Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  maggio 28 Lunedì calendario

Biografia di Marco Bellocchio

• Piacenza 9 novembre 1939. Regista. «Il successo è niente, l’importante è arricchirsi dentro».

Vita Tra i suoi film: I pugni in tasca (1965), La Cina è vicina (1967), Sbatti il mostro in prima pagina (1972), Il diavolo in corpo (1986), Il sogno della farfalla (1994), Il principe di Homburg (1997), La balia (1999), L’ora di religione (2002), Buongiorno notte (2003), Il regista di matrimoni (2005).

• «Sono nato nella guerra, da una famiglia borghese, provinciale, anzi paesana. Mio padre, avvocato a Piacenza, veniva da una famiglia di agrari di Bobbio, non ostile al fascismo. In casa avevamo l’autografo del Duce (Benito Mussolini) che si congratulava per la numerosa prole: otto figli. Io ero l’ultimo. Mia madre era religiosa. Mi mandarono prima dai fratelli delle scuole cristiane, poi in liceo a Lodi, dai barnabiti. Un collegio per benestanti e paganti, il che forse contribuì a proteggerci da violenze o devianze. Non ho ricordi drammatici, nulla più di un frate che allunga le mani verso i calzoni corti degli allievi, nulla che ricordi le vicende che abbiamo visto in questi anni al cinema, da Magdalene alla Mala educación di Almodovar. La cifra era semmai la noia, la regola, l’ordine: la messa ogni mattina, che diveniva spesso un prolungamento del sonno».

• «Alla fine del ’68, mio fratello gemello si suicidò. Una tragedia che mi convinse ancor di più a buttarmi nella politica rivoluzionaria» (a Malcom Pagani). [il Fatto Quotidiano 31/8/2010]

• «Da ragazzo, il mio idolo era Lenin. Ero un rivoluzionario, ero contro il revisionismo del Pci, ma personalmente non ho mai torto un capello a nessuno. L’ironia e la prudenza, innate, mi hanno salvato in più di un’occasione».

• «In quasi tutti i film di Bellocchio c’è un ribelle, e c’è un genitore da assassinare. Nel primo, autoprodotto nel 1965 con un mutuo da 20 milioni ottenuto grazie al fratello Piergiorgio Bellocchio, il protagonista annega il fratello e getta nel burrone la madre. “Il mite vendicatore dell’Appennino”, come lo definì Alberto Moravia, avrebbe dovuto essere Gianni Morandi. Si era appena rivelato come cantante, e imprevedibilmente accettò la parte. Fu bloccato dai produttori e dal padre che gli disse: “se fai quel film ti spezzo le gambe”. Era I pugni in tasca, successo ripetuto due anni dopo con La Cina è vicina, premiato a Venezia dalla critica insieme con La chinoise di Godard» (Aldo Cazzullo).

• «Nella tradizione artistica spesso ci sono inizi folgoranti e poi un declino lento ma inesorabile. È come se nei quarant’anni successivi a I pugni in tasca, che fu un film di ribellione nichilista, io mi sia ribellato al successo di quella ribellione e all’identità che mi aveva dato. Certamente molti ancora mi definiscono “l’autore dei Pugni in tasca”. Non ne disconosco la paternità, ma non mi è bastato. Tutto il mio lavoro successivo ha sempre evitato la ripetizione di quell’esperienza».

• «C’è un film che divide il mio percorso in due: è Il diavolo in corpo. È stato una rivoluzione per me. Quella novità si è sviluppata poi attraverso altre ricerche e altri esperimenti e da lì, è vero, il mio lavoro è diventato più “accessibile”. Ma non ho mai smesso di essere un ribelle. Neanche con L’ora di religione: ribellione alla cultura assoggettata all’autorità della Chiesa. I giovani (si dice: se non si è ribelli a vent’anni... Poi purtroppo molti se lo dimenticano) amano il mio atteggiamento nei confronti del potere culturale istituzionale. Nessun mio film è venuto meno a questo principio, ma negli ultimi forse la mia maturità ha trovato una comunicabilità più diretta».

• Nel film Sorelle, presentato alla Festa del Cinema di Roma 2006, racconta tre estati nella casa di campagna di Bobbio e «costruisce una storia impalpabile e tenerissima, fatta di memorie familiari, ricordi cinefili e sfide professionali» (Mereghetti). La casa è la stessa, appartenente alla famiglia, che venne adoperata per I pugni in tasca. La sfida professionale consiste nel fatto che l’opera è stata realizzata quasi con niente: gli attori, a parte Donatella Finocchiaro, sono quasi tutti membri della famiglia Bellocchio, la piccola Elena, poi Maria Luisa, Letizia, Piergiorgio.

• Nel 2009 Vincere, sulla storia d’amore tra Ida Dalser e Mussolini e la tragica fine sia di lei che del figlio Benito Albino nato da quella relazione (entrambi rinchiusi in manicomio e resi innocui), gli ha fatto vincere il David di Donatello per la regia. Polemiche di molti storici, Emilio Gentile e Giordano Bruno Guerri su tutti, per le imprecisioni presenti nella pellicola. La replica: «Gli storici si giudicano dalla precisione, i registi dall’efficacia. Sono operazioni di sintesi, legittime in un film. Ho mostrato episodi veri, però non contestuali e contemporanei. Dovendo raccontare trent’anni in due ore, i falsi sono più d’uno» (a Stefano Lorenzetto). [il Giornale 11/6/2009]

• Nel 2010 al Festival di Venezia ha ricevuto il Leone d’oro alla carriera.

• Nel 2011 ha portato fuori concorso a Venezia Sorelle mai e ha diretto uno spot del Monte dei Paschi di Siena (costo in tutto alla banca 10 milioni di euro per 61 secondi di video). «Percepisco una pensione di 824 euro. Ho bisogno di lavorare. Mi hanno chiamato, mi hanno fatto questa offerta e l’ho accettata. Siamo nel 2009 e tutti i vecchi scrupoli ideologici contro la pubblicità ”al servizio del capitalismo e della borghesia” non hanno più senso».

• A Venezia nel 2012 ha presentato Bella addormentata, film sull’eutanasia, che ha sullo sfondo i sette giorni, dal 3 al 9 febbraio 2009, che precedettero l’interruzione dopo 17 anni della vita artificiale di Eluana Englaro. Sedici minuti di applausi alla proiezione al Lido, nessun premio e polemiche del regista contro la giuria guidata da Michael Mann: «Il mio film sarebbe troppo autoreferenziale? Mi sembra un giudizio idiota. Non vuol dire niente, di queste imbecillità ne ho piene le scatole. Da un giurato mi aspetterei altro, che faccia la fatica di spiegare le ragioni perché un film non gli è piaciuto. (…) Ho partecipato alla competizione e sono stato sconfitto. Ho comunque preso una decisione: non parteciperò mai più a un festival» (a Giuseppina Manin). [Corriere della Sera 10/9/2012]

• Buona critica e tiepidi incassi al botteghino: «Bellocchio ricostruisce con maestria il caos emotivo di quei giorni che avevano trasformato la discussione sull’eutanasia in una tragedia nazionale dai pesantissimi risvolti non solo morali e religiosi ma anche politici. La folla di credenti davanti alla clinica, i canti sacri, le preghiere, i lumini, le messe, le grida “Assassini!”, gli ammalati in carrozzella con il cartello “Ammazza anche me”, la polizia, i sostenitori del diritto di far cessare le sofferenze di Eluana, i dibattiti in televisione, i cronisti a caccia di dichiarazioni sensazionali» (Natalia Aspesi). [la Repubblica 6/9/2012]

• «Capita a tutti di sbagliare una sceneggiatura, inzeppandola di scene madri che vorrebbero essere problematiche, e invece al più offrono frasi da mettere tra virgolette nei titoli dei giornali. Capita di moltiplicare i personaggi, su uno sfondo realistico come gli ultimi giorni di Eluana Englaro, nel tentativo di dimostrare che il film a tesi non è tale» (Mariarosa Mancuso). [Il Foglio 6/9/2012]

• «A vedere un film di Marco Bellocchio si va ormai con una certa inquietudine: amandolo moltissimo, parteggiando per lui con tutto il cuore di spettatore, si teme di provare, se non una delusione, una specie di incompletezza, il fastidio verso se stessi per non riuscire a capire sino in fondo, di essere insomma in torto verso un autore che da più di quarant’anni, e restando un uomo dall’eterno fascino mite e schivo, ci ha dato opere bellissime e importanti che hanno segnato il cinema italiano e la nostra stessa vita. Non si smette mai di aspettarsi da lui un capolavoro» (Natalia Aspesi).

• Di recente a teatro ha diretto un adattamento del suo I pugni in tasca (con Ambra Angiolini e Pier Giorgio Bellocchio, 2010-2011) e Zio Vanja di Cechov (con Sergio Rubini e Michele Placido, 2013).

• Dal 1997 dà vita a Bobbio al festival Farecinema.

 • Controverso il rapporto con lo psichiatra Massimo Fagioli, consulente di alcuni suoi film: «Piero Natoli iniziò a parlarmi degli incontri con Fagioli come di un’esperienza storica. In quell’entusiasmo da neofita, scorsi un pericolo. Ero stato deluso dall’esperienza maoista e non volevo ripetermi. Nell’aprile del 1977 decisi di andare all’analisi collettiva, c’era sempre il tutto esaurito. Lì incontrai anche Benigni» (a Malcom Pagani). [il Fatto Quotidiano 31/8/2010]

• Il figlio Piergiorgio (Roma 16 aprile 1974), avuto da Gisella Burinato, è attore e ha recitato in molti suoi film (Salto nel vuoto, La balia, Buongiorno notte, Vincere, Bella addormentata): «Non mi ha mai regalato una parte senza un provino».