditi».
• I sondaggi mostrarono però che gli italiani non avevano alcuna simpatia per i lavoratori Alitalia, percepiti come dei privilegiati negli anni della fortuna e dei privilegiati anche al momento della disgrazia dato che il governo aveva garantito agli esuberi - tra cassa integrazione e mobilità - sette anni d’assegno. Veltroni verificò facilmente che l’opinione pubblica avrebbe attribuito soprattutto a lui e alla Cgil la responsabilità del default - non così abominevole nell’opinione dei più - e che il danno d’immagine per Berlusconi sarebbe stato tutto sommato limitato. Berlusconi disse poi che su Veltroni era intervenuto lo stesso D’Alema, per ricondurlo alla ragione, circostanza che è stata negata da tutti e due. Mentre consegniamo questo libro, quindi, la crisi Alitalia sembra risolta. Si sa che un partner straniero prenderà una quota di minoranza, ma non si sa ancora se si tratterà di Lufthansa (come vuole la Lega), di Air France o di British Airways.
• Berlusconi si difese dall’ultimo processo ancora aperto contro di lui (il tentativo di corruzione di David Mills testimone in due processi del 1997 e 1998: vedi GANDUS Nicoletta) costringendo il Parlamento ad approvare a tappe forzate (22 luglio 2008) il cosiddetto lodo Alfano che sospende qualunque iniziativa giudiziaria, per qualunque ragione intrapresa, contro le prime quattro cariche dello Stato: presidente della Repubblica, presidenti di Senato e Camera, presidente del Consiglio. Il premier resta fermo nella sua idea di riformare la giustizia, separando le carriere di pm e giudici e riformando il Csm in modo da aumentare la rappresentanza politica e diminuire quella giudiziaria. Il capo dell’Idv, Di Pietro, ha annunciato un referendum abrogativo del lodo Alfano, contro il quale è stato presentato un ricorso alla Corte costituzionale dal pm Fabio Di Pasquale.
• Problemi di salute: s’è operato al menisco (novembre 2006), il 12 novembre 2006, sul palco del Palazzetto dello sport di Montecatini, ha avuto un mancamento (disidratazione: quando ha riaperto gli occhi, vedendo incombere su di lui il medico Giuseppe Papaccioli che ha una lunga barba sale e pepe, ha esclamato. «Ma chi sei, Bin Laden?»), il 17 dicembre 2006 il professor Andrea Natale lo ha operato di un disturbo al ritmo cardiaco nell’Heart Center di Cleveland.
• L’8 dicembre 2007 s’è presentato a Napoli con una t-shirt sotto la giacca, fatto mai accaduto primo ed elogiato in genere dagli stilisti. L’evento ha provocato inchieste sul rapporto tra Berlusconi e i pullover, che il presidente del Consiglio adopera regolarmente nell’intimità (sempre di color blu).
• Il 3 febbraio 2008, domenica, gli è morta la mamma, molto amata, Rosa Bossi Berlusconi (Milano, 1911-2008).
• Grazie alla figlia Barbara, è diventato nonno per la quarta volta.
• Per le altre iniziative del Berlusconi IV vedi, tra l’altro, alle voci BOSSI Umberto, BRUNETTA Renato, CALDEROLI Roberto, GELMINI Mariastella, MARONI Roberto, MATTEOLI Altero, TREMONTI Giulio. Per le questioni relative ai rapporti con la moglie vedi BERLUSCONI Veronica.
• Vita Primo dei tre figli di Luigi Berlusconi (Saronno 1908-Milano 1989), funzionario e poi direttore della Banca Rasini, alla cui memoria è stato intitolato un torneo di calcio che si disputa in genere prima del campionato; e di Rosa Bossi, già stenografa-dattilografa alla Pirelli (defunta nel 2008). I due fratelli si chiamano Paolo (vedi) e Maria Antonietta (Como 9 giugno 1943). Infanzia qualunque a Milano, medie e liceo al Sant’Ambrogio dei salesiani di via Copernico 9, laurea alla Statale con una tesi intitolata Il contratto di pubblicità per inserzione (lode e premio di due milioni come primo classificato al concorso indetto dalla Manzoni). Aveva 25 anni e parecchie esperienze lavorative alle spalle: a 14 anni tre mesi di barista a Clusone, durante l’università fotografo di matrimoni e funerali (Time), agente immobiliare, rappresentante di elettrodomestici, cantante nel complessino di Fedele Confalonieri con cui andava anche in crociera. Appena laureato si dà all’edilizia, partendo da un terreno in via Alciati a Milano, 190 milioni garantiti dal padre. La madre Rosa su questo inizio che i suoi avversari qualificano come oscuro: «Carlo Rasini, proprietario della banca dove lavorava mio marito, gli concesse un prestito. Noi gli demmo tutto quello che avevamo da parte. “Però ricòrdati che di figli ne ho tre”, gli disse suo padre, “perciò un giorno dovrai aiutare la Maria Antonietta e il Paolo”. Alla fine mio marito lasciò la banca per seguire le imprese di Silvio. In casa avevamo valigie piene di cambiali. Ogni tanto el me Gino diseva: “Rosella, me buti giò de la finestra”» (Stefano Lorenzetto).
• Costrusce a Brugherio e poi a Segrate Est il complesso oggi noto come Milano 2 (Alexander Stille: «un bizzarro mix tra la città ideale del Rinascimento italiano e una versione sterilizzata e un po’ kitsch del sogno suburbano americano»). Entra poi nel business della tv per offrire agli abitanti di Milano 2 un servizio in più, una televisione via cavo riservata. La chiama Telemilano e comincia a trasmettere il 24 settembre 1974. La sede viene sistemata nella sala congressi dell’hotel Jolly di Milano 2. Guido Medail, che partecipò all’impresa: «La prima trasmissione fu un’intervista fatta in francese e senza traduzione al capo della resistenza curda. Trasmettevamo soprattutto dibattiti politici. Accettarono di venire anche Eugenio Scalfari (che non aveva ancora fondato Repubblica), Giorgio Bocca, Massimo Fini. Qualche film che piratavamo ai preti delle edizioni San Paolo. Berlusconi si faceva sentire di rado» (Maurizio Caverzan). Nel 1976 la Corte Costituzionale sentenziò che in Italia l’emittenza privata era ammessa, ma solo in ambito locale. Medail racconta di aver sentito Berlusconi calcolare ad alta voce che a quel punto Telemilano avrebbe potuto produrre programmi da vendere alle altre tv private (in quel momento erano 434) finanziandosi con la pubblicità da inserire nelle trasmissioni. “Telemilano via cavo” fu perciò trasformata in “Telemilano 58”, rete locale via etere, ed ebbe inizio l’escalation televisiva le cui tappe fondamentali furono: 1) assunzione di Mike Bongiorno; 2) assunzione di Adriano Galliani; 3) interconnesione funzionale; 4) acquisizione dei diritti del Mundialito; 5) acquisto di Italiauno da Rusconi; 6) acquisto di Retequattro da Mondadori.
• Sul primo punto vedi BONGIORNO Mike. Sul secondo punto: Galliani, che fabbricava apparati per ricevere le tv estere, s’era messo in testa di diffondere con quel sistema le tv locali in Italia, non riuscì a far società né con Rusconi né con Rizzoli né con Mondadori e si vide offrire un miliardo di lire da Berlusconi per il 50% della sua Elettronica Industriale (1 novembre 1979). Sul terzo punto: l’avvocato Aldo Bonomo (1929-2005) inventò l’interconnessione funzionale, un grimaldello giuridico che consentiva a Telemilano, ribattezzata intanto Canale 5 al Nord e Canale 10 al Centro e al Sud, di trasmettere in tutta Italia: in pratica si trattava di registrare una cassetta del programma e di farla avere subito alle altre emittenti, in modo che la trasmissione, sia pure distanziata di qualche minuto o di qualche secondo, venisse di fatto irradiata su tutto il territorio nazionale. Sul quarto punto: «Il Mundialito per nazioni è un torneo di calcio che nel 1981 si è svolto in Uruguay (dal 30 dicembre 1980 al 10 gennaio 1981) e di cui Canale 5 ha acquistato i diritti, dando il via alla competizione con la Rai. Il primo tentativo del network Fininvest di scalzare il monopolio delle reti di stato sulle dirette sportive è stato seguito da un’operazione ben più consistente: il 16 giugno del 1982 Canale 5 ha prodotto il suo torneo per squadre di club (ripetendolo il 25 giugno 1983 e il 22 giugno 1987). Questo Mundialito, uno dei primi grandi impegni produttivi della rete privata, è totalmente predisposto in funzione delle telecamere, secondo una formula già collaudata dalla televisione americana. Inquadrature tempestive del dettaglio, utilizzo opportuno del replay da tre angolazioni diverse, una dozzina di telecamere, due telecronisti e interviste dalla tribuna e a bordo campo in ogni intervallo di gioco fanno della telecronaca uno spettacolo e dello sport un evento mediatico» (Aldo Grasso). Sui punti 5 e 6: l’editore Edilio Rusconi, avendo verificato che i costi di produzione della sua Italiauno (creata il 3 gennaio 1982) superavano senza speranza i ricavi, la vendette a Berlusconi per 35 miliardi di lire (fine 82); allo stesso modo Mario Formenton, direttore generale della Mondadori padrona di Retequattro (fondata con Carlo Perrone e Carlo Caracciolo il 4 gennaio 1982 e comprendente 23 emittenti locali), sbaragliato da Canale 5 che contro il suo Venti di guerra (acquistato dall’americana Abc) aveva controprogrammato Uccelli di rovo e Dallas, fu costretto a dimettersi e il suo successore Leonardo Mondadori, per far fronte a un buco che stava mettendo a rischio la stessa casa editrice, preferì cedere Retequattro a Berlusconi per 135 miliardi di lire (28 agosto 1984) All’attacco dei pretori di Roma, Torino e Pescara, che nell’ottobre del 1984 gli oscurarono le reti sostenendo che l’interconnessione funzionale era fuori legge, Berlusconi rispose chiedendo aiuto al suo grande protettore, il presidente del Consiglio Bettino Craxi, in quel momento a Londra in visita ufficiale. Craxi tornò di corsa a Roma e emanò un decreto che consentiva a Berlusconi di trasmettere in attesa della legge che avrebbe regolamentato il settore e che il parlamento italiano approvò poi solo nel 1990 (legge Mammì, vedi MAMMÌ Oscar). Il ruolo di Craxi, segretario del Partito socialista italiano dal 1976, fu fondamentale nell’ascesa di Berlusconi per almeno tre ragioni: 1) gli consentì di operare in regime di “deregulation”, cioè senza norme che ne limitassero l’attività (fino al 1990); 2) operò attraverso il presidente socialista della Rai, Enrico Manca, affinché l’azienda di Stato tenesse un profilo concorrenziale basso (pax televisiva); 3) gli procurò un vasto credito bancario, imperniato soprattutto sulla Banca Nazionale del Lavoro, di cui il Psi era il referente politico. Si tenga conto che negli anni Ottanta Berlusconi mise in moto investimenti molto rilevanti sia per comprare all’estero pacchetti di film e di programmi televisivi sia per sottrarre alla Rai i migliori comici, presentatori, giornalisti sia per finanziare le altre sue attività, sempre più imponenti: acquisto da Giussi Farina del Milan (10 febbraio 1986, ne diventerà presidente il 24 marzo dello stesso anno), che dopo una formidabile opera di potenziamento renderà la squadra più vincente della storia del calcio; acquisto del pacchetto di maggioranza assoluta del quotidiano di Indro Montanelli, Il Giornale, di cui aveva preso il 12 per cento nel 1977 e il 37,5 nel 1979 (passato poi al fratello Paolo quando la legge Mammì proibì ai proprietari di televisioni di possedere anche quotidiani); acquisto della casa editrice Mondadori al termine di un’aspra battaglia legale e finanziaria con Carlo De Benedetti (l’erede Luca Formenton s’era impegnato a vendere la sua quota a De Benedetti e cambiò idea, cedendola a Berlusconi, poco prima che il patto sottoscritto venisse a scadenza: vedi anche SCALFARI Eugenio); ingresso nel mondo della finanza (Mediolanum con Ennio Doris) e della distribuzione (Standa); continuazione dell’attività edilizia. Berlusconi operò allora attraverso un’imponente rete di società, le principali delle quali erano la capogruppo Fininvest, posseduta inizialmente da 20 lussemburghesi (oggi dismesse), la Mediaset, dove furono raggruppate le reti televisive, e Publitalia, incaricata di vendere gli spot da mandare in onda su Canale 5, Italiauno e Retequattro (in ordine di importanza). L’esplodere di Tangentopoli – l’inchiesta che a partire dal 1992-93 mise in luce un vasto giro di corruzione politica – e la conseguente scomparsa dalla scena di Craxi indussero Berlusconi a intraprendere l’attività politica («scendere in campo», secondo la sua espressione). Esordio vero il 24 novembre 1993 quando, interrogato da un cronista sulle imminenti elezioni per il sindaco di Roma, disse che tra Francesco Rutelli, candidato delle sinistre, e Gianfranco Fini, candidato della destra e soprattutto segretario del “partito fascista”, avrebbe votato senz’altro per Fini (battuta che di fatto sdoganò il Msi). E infatti, quando si presentò alle elezioni del 1994, Berlusconi guidava un cartello formato dal partito Forza Italia, da lui fondato nel 1993, dal Msi-An, dalla Lega Nord – la formazione di Umberto Bossi che predicava la secessione dall’Italia della Padania –, dal Centro cristiano democratico e dall’Unione del centro democratico (due formazioni di risulta della Dc scomparsa causa Tangentopoli).
• Come mai Berlusconi, che pareva diventato un imprenditore molto ricco e potente, sentì il bisogno di entrare in politica dopo la caduta di Craxi? Bruno Vespa: «Nel 1993 la Fininvest aveva 3.500 miliardi di debiti e si può immaginare che se le elezioni del 1994 avessero spazzato via Berlusconi come un fuscello, non tutti i banchieri sarebbero stati generosi con lui. Il Cavaliere (soprannome che la stampa adopera spesso, per via della nomina ricevuta da Giovanni Leone - ndr) restò spiazzato quando la Banca Nazionale del Lavoro, sul cui appoggio contava, gli chiese di rientrare. Enrico Cuccia voleva affondarlo».
• L’annuncio della discesa in campo (26 gennaio 1994: vedi anche URBANI Giuliano) provocò una eco enorme. Berlusconi registrò un discorso su una cassetta e la mandò a tutti i telegiornali. Si fece riprendere in una luce morbida, dietro una scrivania, circondato dai libri e con le foto dei cari, incorniciate, bene in vista. Sorridente, rassicurante, inappuntabile: «Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere in un paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a un passato fallimentare. Affinché il nuovo sistema funzioni, è indispensabile che alla sinistra si opponga un Polo delle Libertà capace di attrarre a sé il meglio di un paese pulito, ragionevole, moderno».
• Al voto del 27 marzo 1994 la coalizione di centrodestra vinse col 42,9 per cento dei voti e Berlusconi diventò presidente del Consiglio. Cadde però dopo pochi mesi (22 dicembre 1994) per l’uscita della Lega (“ribaltone”), contraria a provvedimenti che colpissero le pensioni e delusa dal poco impegno della coalizione sul federalismo. Berlusconi non riuscì a tornare al governo prima del 2001. Nel frattempo rese chiari i fondamenti del proprio progetto politico: maggiori poteri all’esecutivo, separazione delle carriere tra magistratura inquirente e magistratura giudicante, federalismo. Discusse queste riforme nella cosiddetta Commissione Bicamerale presieduta da Massimo D’Alema, a quel tempo capo dei postcomunisti e da quel momento suo interlocutore principale. Alle elezioni del 18 aprile 2001 Berlusconi si presentò avendo rafforzato Forza Italia e riportato la Lega dalla sua parte. Pronto a investire 100 miliardi di lire nella campagna elettorale, basata su enormi manifesti azzurri sui quali campeggiavano il suo volto e slogan assai facili («Meno tasse per tutti» ecc.), fece stampare in 12 milioni di copie una sua agiografia intitolata Una storia italiana spedita a tutti i capifamiglia (21 miliardi di lire di investimento per la stampa e 15 per la spedizione). Gli avversari, capitanati da Rutelli, gli risposero con una serie di attacchi in televisione: Daniele Luttazzi, Marco Travaglio, Michele Santoro, Enzo Biagi lo accusarono dal piccolo schermo, e in genere nel momento di massimo ascolto, di essere un ladro, un evasore fiscale, un corruttore, un capomafia ecc. Berlusconi rispose sottoscrivendo nella trasmissione Porta a Porta di Bruno Vespa un contratto con gli italiani nel quale si impegnava ad abbattere la pressione fiscale, diminuire la criminalità, alzare le pensioni minime ad almeno un milione di lire al mese, creare un milione e mezzo di nuovi posti di lavoro, aprire almeno il 40 per cento dei cantieri previsti dal Piano decennale delle Grandi opere. Vinse poi le elezioni con una maggioranza schiacciante (Forza Italia da sola ebbe il 29,4% dei voti).
• I suoi cinque anni di governo si caratterizzarono in politica estera per l’appoggio incondizionato dato agli Stati Uniti di Bush (missioni in Afghanistan e in Iraq), la linea nettamente filoisraeliana e implicitamente antiaraba (contraddicendo con questo una lunga tradizione di relazioni ambigue dei nostri governanti con i paesi mediorientali), i cattivi rapporti con francesi e tedeschi (vedi lo scambio di insulti con Martin Schultz durante una celebre seduta del Parlamento europeo riprodotta poi nel Caimano di Nanni Moretti), l’asse con Aznar e Tony Blair e una propensione antieuropeista esplicitata nelle polemiche sulla moneta unica. In politica interna per la riforma del mercato del lavoro (reso più flessibile grazie alla legge Biagi), per quella delle pensioni (poi modificata da Prodi), per quella dell’emittenza (vedi GASPARRI Maurizio) e per quella della devoluzione o federalismo, poi bocciata dal referendum del 25-26 giugno 2006. Luca Ricolfi, politologo vicino al centrosinistra, alla fine del quinquennio di governo berlusconiano calcolò che il contratto con gli italiani sottoscritto durante Porta a Porta era stato rispettato al 60 per cento.
• Le accuse e i processi Contro Berlusconi, specialmente da quando annunciò la decisione di entrare in politica, si è scatenata una pubblicistica di mole impressionante. I processi che gli sono stati intentati dalla magistratura non si contano. Diamo qui la lista delle imputazioni principali:.
• Le origini della ricchezza di Berlusconi sono misteriose e si sa comunque che, ai tempi in cui faceva il costruttore, ha pagato un mucchio di tangenti per costruire in deroga ai piani regolatori, per piazzare appartamenti altrimenti invendibili, per far spostare le rotte degli aerei che davano fastidio agli inquilini di Milano 2 ecc.;.
• Ha assunto come stalliere nella sua villa di Arcore un mafioso, Vittorio Mangano, e questo - insieme con altri indizi - dimostra che è sempre stato alleato con la mafia. I contatti con la mafia li teneva il palermitano Marcello Dell’Utri, suo braccio destro, che ha fatto per molto tempo la spola tra Milano e Palermo;.
• Ha corrotto i parlamentari per farsi approvare la legge Mammì che, nel 1990, rese legali le sue reti televisive;.
• Ha corrotto i giudici che, nella vertenza contro Carlo De Benedetti, gli assegnarono la Mondadori;.
• Ha partecipato all’opera di corruzione relativa alla mancata vendita della Sme da parte dell’Iri di Romano Prodi a Carlo De Benedetti (1985-86: Berlusconi intervenne sostenendo l’offerta di una cordata concorrente per fare un piacere a Craxi che non voleva far prendere la Sme a De Benedetti, nel 2007 fu assolto dall’accusa di concorso in corruzione);.
• Ha corrotto la Guardia di Finanza e ha pagato in nero, con complessi giri estero su estero, molti diritti su film, soap opera ecc.;.
• Si è iscritto alla loggia massonica P2 (26 gennaio 1978, tessera 1816) e ha poi fatto lavorare per sé il faccendiere Flavio Carboni, coinvolto anche nell’affare Roberto Calvi;.
• Da quando si è dedicato alla politica, è in perenne conflitto di interessi: controlla il 50 per cento dell’informazione televisiva e, quando occupa Palazzo Chigi, anche l’altro 50 per cento, attraverso la Rai. Essendo poi presente come imprenditore in tutti i settori dell’economia, qualunque legge va a suo beneficio. Da tutti i suoi guai giudiziari Berlusconi è finora uscito indenne: il 29 aprile 2007 è uscito totalmente assolto anche dalla vertenza Sme. Restano in piedi il processo Mills, sospeso grazie al lodo Alfano (vedi GANDUS Nicoletta) e una richiesta di rinvio a giudizio della Procura di Napoli per aver raccomandato cinque attricette ad Agostino Saccà (gennaio 2008).
• Il 15 maggio 2007 Berlusconi annunciò di aver speso, fino a quel momento, 280 miliardi di lire in avvocati. Aggiunse: «Sabato scorso si è tenuta la 2235esima udienza contro di me. Un record assolutamente imbattibile nella storia dell’uomo». Bruno Vespa: «Ho fatto una verifica presso gli uffici legali che assistono il Cavaliere e mi è stato detto che nel gennaio 1994 Berlusconi non aveva nessun procedimento a carico (...) In compenso, dopo aver deciso di fare politica, Berlusconi fu il destinatario, da parte della Procura di Milano, di 17 inchieste nel 1994 e di altre 23 nel 1995 (...) Perché tutto questo è cominciato con la discesa in campo del Cavaliere, visto che qualche mese prima non c’era niente a suo carico? Quando lo chiesi a Francesco Saverio Borrelli, il procuratore mi rispose sostenendo che, quando una persona appare sul proscenio, è più facile che arrivino informazioni sul suo conto». Vespa, che è convinto della persecuzione giudiziaria, cita il caso del calciatore Gianluigi Lentini, pagato in nero da Berlusconi che fu per questo rinviato a giudizio. A Gianni Agnelli, che aveva fatto la stessa cosa per Dino Baggio, nessuno torse un capello.
• Vita privata Due mogli, cinque figli. Prima moglie: «Berlusconi, una mattina, passa davanti alla Stazione Centrale. Lo attende l’imprevisto. Si chiama Carla Elvira Lucia Dall’Oglio (La Spezia 12 settembre 1940). Sta aspettando l’autobus. Improvvisamente Berlusconi dimentica tutto. Si presenta, scherza, si offre di accompagnarla a casa. Lei tergiversa e infine accetta» (da Storia di un italiano). Si sposarono il 6 marzo 1965. Due figli: Marina e Piersilvio.
• Seconda moglie, l’attrice bolognese Miriam Bartolini, in arte Veronica Lario: «Il caso volle che mi trovassi a Milano. Una persona, che lavorava nella compagnia di Alberto Lionello e di cui ero amica, mi invitò a partecipare a una cena in casa del giovane imprenditore che da poco aveva comprato il teatro Manzoni... Il padrone di casa ci accolse “scompagnato” e mi sembrò single nel modo di porsi ai presenti. Era la prima volta che lui entrava nella mia vita e col tempo imparai che quel suo modo di voler apparire “solitario” era una costante della sua personalità. Imparai che già era accaduto prima e negli anni sarebbe accaduto anche dopo... Anch’io, come le altre e numerose giovani ospiti della serata, ottenni un poco della sua svolazzante e onnipresente attenzione. Nel suo sforzo appassionato non fu ingeneroso di sorrisi... A parte i sorrisi, quella sera finì lì».
• Berlusconi e Veronica si frequentarono benché lui fosse ancora sposato. La sistemò, con la madre, in un appartamento vicino al suo ufficio. Nel 1984 nacque Barbara. L’anno dopo divorziò dalla Dall’Oglio che si trasferì poi nel Dorset, in Inghilterra. Nel 1986, sempre dalla sua relazione con Veronica, nacque Eleonora, nel 1988 Luigi. Si sposarono il 15 dicembre 1990, testimoni i coniugi Craxi (Bettino aveva già fatto il padrino di battesimo a Barbara), Fedele Confalonieri, Gianni Letta.
• Fisico «Ci ho messo tanti anni per diventare così giovane» (spegnendo le candeline sulla torta del 68° compleanno).
• Il suo cruccio è l’altezza. Ad Augusto Minzolini disse: «Lei quanto è alto? Un metro e 78? Non esageri. Venga qui allo specchio, vede, io sono alto un metro e 71. Ma le pare che un uomo alto un metro e 71 possa essere definito un nano?». Claudio Rinaldi riferì la seguente osservazione di Berlusconi: «Ai miei tempi potevo dirmi abbastanza alto, oggi con le nuove generazioni confesso di essere sotto la media. Ma non significa essere così nano come mi dipinge la satira». Corrado Guzzanti, che fece un programma intitolato L’ottavo nano, gli rispose: «Chiariamo subito che l’ottavo nano non è Berlusconi. Lui non si è classificato ottavo». Giuseppe Ayala sostiene che Berlusconi non sa e non vuole sapere la sua altezza. A Palazzo Chigi gli attribuiscono un 1,65. Valeria Paniccia ha raccontato che Mario Catalano, già regista di Buona Domenica e Risatissima, sarebbe l’inventore del “sopralzo”, un gradino posto dietro al podio che, adoperato per esempio alla Conferenza Intergovernativa di Roma del 2003, lo fece sembrare più alto di Prodi e della stessa statura di Pat Cox. Alessandra Stanley, del New York Times: «Misurando soltanto un metro e sessantasette, Berlusconi il problema della statura lo sente. Nelle conferenze stampa i suoi collaboratori gli sistemano un cuscino sulla sedia perché appaia alto come gli altri. E quando c’è una foto di gruppo, si alza sulla punta dei piedi subito prima del flash». Giorgio Dell’Arti nel 1994 parlò di due suolette in neoprene termodeformabile da un centimetro e mezzo l’una, che metterebbe sotto i tacchi delle scarpe, una all’esterno (alzatacco) e una all’interno (talloniere o tallonette). In questo modo fra l’altro si distribuisce meglio il peso del corpo e ci si stanca di meno a stare in piedi. Davanti ad Anna La Rosa, però, che lo aveva provocato con una domanda sull’alzatacco, «Berlusconi ha alzato il piede e ha detto: “Guardi, non è vero niente”». Pippo Baudo ha testimoniato che ha capelli molto sottili, «capelli d’angelo». Ha combattuto la calvizie con i trapianti, realizzati nello studio del professor Piero Rosati, via Piangipane 141, Ferrara. Per ripararsi il capo dal primo intervento (aprile 2004), si coprì con una bandana con la quale lo fotografarono a Porto Cervo. Avendo passeggiato in quella foggia vicino a Tony Blair, gliene venne un successo internazionale: nel grande magazzino Harvey Nichols di Londra le bandane bianche e nere di John Galliano da 120 euro vennero esaurite in una mattina. Ottomila tifosi del Livorno, volendo festeggiare il ritorno in serie A della loro squadra, si fecero fare a Napoli delle bandane da 3 euro e con quelle in testa affollarono gli spalti per la partita con il Milan (11 settembre 2004, 2 a 2). Dopo il secondo trapianto, avvenuto il 5 agosto 2005, rinunciò alle bandane.
• «Si sveglia alle 7, va a letto non prima delle due. Lo faceva prima del bypass, lo continua a fare. Inizia con del tè, gli piace lo yogurt, le buone intenzioni inseguono pochi carboidrati e molto pesce, molte verdure (in Sardegna una cucina di quasi 100 metri quadrati ospita 4 forni, uno solo per i cibi da cuocere a vapore). Che sia ad Arcore o a Roma, Berlusconi prende appuntamenti ogni 15 o 30 minuti: accoglie nel suo studio fra 10 e 20 persone diverse, ogni giorno. Il riposino dopo pranzo non esiste, al massimo un pisolino ricarica le batterie negli spostamenti: in macchina o in aereo» (Marco Galluzzo). Ricchezza Nel luglio 2005 le quote di Fininvest, strutturata in otto holding (residuo delle antiche 20), furono distribuite così: il capofamiglia possiede Holding I (15,27%), Holding II (15,27%), Holding III (7,83%), Holding VIII (20,48%), Holding XII (1,88%) più un altro 2,06%; Marina possiede Holding IV (7,65%); Piersilvio Holding V (7,65%); Holding XIV è divisa tra Eleonora, Barbara e Luigi (21,43%).
• Nel novembre 2006, chiacchierando nel salotto di Daniela Santanché, Berlusconi stesso ha fatto il punto sulle sue ricchezze: 13 case, 14 piscine (perché una è coperta), quattro jet di cui uno rotto, sei panfili, duemila conti in banca, 56 mila collaboratori, una squadra di calcio, una di pallavolo (campioni d’Italia e d’Europa), una di hockey (idem). Aveva prodotto fino a quel momento 110 film (e sostiene di essersi fidanzato con il 60 per cento delle attrici). Le case, cioè le ville, possedute sono in realtà 14: Macherio (Villa Belvedere), Arcore (Villa San Martino), Portofino, Porto Rotondo (La Certosa), Cernobbio, due alle Bermuda, sette ad Antigua (Piccole Antille). Da ultimo ha comprato Villa Campari (già Villa Correnti), sul lago Maggiore, e lì ha festeggiato, il 29 settembre 2008, il 72esimo compleanno.
• Il reddito personale 2006 - come risulta alla Camera - fu di 28 milioni di euro. L’utile Fininvest di 316 milioni, di cui 229 sono stati distribuiti in dividendi.
• Pur possedendo tre cellulari le cui suonerie sono segrete, non ne tiene in tasca neanche uno: risponde il caposcorta e glieli passa (di recente, però, avrebbe imparato a scrivere gli sms e durante le riunioni noiose si divertirebbe a fare scherzi coi messaggini).
• Nonostante queste disponibilità Berlusconi ha detto molte volte di detestare gli sprechi. «A Palazzo Chigi quando esco spengo io la luce in ufficio. E scrivo sempre sul retro dei fogli di carta» (Vanity Fair).
• Televisione «I colori sgargianti del mondo televisivo di Berlusconi, pur in tutta la loro apparente stupidità e frivolezza, rappresentarono una rivoluzione nel mondo in bianco e nero della vita italiana» (Stille).
• Berlusconi: «Ma lo vuoi capire che senza la televisione una cosa non esiste? Né un prodotto né un politico né un’idea?» (Corrias-Gramellini-Maltese).
• «Io non vendo spazi, vendo vendite» (Giuseppe Fiori).
• Confalonieri: «Dovevate vederlo discutere la programmazione per capire come siamo riusciti a superare la Rai. Era in grado di prevedere i dati d’ascolto di qualsiasi programma. Si interessava della riscrittura dei copioni, delle scenografie, del montaggio di tutte le produzioni. Dava suggerimenti agli autori, ai registi, agli attori. Inventava i format, i titoli dei programmi, gli slogan pubblicitari, le campagne promozionali. Era davvero l’Uomo Televisione» (Stille).
• Gerry Scotti: «Berlusconi prendeva il pennello e faceva vedere al pittore il colore che voleva. Se la scenografia doveva essere arancione il colore lo dava lui: l’ho visto pitturare. Poi andava in sartoria e spiegava come voleva i costumi. Aveva intuizione non pensando di averla. Un dono dei grandi capitani d’industria» (Silvia Fumarola).
• Milan Sotto la sua gestione il Milan ha vinto sette scudetti (1988, 1992, 1993, 1994, 1996, 1999, 2004), due coppe dei Campioni (1989, 1990), tre Champions League (1994, 2003, 2007), un Mondiale per club (2007).
• Durante una visita in Vaticano, una volta disse al Papa: «Cara Santità, mi lasci dire che lei assomiglia al mio Milan. Infatti lei, come noi, è spesso in trasferta, a portare nel mondo un’idea vincente». Altre versioni: «L’Italia dovrebbe sforzarsi di adottare il modello Milan»; «La mia missione politica è come costruire una squadra di calcio»; «Il professor Luigi Spaventa, prima di competere alle elezioni con me, provi a vincere un paio di Coppe dei Campioni».
• «Il calcio è più difficile, vince solo uno, il primato non si condivide; in politica invece il competitor resta in campo, non vince e non perde mai nessuno. Anche per questo in politica non mi sono mai veramente divertito».
• «Il calcio è metafora di vita: dai successi del Milan la gente ha capito che la mia è una filosofia vincente, che lavorando si possono raggiungere risultati ambiziosi».
• «Vincono i migliori. E sono i meglio pagati. Quindi chi ha soldi ha anche i migliori. Ma i migliori devono esserlo in tutto, non solo sul campo. Vent’anni fa, all’arrivo di Berlusconi, questo concetto elitario ha squassato il calcio. Berlusconi aumentò la posta, per giocare al suo tavolo bisognava continuamente rilanciare. Non ha resistito nessuno, nemmeno la Juve che per rimanere competitiva ha dovuto evidentemente arrangiarsi. È nato un calcio diverso ed è stato il calcio del Milan. Nel suo tempo il Milan ha inventato e costruito, è passato dalla rivoluzione di Arrigo Sacchi al Congresso di Vienna di Fabio Capello, ha sostituito gli olandesi con i brasiliani (molto meglio, molto più affidabili alla lunga), ha sintetizzato novità e reazione in Carlo Ancelotti e la sua squadra di tutti trequartisti. Ma è riuscito a fare una cosa che non era assolutamente pensabile. Ha sostituito per la prima volta la Juventus nell’immaginario degli italiani come simbolo nazionale e di successo» (Mario Sconcerti).
• «Sulle cronache sportive si parla del Milan di Sacchi, di Alberto Zaccheroni e di Ancelotti, mai del Milan di Berlusconi. Eppure sono io che da anni faccio le formazioni, detto le regole e compro i giocatori. Sembra che io non esista» (Gian Antonio Stella). Sulla questione delle formazioni vedi ANCELOTTI Carlo.
• Inter Giuseppe Ticozzi, ex calciatore dell’Edilnord (squadra allenata da Berlusconi quando faceva il costruttore), giura che all’epoca (anni Sessanta) Berlusconi era un grandissimo tifoso dell’Inter. Sandro Mazzola: «Non ricordo la data precisa, ma confermo che durante una riunione per il Mundialito, Berlusconi mi domandò: “Scusi, Mazzola, può chiedere a Ivanoe Fraizzoli se è disposto a vendermi l’Inter?”. Risposi che mi sarei informato e riferii. Sulle prime Fraizzoli non disse di no. Anzi. Indicò una strada: “Potrei cedere a Berlusconi il cinquanta per cento delle azioni”. Trascorso qualche giorno ci ripensò: “No, niente Berlusconi”. Comunicai la risposta e la cosa finì lì. Berlusconi voleva comprare l’Inter e a volte mi interrogo: che cosa ne sarebbe stato del Milan se l’operazione gli fosse riuscita?» (Carlo Laudisa).
• Seduttore di uomini Berlusconi alla forza vendita: «Ricordate che i nostri spettatori hanno più o meno la licenza media, e non erano i primi della classe» (D’Anna-Moncalvo).
• «I venditori di Berlusconi erano fortemente disincentivati dal fumare, portare la barba, i baffi o i capelli lunghi e disordinati, veniva detto loro di avere sempre l’alito fresco, di stare attenti alla forfora e di non avere mai, cascasse il mondo, le mani sudate» (Stille).
• Berlusconi alla forza vendita: «I clienti stronzi sono quelli che si devono conquistare a tutti i costi, sono i clienti che non dobbiamo assolutamente lasciarci scappare, quelli sono i clienti che dobbiamo assolutamente raggiungere prima degli altri. Perché questi si alzano e tutte le mattine, guardandosi allo specchio, che cosa vedono? Vedono uno stronzo. Giorno dopo giorno, mattina dopo mattina, quello specchio riflette la stessa, drammatica immagine. E quindi i signori che appartengono disgraziatamente a questa categoria si incazzano immediatamente e restano incazzati per tutto il giorno. Questi uomini vengono sempre trattati da stronzi, tutti li trattano da stronzi, perché logicamente, essendo tali, vanno trattati così. Però, fate attenzione, perché dovete entrare in campo voi, con la vostra arte e le vostre astuzie. Siccome lo stronzo viene trattato da tutti come uno stronzo, se trova invece qualcuno che lo tratta in maniera diversa gli sarà grato, anzi gratissimo, per sempre. Sarà disponibile, sarà aperto, sarà cordiale, sarà gentile, sarà riconoscente, insomma sarà meno stronzo. E quindi abbiamo anche reso un servigio all’umanità, l’abbiamo alleggerita. Quindi bisogna conquistare questi clienti principalmente perché diventeranno gli amici più sinceri, i clienti più preziosi, in quanto vi saranno per sempre grati e riconoscenti» (D’Anna - Moncalvo, ripresi da Stille, il quale pensa che la descrizione del cliente stronzo abbia come modello Craxi).
• Massimo Boldi: «Mi telefona spesso. Un giorno: “Ciao Massimo, come stai?”. Io ero emozionato anche se ci diamo del tu e siamo amici. Lui fa: “Senti Massimo, fra qualche giorno andrà in onda Un ciclone in famiglia. Volevo dirti che tra le tante famiglie che seguiranno questa fiction c’è anche la mia”. Accipicchia. Allora gli ho detto: “Silvio, sei veramente un amico”. E lui: “Ogni tanto vieni a trovarmi, ci facciamo quattro risate”».
• Gigi D’Alessio: «Alla manifestazione del Vittoriano, io canto, lui è lì in prima fila e mi fa l’occhiolino. Due, tre volte. Allora vado a salutarlo e lui ferma la scorta e mi fa: “Complimenti, hai scritto una bella canzone”. Qualche sera dopo, mi ha chiamato Maurizio Costanzo: “Puoi venire subito qui?” mi fa. “C’è un ammiratore che ti vuole salutare. Si chiama Silvio”. Ho preso mia moglie e siamo andati a casa sua. Mariano Apicella suonava la chitarra, Berlusconi cantava canzoni francesi. Era molto musicale. Come autore è un romanticone. Mi piace soprattutto Colpa mia colpa tua. Una volta al Maurizio Costanzo Showne ho accennato una strofa e gliela ho dedicata. Lui ha telefonato subito per ringraziarmi».
• Raimondo Vianello: «Un giorno si presenta a casa nostra. Ci dice che è pronto a darci un programma, che ci aspetta a braccia aperte. Ha uno stile asciutto, convincente. È un venditore. In quegli anni la Rai è un ministero, non si capisce con chi parlare di nuovi progetti, nuove idee. Avremmo dovuto realizzare un unico programma a Canale 5 e poi tornare a Viale Mazzini. Berlusconi offre patti chiari. E soldi. Insomma, ha argomenti convincenti. A un certo punto gli chiedo se vuole bere qualcosa. Lui mi risponde: “Non avrebbe un panino?”. Mi assale un dubbio: ma questo è davvero miliardario?».
• Mike Bongiorno: «In Rai guadagnavo 20 milioni l’anno e mi dovevo fare il mazzo con le serate per racimolare qualche lira. Lui mi ha offerto 600 milioni ed è stata la svolta».
• Fiorello: «Venne allo Sporting di Montecarlo per la serata di gala di Publitalia. Mi disse che ero bravo, che avrei fatto tanta strada se avessi tenuto la testa sulle spalle. Mi disse: impara da Mike. Poi si bloccò, stava passando una bellissima ragazza e mi disse: chi è quella bella gnocca?».
• Giancarlo Magalli: «Ho incontrato Berlusconi una volta in un ristorante. Si alzò in piedi per salutarmi e io gli dissi: “Stia comodo, la prego”. E lui: “Ci mancherebbe altro”».
• Vizi Dorme poco di notte. Legge i giornali alle due del mattino. Guarda i dossier col «dottor Letta» alle due e mezza. Qualche volta, la notte, compra oggetti alle televendite, qualificandosi.
• Detesta l’aglio.
• Passione assoluta per il giardinaggio, di cui è grande intenditore: a Villa Certosa in Sardegna ha realizzato, senza badare a spese, un parco di grande bellezza (per esempio un agrumeto contenente 140 specie di aranci, cioè tutti quelli esistenti, ecc.).