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 2012  maggio 28 Lunedì calendario

Biografia di Roberto Benigni

• Misericordia (Arezzo) 27 ottobre 1952. Attore. Regista. Premio Oscar come miglior attore protagonista 1998 per La vita è bella (Oscar anche come miglior film straniero e miglior colonna sonora a Nicola Piovani). «La merda della maiala degli stronzoli nel culo delle poppe piene di piscio con gli stronzoli che escon dalle poppe dei budelli dei vitelli con le cosce della sposa che gli fotte fra le cosce troppe seghe dentro il cazzo troppi cazzi dentro il culo» (lamento di Cioni).
Vita Misericordia è la frazione di una frazione nell’hinterland di Arezzo. I Benigni (Luigi e Isolina, contadini prestati all’industria tessile) abitavano in un casermone, padre e madre e tre sorelle più Roberto. Dormivano in un lettone unico, senza luce elettrica e senza cesso.
• I gesuiti andarono a casa sua e lo convinsero a seguirli in seminario a Firenze. Scappò dopo due mesi, profittando dell’alluvione di Firenze (1966).
• Dopo il seminario frequentò a Prato l’Istituto tecnico commerciale Datini (scuola per segretari d’azienda): «Ho imparato la dattilografia e la stenografia metodo Meschini. Me lo ricordo ancora. Ma soprattutto mi ricordo la classe, 36 donne e due uomini. Mi facevano tanta paura, ero solo un ragazzino che veniva da un piccolo paese e tutte quelle donne per me erano troppo. E chi si avvicinava?». Tra le compagne di classe Pamela Villoresi, di cui Benigni era segretamente innamorato. Racconta lei stessa: «Un giorno mi passò a prendere a casa e disse a mio padre: “Su Villoro, mandaci giù la maiala della tu’ figliola, che le si fa qualche servizino”. Io pensai che il mio babbo avrebbe chiamato la polizia e invece si mise a ridere a crepapelle».
• A 16 anni andò a Milano per bussare (invano) alle porte del Clan di Adriano Celentano. Non contento, si presentò al Cantagiro dove ricevette un altro rifiuto e finì nelle mani di uno pseudodiscografico che si prese un milione di lire per produrgli un disco e sparì subito dopo avergli consegnato una decina di copie (alcune delle quali ancora in circolazione). Tra le canzoni Vogliamo un mondo più migliore, Zappa zappa contadino e Son finito in manicomio («Canto di dolore di un operaio tessile alienato»). Debutto nel 1972 al Metastasio di Prato con Il re è nudo di Eugenij Schwarz. Lasciò quindi Vergaio (periferia di Prato), dove la famiglia si era trasferita, per seguire a Roma gli amici Donato Sannini, Carlo Monni e Lucia Poli, con la quale passò tre anni ai Satiri e al Teatro San Genesio di Roma. Dopo qualche comparsata (Le sorelle Materassi), nel 1975 Giuseppe Bertolucci lo portò all’Alberichino (il teatro più off dell’epoca) per fargli interpretare il monologo Cioni Mario di Gaspare fu Giulia, un contadino che racconta della sua grama vita di paese (il sesso, il partito, gli amici, la madre morta). Nel 1977 interpretò il Cioni prima in tv col programma Onda libera (doveva chiamarsi Televacca: dalla sua stalla, il Cioni irrompeva nella normale programmazione tv devastandola col proprio irriverente scilinguagnolo, altrove definito «torrentizia scurrilità genitale», quattro puntate e molte polemiche) poi al cinema con Berlinguer ti voglio bene (in seguito, durante uno spettacolo al Pincio, avrebbe preso in braccio Enrico Berlinguer, scena immortalata in una celebre foto). La chiamata in tv per fare il critico cinematografico di Renzo Arbore ne L’altra domenica e l’interpretazione del maestro elementare in Chiedo asilo di Marco Ferreri accrebbero il suo successo. Arbore gli fece fare Il Pap’occhio (1980) e FFSS Che ti ho portato a fare sopra Posillipo se non mi vuoi più bene (1983). I problemi con la censura e con Fellini (che vuole querelare Arbore per FFSS, film basato sull’idea che la sceneggiatura sia volata via dalla finestra del regista) ne aumentarono la popolarità. Nel 1983 fece la prima regia cinematografica (Tu mi turbi), durante la quale conobbe la moglie Nicoletta Braschi. Seguirono Non ci resta che piangere (1984), grande successo di pubblico (lo diresse e interpretò insieme a Massimo Troisi), due film negli Stati Uniti con Jim Jarmusch (Daunbailò del 1986 e Coffee and cigarettes del 1987), fino alla consacrazione definitiva nel 1989 quando Federico Fellini lo chiamò a interpretare il suo ultimo lavoro, La voce della luna. Cominciò quindi la collaborazione con Vincenzo Cerami, dalla quale nacquero quattro film: Il piccolo diavolo (1988), Johnny Stecchino (1991), Il mostro (1994) e soprattutto La vita è bella con cui nel 1999 ottenne nove nomination e tre Oscar (miglior attore, miglior film straniero e migliore colonna sonora: era stata scritta da Nicola Piovani). Da ricordare che, quando venne pronunciato il suo nome, Benigni attraversò la platea camminando sulle teste degli spettatori e ringraziando poi il pubblico in un inglese alla Cioni che mandò in visibilio gli americani. Il film suscitò una marea di polemiche per il tono da molti giudicato troppo leggero con cui raccontava la tragedia dei lager nazisti. Contrastanti (a voler essere generosi) anche i giudizi sui suoi film successivi: Pinocchio (2002, dal romanzo di Collodi, il cui nome però non compare sui manifesti) e La tigre e la neve (2005, sulla guerra in Iraq). Nel 2012 Woody Allen lo volle nel cast di To Rome with Love.
• Le sue ospitate in tv – diradate però negli ultimi tempi – hanno un copione pressoché immutabile: grida, sorpresa e soprattutto, ormai atteso da tutti, tentativo di toccare i genitali del presentatore o della presentatrice di turno (la prima volta con Raffaella Carrà, un’altra volta con Pippo Baudo a Sanremo: suoi slanci sotto le gonne delle due vallette Vittoria Belvedere e Manuela Arcuri). Sua maschera fissa: abito intero scuro e camicia bianca aperta, che tende a uscire dai pantaloni. Finta aria trasandata, negata dalle scarpe costose.
• A partire dall’estate del 2006, ha cominciato a portare in tournée le letture della Divina Commedia. Grande successo e, il 29 novembre 2007, Tutto Dante arriva in tv: la prima serata di Raiuno, col quinto canto dell’Inferno risulta, con 10.997.000 spettatori e il 35,68% di share, tra i programmi più visti dell’anno, secondo solo al calcio, al messaggio di fine d’anno del Presidente e al Festival di Sanremo. Viene tra l’altro battuta (10 a 8) la fiction su Totò Riina in onda su Canale 5. Le altre dodici puntate di Tutto Dante, il giovedì in seconda serata, fanno una media di 2 milioni e 233 mila spettatori. Nel 2013, a partire dal 27 febbraio, il mercoledì in prima serata su Raidue, sono trasmessi i dodici spettacoli di Tutto Dante 2012, registrati, come sei anni prima, nell’estate del 2012 in piazza Santa Croce a Firenze. Gli ascolti della prima serata sono molto più bassi rispetto alla volta precedente, con una media di 2.608.000 telespettatori e uno share dell’8.56%. Generalmente esaltato da critici e colleghi, con riserve importanti però di Edoardo Sanguineti, Giorgio Albertazzi e dell’altro lettore di Dante, il professor Vittorio Sermonti, il primo a leggere il Poeta nelle piazze e alla radio (e ormai da un paio di decenni): «Per leggere Dante ci vuole uno scrittore e non un attore che, per quanto intelligente e attrezzato professionalmente, ha la tendenza a leggere un testo nel modo migliore possibile (...) Ho 78 anni e mi dispiace lasciare il campo a questo tipo di divulgazione allegra. È un’operazione delicata, che non si può fare alla buona».
• Dottore honoris causa della Katolieke Universität Leuven (Università Cattolica di Lovanio, febbraio 2007), César d’onore nel febbraio 2008, ma anche Tapiro d’oro di Striscia la notizia nel gennaio 2007 per il flop americano de La tigre e la neve.
• Nel 2009, dopo sette anni di assenza, torna sul palco dell’Ariston di Sanremo. Conduce Paolo Bonolis. Polemiche per il cachet esorbitante (350 mila euro) e con Iva Zanicchi, che si è arrabbiata perché Benigni l’ha presa in giro per il testo della sua canzone, Ti voglio senza amore, secondo lei penalizzandola: «Gli organizzatori di Sanremo mi hanno fatto una grande scorrettezza: avrei dovuto cantare prima dell’esibizione di Benigni, che ovviamente ha influenzato la giuria popolare per la mia eliminazione. Benigni è un genio, un valore per l’Italia. Non ho nulla contro di lui, ma sapendo cosa avrebbe detto, non potevano farmi cantare dopo» (la Zanicchi all’Alfonso Signorini Show su Radio Monte Carlo).
• Di nuovo a Sanremo nel 2011, in occasione della serata dedicata ai 150 anni dell’unità d’Italia. Nei 50 minuti in cui ha intrattenuto il pubblico, facendo tra l’altro l’esegesi dell’Inno di Mameli, ha raggiunto ascolti altissimi, con picchi di share di oltre il 50%. Al termine della serata ha ricevuto una telefonata di apprezzamento dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che gli ha anche scritto una lettera di ringraziamento: «Ha saputo esprimere agli italiani il sentimento dell’identità nazionale usando i simboli della nazione, la bandiera, l’inno e la storia».
• Nel dicembre 2011 è ospite da Fiorello a Il più grande spettacolo dopo il weekend, su Raiuno. Luigi Tuccio, assessore all’Urbanistica del comune di Reggio Calabria e coordinatore cittadino del Pdl, ha così commentato l’ospitata su Facebook: «Abbiamo pagato Benigni per fargli fare l’ennesima filippica contro Berlusconi e la lode della merda! Comunista ebreo miliardario e senza contenuti». Resosi conto di aver esagerato, ha poi chiesto scusa: «Ho sbagliato e chiedo scusa. Lo faccio col cuore in mano. È stato un gesto istintivo. Mi piace Roberto Benigni, ma l’intervento di ieri sera non l’ho apprezzato. Questo non giustifica che abbia usato quegli epiteti» (Rep.it 6/12/2011).
• Il 15 giugno 2012, il sindaco di Firenze Matteo Renzi gli ha conferito la cittadinanza onoraria: «Quando sarai premier, se si libera il posto, voglio venire a fare il sindaco anche perché ora i comici vanno molto di moda» (Cds 15/6/2012).
• Il 17 dicembre 2012, su Raiuno, in prima serata, è stato protagonista dello show La più bella del mondo, serata evento dedicata alla Costituzione italiana. Grande successo: oltre 12,6 milioni di telespettatori e una media del 43,94% di share.
• Nel giugno 2013 ha annunciato l’intenzione di realizzare uno show sui Dieci comandamenti, ma l’accordo con la Rai è poi saltato (un articolo del Giornale ipotizzava che il problema potesse essere il cachet, ipotesi smentita dal direttore di Raiuno, Giancarlo Leone).
Frasi «Mi hanno rimproverato perché non c’era il nome dell’autore nei titoli di Pinocchio. Ma che importa? È come dire: tratta dall’omonimo romanzo di Dio, ecco a voi la Bibbia».
• «Il mi’ babbo quando vuole farmi un bell’augurio continua a dirmi “ti auguro di guadagnare sei o settecento milioni”, senza capire che sarebbe la disfatta totale» (nel ’98).
Critica «Ai tempi di Onda libera e L’altra domenica, cioè nel 1976, Umberto Eco pubblicò sull’Espresso un pezzullo in cui, spiegato perché non gli piacesse (troppo ciarliero, troppo lutulento, troppi toscanismi), scrisse: “Benigni è un comico che deve essere messo a tacere. E allora, quando può prendere la parola, vince”. Un quarto di secolo dopo gli risponde indirettamente, in un capitoletto del libro Pensieri così (Garzanti, 2002), Vincenzo Cerami, amico di Benigni e suo sceneggiatore: “Roberto attira ai suoi spettacoli la stessa folla di giovani che di solito si accalca nei concerti di musica rock. È solo su un palcoscenico nudo, una chitarra poggiata alla sedia, un microfono. Lo accecano i riflettori, all’inizio lo assordano le grida d’entusiasmo dei suoi spettatori. Ma appena parla, è il silenzio assoluto: la macchina Benigni si mette in moto e via via aumenta la sua implacabile andatura... Quella di Roberto è una vera orgia, un bagno quasi metafisico dentro quell’umanità che non gli chiede altro che farla ridere, farla emozionare”» (Morando Morandini).
• «È una straordinaria maschera comica (uno Stenterello nostro contemporaneo) e ha una grande forza comica, ma ha sempre bisogno di altri a “scriverlo”, a guidarlo. La mia convinzione è che egli sia stato un grande con Giuseppe Bertolucci e che sia diventato uno qualsiasi con Vincenzo Cerami. Certo con Cerami (...) ha fatto più denari che con Bertolucci, ma ha perso originalità ed è diventato un altro dei mille santini comici e brillanti di cui il nostro ridanciano buonismo ha sempre bisogno. È più bravo, forse, di tutti i comici “scritti” dalla tv e dal cinema, ma a me non sta più simpatico. Tanto più quando fa la “furbata” di voler far ridere e piangere con un bambino e con il lager» (Goffredo Fofi).
• «Credo di avere “inventato” Roberto Benigni» (Bernardo Bertolucci).
• «Benigni è un incompreso. Scrive testi come l’Inno del corpo sciolto e lo paragonano ad Omero e Aristofane. Fa film comici che fanno piangere e film tragici che fanno ridere. Chi ha sbagliato mestiere, lui o i suoi critici?» (Antonio Socci).
• «Gioca benissimo con due note, a partire da Madonna maiala, e fa apparizioni straordinarie una volta all’anno: è bravo e ha fiuto, in un paese in stallo narrativo. Benigni non fa scandalo ma fa incassi. Tanto di cappello, intendiamoci. L’hanno capito Mamet e Spielberg, che a proposito del suo film hanno parlato di “Shoah-business”. La sua forza è la simpatia, e l’intelligenza» (Luca Barbareschi).
• Benigni è un poeta comico o un comico poeta, «come ha capito tutto il mondo. Poetico qualsiasi cosa dica, qualsiasi argomento tratti, dal pisello di Pippo Baudo in su. Uno che ha la grazia di trasformare perfino la merda in sublime, come nel suo straordinario Inno del corpo sciolto. Ed è forse questo che gli attira l’odio di chi, in genere, riesce naturalmente nell’operazione opposta» (Curzio Maltese). «Nessun attore italiano (donne incluse) sa fare, per esempio con le gambe, quello che sa fare lui. Ha un corpo “a disposizione” ed è qui la sua sapienza. A disposizione come quello di Pinocchio al quale somiglia non per ribalderia, ma perché a Pinocchio bruciano le gambe, Pinocchio viene impiccato dal Gatto e dalla Volpe, fa il cane da guardia col laccio al collo, viene inghiottito dal Pesce-cane. Tutte cose che ci aspettiamo da Benigni. Tutto in funzione dell’effetto spettacolare, come in Benigni. Risulta imbarazzante, Benigni, quando imposta lo sguardo pensieroso o dolente su primi piani della macchina da presa, quello che ha imparato a stamparsi sulla faccia da Fellini (col quale ha fornito la peggiore interpretazione della sua vita, per noi). Non a caso nella gag che è anche il suo marchio di fabbrica, Benigni tiene i pugni in tasca mentre si masturba e non sa decidere dove cade l’accento: “Berlìnguer o Berlinguèr”, recita. È una questione importante: con l’accento cambia il ritmo e col ritmo “la goduria”. E “godere come le vipere” è il primo dovere dell’uomo» (Dante Matelli).
• «Se è vero che non siamo solo ciò che siamo, ma anche ciò che siamo stati, allora Roberto Benigni è davvero difficile da ritrarre. Oggi, per quella strana omologazione che viene conferita alle persone dal grande successo, Benigni è diventato una specie di gloria nazionale, e questa percezione che si ha di lui finisce per cancellare il suo passato tutt’altro che istituzionale – un po’ com’è accaduto a Sandro Pertini quando è diventato presidente della Repubblica. I ragazzi intorno ai vent’anni, per esempio, se si limitassero a farsene un’idea per ciò che di Benigni hanno direttamente conosciuto (l’enorme successo degli ultimi anni, appunto, i premi Oscar, l’abbraccio nazional-popolare delle sue recenti apparizioni televisive) potrebbero addirittura crederlo un semplice fenomeno di massa, come il Gabibbo o Chicken Little – familiare, industriale, e dunque sostanzialmente inoffensivo –, prendendo un granchio enorme» (Sandro Veronesi). «Per certi aspetti il suo percorso è l’esatto contrario rispetto a quello compiuto da Carmelo Bene. Carmelo dissipa e getta via (i soldi, la voce, il teatro stesso); Benigni invece inventa e folgora, ma sa anche conservare, amministrare e amministrarsi, investire con oculatezza, in questo simile più a Chaplin, che invecchiò da miliardario svizzero, che a Buster Keaton, che finì a stento, facendo anche la comparsa per Franco&Ciccio. Dopo aver fatto arricchire altri produttori (i Cecchi Gori specialmente), assistito da Nicoletta Braschi, solida compagna di vita e di schermo, fonda nel decennio ’90 una casa produttrice indipendente, la Melampo, e partecipa alla spartizione degli incassi» (Claudio Carabba).
• «Il serbatoio affettivo di cui gode Benigni è sconfinato. Perfino un disastro come Pinocchio è stato un successo al botteghino. L’artista non è più quello di Berlinguer ti voglio bene, ma lo spettatore lo segue ancora, constatandone lo slittamento da guastatore a comico “zuppo d’amore, santo, regalo dal cielo”. È un pubblico fedele ma disorientato, che sogna nuovi monologhi di “patonze” e “batacchi”, di fronte a Carrà fintamente attonite. Proprio gli show a corpo sciolto, dove le volgarità perdevano le grevità, costituiscono il collante del patto tra autore e spettatore» (Andrea Scanzi).
• «Da lontano si possono fare tanti pensieri sul Benigni “divo” ma trovarselo davanti è un’altra cosa. È una questione di fisico, come sempre nei grandi comici. Una volta ha detto che i grandi comici, visti da vicino, fanno paura. “Pensi a quel che c’è dietro. Ci vogliono secoli di miseria e stenti per comporre la faccia di Totò”. Chissà quante generazioni di fatica e sudore nelle campagne toscane ci sono volute per creare l’alchimia leggera di un Benigni» (Maltese).
• «Benigni? Il più grande di tutti. Io lavorare con lui? Ma va’. E per far cosa: il cameraman? » (Giorgio Panariello).
• «La cultura da cui viene è “anda e rianda”, come dicono a Vergaio, periferia di Prato. “Anda e rianda” vuol dire questo e quello, su e giù. Più giù che su. “Noi siamo quella razza/ che al cinema s’intasa,/ per vedere donne ignude/ e fassi seghe a casa” dice Carlo Monni nel film Berlinguer ti voglio bene, piccolo misconosciuto capolavoro diretto da Giuseppe Bertolucci. Benigni ci faceva il Cioni Mario, sottoproletario di campagna. È la migliore interpretazione cinematografica di questo attore, una spanna sopra a tutti i film diretti da lui stesso (La vita è bella incluso), da Fellini, Citti e Ferreri e anche da Renzo Arbore che lo usò bene nel Pap’occhio. La razza e il contesto in cui è cresciuta la pianta Benigni includono il prete incazzoso che urla “Ti venga una paralisi ai coglioni”, il segretario del Pci che si domanda se “è giusto che la donna competa con l’uomo nel senso della parità”, la bella Bambina dai capelli turchini che seduce una biondina promettendole cunnilingus da dodici ore per volta, un imbianchino frocio: “In questa notte/ scura come l’inferno/ meglio esser buco/ che uomo moderno» (Matelli).
• «Un “Wojtylaccio” sparato a sorpresa al festival di Sanremo turbò le anime pie che già si erano imbarazzate per certi scherzi surrealmente blasfemi, come il più volte replicato decalogo dei peccati di Dio» (l’Europeo).
• «Benigni me lo ricordo trent’anni fa: faceva i numeri ai tavoli dei ristoranti romani, almeno quelli gli venivano bene. Non ricordo invece un suo film riuscito, tranne forse Johnny Stecchino» (Zeffirelli).
Politica Il suo pronunciamento contro Berlusconi, in un’intervista con Biagi in prima serata su Raiuno alla vigilia delle elezioni 2001, è uno dei tre attacchi televisivi che hanno provocato l’ira di Berlusconi (gli altri due sono quelli di Santoro e Luttazzi). Biagi, Santoro e Luttazzi, dopo le elezioni del 2001, sono stati allontanati dal video. Benigni ci è invece tornato spesso come ospite. Nel 2002 la notizia che sarebbe andato a Sanremo provocò l’annuncio di un lancio di uova da parte di Giuliano Ferrara, rivelatosi poi una beffa (Ferrara se ne restò nella sua casa in campagna e lanciò sei uova contro il teleschermo durante l’esibizione di Benigni).
• «È il classico furbacchione di regime» (Giuliano Ferrara).
• «Ognuno di noi è orgoglioso delle sue scelte, anche di nominare il ristorante dove va a mangiare. Perché devo nascondere la mia parte politica? Io do più fiducia a certi che a certi altri. Che c’è di male?».
• «Quando parla di politica dovrebbe citare di più la sinistra, e non solo Fassino, che è il migliore. Quello di Berlusconi rimane un problema edipico. Vuole essere ecumenico piuttosto che trattare male. È un genio del marketing. È l’uomo meno politico del mondo. Ha preso per i fondelli la sinistra da vent’anni, baciando e abbracciando i D’Alema di turno, ma come tutti i veri artisti è egoista di fondo, settario. Una cattiveria di segno positivo, per me» (Barbareschi).
• «Non sono mai stato in un partito. La vera impronta me l’hanno data i vecchi partigiani, nel paese e a casa. Per me erano eroi omerici. Non si voleva l’uguaglianza. Si voleva solo un po’ meno disuguaglianza. Mi ricordo ancora che una volta, nel mio paese, il Pci prese il 53 per cento dei voti. Ed ecco tutti a dire: compagni, siamo troppi! Comunque non sono mai andato a una dimostrazione o una riunione di partito».
• «È dovere del comico attaccare il governo. Ma non è dovere del governo attaccare i comici».
• «In Italia basta che io dica: Silvio Berlusconi! e tutti scoppiano a ridere. Già il nome di Berlusconi preannuncia un clown».
• «Monti? Lo metterei in Purgatorio».
• «Il lavoro non è solo ricompensa, nella busta paga, c’è dentro molto altro. Lì troviamo noi stessi, la nostra identità, quella è la sacralità del lavoro, e qualsiasi politica che mina questo concetto, compie sacrilegio. Il lavoro è la base della democrazia».
• «Non vi dico di rispettare la politica. Vi dico di amarla: perché è con la politica che si organizza la nostra vita sociale. Disprezzare la politica è come disprezzare noi stessi».
Vizi È sposato con la collega Nicoletta Braschi, che impiega in tutti i suoi film (non hanno figli): «Per spiegare la “sindrome Yoko Ono”, quando cioè la moglie di un artista esce dalla sfera privata per influenzare pesantemente la carriera del marito, occorre risalire a una esibizione lontana. Al Teatro Ariston di Sanremo. Fu allora, all’interno della rassegna del Club Tenco, che un giovane Benigni cantò “Voglio sposare la moglie di Paolo Conte”. Un gioco, una dedica divertita alla compagna del musicista astigiano. Due anni dopo, nel 1983, il comico aretino ha conosciuto invece (e poi sposato) un’attrice cesenate, Nicoletta Braschi, sul set di Tu mi turbi. Da allora, per ogni suo film da regista, tranne Non ci resta che piangere (ma solo perché alla regia c’era anche Massimo Troisi), la Braschi compare ineluttabilmente in ogni pellicola. Tu mi turbi era il suo primo film e, tranne rari casi (Giordana, Virzì, Cristina Comencini), la Braschi ha lavorato soltanto con il marito. Quando, nel Mostro, la Braschi si improvvisò femme fatale per scatenare le presunte turbe erotiche del protagonista, la critica cominciò a esprimere dubbi sul suo eclettismo espressivo. Nel frattempo, era divenuta anche mente economica dell’impero familiare. Con la svolta drammatica de La vita è bella e La tigre e la neve, le perplessità si sono tramutate in recensioni spietate (in internet, almeno). Benigni rischia di essere cinematograficamente ricordato come un’occasione persa. Il suo talento puro andrebbe preservato. In due modi. Dovrebbe essere diretto da un regista vero; e dovrebbe accettare che si può essere felliniani anche senza voler dimostrare che tua moglie è l’erede di Giulietta Masina» (Scanzi).
• Bravissimo nei calembour e nel far versi con costrizioni notevoli (una poesia con tutte parole che cominciano per “f” ecc.).
• Gli piace giocare a poker.
• Dotato di memoria prodigiosa.
• Appassionato di enigmistica (soprattutto gli indovinelli).