28 maggio 2012
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Biografia di Franco Battiato
• Riposto (Catania) 23 marzo 1945. Cantante. Autore. Regista. «Il successo non mi convince».
• Inizi commerciali (con Bella ragazza partecipò a Un disco per l’estate 1969), passò poi alla sperimentazione (Fetus, 1971; Sulle corde di Aries, 1973). Nel 1979 l’album L’era del cinghiale bianco gli valse una larga popolarità, ampliata dai successivi Patriots (1980, con Prospettiva Nevski), La voce del padrone (1981, un milione di copie vendute, con Bandiera bianca, Centro di gravità permanente, Cuccurucucu), L’Arca di Noè (1982), Orizzonti perduti (1983), Mondi lontanissimi (1985) ecc. Da ultimo (novembre 2015) l’«antologia definitiva» Le nostre anime (uscita in due versioni: una minore da tre cd e una maggiore da sei cd, quattro dvd, due libri e due poster), ideata per celebrare i suoi primi 50 anni di carriera musicale. «Ho scritto canzonette dai buoni testi e cose più serie. A volte scrivi per divertirti, altre ti interroghi sulla spiritualità. La verità è che certe canzoni, penso a Sentimiento nuevo che cantavo con Alice, erano un po’ delle cazzate. Cazzate divertenti e tendenti all’alto, ma pur sempre cazzate» (a Malcom Pagani) [Fat 11/11/2015].
• Famiglia di pescatori. Dopo la morte del padre Turi – camionista e scaricatore di porto a New York – finì a Milano. Aveva 19 anni: «Allora era una città di nebbia, e mi sono trovato benissimo. Mettevo a frutto la mia poca conoscenza della chitarra in un cabaret, il Club 64, dove c’erano Paolo Poli, Enzo Jannacci, Lino Toffolo, Cochi Ponzoni e Renato Pozzetto, Felice Andreasi, Bruno Lauzi. Io aprivo lo spettacolo con due o tre canzoni siciliane: musica pseudobarocca, fintoetnica. Nel pubblico c’era Giorgio Gaber che mi disse: vienimi a trovare. Andai il giorno dopo. Diventammo amici anche con Ombretta Colli, fui io a convincerla a cantare». A quei tempi risale la prima, infausta canzone, L’amore è partito (1965), pubblicata con il nome di Francesco Battiato. «All’epoca facevo il chitarrista di Ombretta Colli in tour. Ma quella canzone non era mia, era una cover: mi disgustò» (a Leonardo Iannacci) [Lib 11/11/2015].
• «Mi ricordo di un meraviglioso pianoforte che mi regalarono le suore all’età di 16 anni. Una mia amica mi disse che, dovendo liberare un convento, lo vendevano a basso prezzo. Mi presentai e la madre superiora me lo sbolognò senza pretendere una lira. Pensava fosse rotto e invece era solo scordato. Mi sentii felice» [Pagani, Fat 11/11/2015].
• «È un autore di canzoni. Canzoni popolari, non c’è dubbio, ma anche brani raffinati e particolari, così come brani destinati al divertimento e alla leggerezza. Lui, l’arte della canzonetta la conosce bene» (Ernesto Assante).
• «Battiato sta alla canzone italiana come la geometria non-euclidea sta a quella euclidea. La sua musica prende forma su un piano parallelo, vive per suoi motivi che spesso “assomigliano” soltanto a quelli del resto dell’universo canzone. Se la canzone fosse un triangolo, Battiato ne sarebbe il quarto angolo; se la canzone fosse un quadrato, Battiato sarebbe un ipercubo. Se infine la canzone fosse una retta, Battiato sarebbe un punto, immobile, indifferente, equidistante» (Gino Castaldo).
• «Dal 1979 al 1994 ha espresso genialità smisurata. Poi è rimasto folgorato sulla via di Manlio Sgalambro, e addio» (Andrea Scanzi).
• «È sempre stato inclassificabile, nei ’70 entrava in scena, accendeva uno stereo con musica assurda e se ne andava. Il pubblico lo rincorreva inferocito» (Riccardo Bertoncelli).
• «Fa esattamente l’opposto rispetto a quello che uno si aspetta. Il bello è che spesso ci azzecca. Voglio dire, era un mago dell’avanguardia ai tempi di Pollution, e s’inventò una nuova via al pop con Patriots e succedanei. Poi si buttò a capofitto nelle fumisterie filosofico-orientaleggianti, e lì era facile immaginarsi un tonfo: invece scrisse La cura, che è un capolavoro. E parecchie altre cose belle. Adesso è un bel po’ che non ha più voglia, di fare canzoni e concerti, intendo: si vede chiaramente, gli interessano di più cinema e pittura. E i suoi dischi, al primo ascolto, suonano d’inutilità profonda. Però, passa il tempo – ne deve passare, sì – e li rivaluti» (Gabriele Ferraris nel 2007). «Trent’anni fa era molto più facile. Pollution è stato in classifica ai primi posti. Oggi non troverei chi me lo pubblichi. Ai miei tempi nei festival pop se vedevano un bollino di Coca Cola si sfasciava tutto. Oggi siamo all’apologia del marchio».
• «Noi facevamo effettivamente cose pazzesche. Miracolose e complicate. Eravamo posseduti. Una sera mi bruciai con un cavo elettrico e continuai a suonare senza rendermene conto. Per amplificazioni e strumenti non c’era una lira, così ci ingegnavamo. Interpolavo i rumori della radio con altre fonti sonore e distorcevo le basi classiche ottenendo con un VC63 suoni strangolati. I sintetizzatori li avevo comprati a Londra, furono giorni indimenticabili».
• «Dopo l’uscita di L’era del cinghiale bianco, a 35 anni, realizzai che qualcosa era definitivamente cambiato. A un concerto a San Giovanni Valdarno vennero in 20 mila. Sentii uno strano boato. Con il successo vennero i fan: una notte in albergo mi svegliai e trovai che avevano fatto entrare gente nella mia stanza per vedermi dormire. Volevo smettere».
• «Il servizio militare fu una storia pazzesca. Dopo la visita mi mandarono a Cassino. Mi tagliarono subito i capelli e mi diedero una divisa troppo larga che io non andai a far riaggiustare. La prima domenica di libera uscita, non mi fecero uscire. Non sapevo che fare e mi misi a passeggiare. A un certo punto incrocio un graduato anziano pieno di stellette sulla giacca. Un secondo dopo che l’ho oltrepassato sento un urlo. “Ehi tu!”, “Dice a me?”, rispondo. E lui sempre urlando: “Vedi qualcun altro qui?”. Io: “Mi dica”. “Mi dica? Chi sei?”. “Battiato”. “Non me ne frega un cazzo del tuo nome: mi devi dire a che reparto appartieni!”. “Non lo so”. Se ne andò urlando frasi sconnesse. Io sparii. Un’altra volta dovevamo andare a sparare: per me era come ricevere una coltellata. Dico: “Non posso camminare”. Mi hanno portato in autoambulanza. La notte alle due mentre ero nella branda, sirene: tutti si vestono. Mi affacciai: pioveva e fuori facevano, strisciando, il passo del leopardo. “Digli che non sto bene”. Al mattino il capitano mi fece chiamare: “Quelli come te io li conosco. Tu sei uno che non vuole fare il militare. Purtroppo non posso rischiare per cui ti mando in ospedale al Celio di Roma ma tu tornerai da me e allora ti farò pulire i cessi con la lingua!”. Non mi vide più» (a Luca Valtorta) [Rep 7/9/2014]. «All’epoca, per un alterco sui capelli lunghi, venni sbattuto anche in carcere militare. “Faccia di merda, vatti a tagliare i capelli”, mi dissero e a nulla valse il consiglio in tempo reale di Juri Camisasca: “Mettiti la lacca sui capelli così non devi tagliarti niente”. La mattina dopo venni convocato e, per l’espediente della lacca, i graduati manifestarono disgusto: “Sei un’indecenza, Battiato”. Ebbi il torto di rispondere. “Si faccia psicanalizzare”, dissi al militare. Mi misero in galera. 10 giorni. “Non puoi fumare”, dicevano, però io fumavo lo stesso. Tra congedi e sospensioni, la leva non è durata poi tantissimo, ma fare il militare è stato un incubo» [Pagani, Fat 11/11/2015].
• «Lo so cosa dicono: “Battiato è stato Battiato solo fino al 1975”. Ho chiesto molto in questi anni a quelli che mi seguono. Per me l’unica cosa che conta nella vita è la parte esistenziale, quella che ti mette alla prova. Non mi interessano le conferme, essere rassicurante per chi ti viene a vedere, dargli quello che vuole».
• «Nel 1980, alla fine di un’esibizione delirante con 5.000 persone, Dario Fo mi aspettò all’uscita del concerto: “I tuoi testi non mi piacciono”. E io risposi: “E a me che cazzo me ne frega?”. Eravamo sullo stesso piano, a quel punto. Ma non mi ritengo intoccabile, anzi. Se mi avesse criticato in un’altra maniera avrei anche apprezzato. È sempre il modo. Si può essere critici senza essere brutali» [Pagani, Fat 11/11/2015].
• Nel 1989 suonò in Vaticano per Giovanni Paolo II: «Mi chiamò un dirigente della Emi, Di Lernia: “A Battia’, te vole er Papa”. Era Giovanni Paolo II, andai volentieri». «Papa Bergoglio mi sta simpatico, ma dovrebbe fare discorsi più spirituali» [Iannacci, cit.].
• «Il mio legame è più forte con la musica del passato per la sua eccellenza. Penso a un quartetto di Beethoven, a Mendelssohn. Preferisco una musica che mi aiuta a concentrarmi, a leggere. I suoni contemporanei esprimono altro».
• «Sono un individuo che si esalta per il talento. Mi piace da pazzi questo misterioso elemento che è come la vita e appare dove vuole. Posso apprezzare una musica che magari non mi piace, però è scritta con eccellenza. Non metto mai il pubblico di mezzo. Il successo non mi convince mai. Anche se uno vende 25 milioni di copie di dischi in un giorno, per me non vuol dire nulla».
• «Ho dovuto combattere l’appartenenza al mio segno zodiacale, che è quello dell’Ariete, che mi dava eccessiva rigidità e ottusità e quindi perdita di intelligenza. Ho dovuto limare, imbrigliare, calpestare».
• Del successo, in generale, non me ne è mai importato nulla. Non ho mai compiaciuto nessuno. Sono partito dallo sperimentalismo, ho scritto canzoni popolari, girato film, dipinto quadri senza mai accontentarmi della culla protetta o delle sicurezze. Come per magia quelli che mi apprezzavano in una veste mi hanno dato retta anche quando mutavo essenza, senza pretendere che somigliassi a un juxe-box e che, a ogni monetina inserita, corrispondesse un loro desiderio. Mi hanno lasciato essere come volevo e, se posso dirlo spudoratamente, io sono cambiato e ho fatto tutto il mio percorso solo per loro. Me ne frego delle sicurezze e me ne frego di offrirle. Sa cosa mi diceva Lucio Dalla? Il mio amico Dalla, certo. “Io inseguo il pubblico, Franco. Tu ti fai inseguire”. Sembra una cazzata, ma è vero. Io dei gusti dei fans me ne frego, loro lo sanno. Non ho mai fatto una capatina su Facebook. Non esiste. Se lo possono scordare» (a Malcom Pagani) [Fat 23/3/2015].
• «Non voglio essere chiamato maestro, mi dà fastidio. Maestro di che cosa? Sono stato fortunato, protetto da un patto stabilito altrove, ho avuto delle grandi soddisfazioni da quelli che stanno sopra di me. Da chi? (Alza il dito, guarda in alto). Da questi tipi qua. Le meccaniche celesti che cantavo le ho incontrate veramente» [Pagani, Fat 11/11/2015].
• Ha esordito nella regia con Perduto amor, poi Musikanten (omaggio a Beethoven) e Niente è come sembra (stesso titolo di una canzone de Il vuoto), sceneggiato dal filosofo Manlio Sgalambro. «Mette in guardia subito lo spettatore: ciò che vedrai sembra un film ma non lo è. Intanto perché non esce nelle sale ma in libreria, in un cofanetto Bompiani con il libro di Battiato In fondo sono lieto di aver fatto la mia conoscenza e un cd con il concerto con la Royal Philarmonic Orchestra. Poi la “storia”. Lontana anni luce da ciò che di solito si vede sullo schermo. Italiano soprattutto. Qui si tratta di un viaggio iniziatico, un’esoterica Via Lattea verso una casa nel bosco dove i vari personaggi, ciascuno a impersonare uno stato dello spirito “l’ateo”, “il credente”, “il dubitante” si confrontano su questioncine tipo l’esistenza di Dio, lo sviluppo di coscienza e conoscenza, le ragioni del non credente» (Giuseppina Manin). Da qualche anno sta lavorando a un progetto cinematografico sul musicista Georg Friedrich Händel, per il cui ruolo ha scelto l’attore tedesco Johannes Brandrup: «O è lui o il film non si fa. Ma si farà. E ho il sospetto che sarà bellissimo» [Pagani, Fat 11/11/2015].
• «Da ragazzo abitavo in una casa la cui terrazza era la tribuna naturale di un cinema all’aperto e, per sette anni d’estate, vedendoli o solo ascoltandoli, ho centrifugato centinaia di film di tutti i tipi. Ho imparato così, quasi senza accorgermene, a gustare il linguaggio del cinema in tutte le sue espressioni. Ancora oggi sono uno spettatore onnivoro, che passa dai thriller americani di serie B ai capolavori. Se si eccettua l’horror e la fantascienza, che di solito mi annoiano, apprezzo tutti i generi, quando i film sono riusciti».
• «Credo nell’eccellenza. E soffro quando vedo persone che non riescono ad affrancarsi dalla componente bestiale. Ma questo non vuol dire che non mi occupi della parte terrena che è in noi. Sono contraddittorio? La contraddizione è alla base degli esseri umani, e l’esercizio del dubbio una religione».
• «Rifiuto con identico spirito la nostalgia e il passatismo programmatico. Del mio ieri non ho mai fatto una bandiera. C’è stato e l’ho attraversato con inconsapevolezza».
• Alla vigilia delle politiche 2006 fece sapere che avrebbe votato per la Rosa nel Pugno e ha poi aderito alla manifestazione dell’Orgoglio laico del 12 maggio 2007 (vedi Rosy Bindi e Barbara Pollastrini).
• Assessore al Turismo della regione Sicilia da novembre 2012 a marzo 2013. Ha dovuto lasciare (sostituito nel giro di un giorno da Michela Stancheris, segretaria particolare del governatore Rosario Crocetta) per la frase «pronunciata a Bruxelles a marzo e ritagliata a margine di un lungo ragionamento sui percorsi culturali: “Queste troie che si trovano in Parlamento farebbero qualsiasi cosa, dovrebbero aprire un casino”. La puntuale riprovazione ipocrita dell’intero arco costituzionale, governatore in testa, la controfirma all’espulsione. Ora che in meno di 90 giorni il decreto Battiato è diventato legge e nell’isola i finanzieri scardinano la trasversale impalcatura di escort e regalìe, l’asceta di Milo non si aspetta scuse terrene: “Questo Paese è una barzelletta. Il tempo è stato galantuomo, ma se sei onesto e dici la verità non c’è smentita possibile”» (Malcom Pagani) [il Fatto Quotidiano, 20/6/2013].
• Nel marzo 2015, durante un concerto al teatro Petruzzelli di Bari, è caduto dal palco e si è rotto un femore: «A bordo palco c’era un certo fanatismo. Un entusiasmo impossibile. Cerco di ringraziare e durante la canzone vado a toccare le mani delle ragazze in prima fila. Quelle mi prendono per il braccio. Perdo l’equilibrio, inciampo e cado all’indietro. Avrei fatto bene a rimanere sdraiato. Ma non si poteva fare altrimenti. Non potevo aspettare l’ambulanza sul palco con il pubblico in sala a piangere il morto? C’erano millecinquecento persone. Non era il caso».
• Abita a Milo sulle pendici dell’Etna. Ogni giorno si sveglia alle 5.30 e ascolta musica classica. Alle 7 si alza, si lava, medita per mezz’ora, quarantacinque minuti, fa colazione e verso le 8 comincia a lavorare o a leggere. La tv solo di sera: «Vedo il telegiornale, poi eventualmente un film ma soprattutto guardo sul satellite i programmi di classica o i concerti sinfonici. Mi diverto anche con le barzellette. Sono un grande narratore e ascoltatore di burle». Vegetariano, in casa ha un gatto di nome Clemente ed è «ben curato» da tre persone: «Sono fissi da quindici anni e ci siamo affezionati».
• Siccome da venticinque anni non si hanno notizie di sue storie d’amore, molti sospettano che sia omosessuale: «Ne dicono di tutti i colori. Possono dire quello che vogliono. Il rapporto più lungo che ho avuto è stato con una donna sposata, quindi era molto comodo per me mantenere la segretezza. Omosessuale? Io sono al di là di questi schemi, di queste categorie. Ho superato certe definizioni». «Una volta con una ragazza pensai anche: “Questa è quella giusta”. E poi cosa accadde? Uscii presto, comprai tre yoghurt, li misi in cucina e poi andai a fare una doccia. Una volta lavato, gli yoghurt non c’erano più. Li aveva mangiati tutti lei? Tutti e tre. Ora dico, se ne avesse lasciato almeno uno, avremmo parlato di altro. Ma li aveva fatti fuori tutti. Un saggio di egoismo, non solo simbolico. Tra noi la storia non poteva funzionare e infatti si arenò» [Pagani, Fat 11/11/2015].
• È un cultore dei “koan”, folgoranti componimenti zen. «Da quando sono un “professionista” medito due volte al giorno. Come quelli che dicono di far sesso tre volte in una notte».