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 2012  maggio 28 Lunedì calendario

Biografia di Giuseppe Barbaro

• Platì (Reggio Calabria) 24 maggio 1956. ’Ndranghetista, a capo della cosca omonima dei Barbaro, subentrato nella guida al padre Francesco, detto ’u Castanu (vedi Francesco Barbaro). Il «re dei rapimenti».
• Detto ’u Sparitu, ma anche ’u Canarinu.
• Detenuto dal 10 dicembre 2001, è in custodia cautelare per associazione mafiosa. Nel 2005 i giudici calcolarono in 22 anni, 9 mesi e 6 giorni la pena totale da scontare (esclusa la pena per un omicidio commesso in carcere nel ’77, già compresa in un altro provvedimento di cumulo pene).
• È tra gli autori del rapimento di Giuseppe Ferrarini (9 luglio 1975), il primo sequestro di persona avvenuto a Milano (Fat 10/1/2014).
• Il 6 settembre 1998 il Corriere della Sera pubblica una nota riservata del dipartimento di Pubblica sicurezza indirizzata al ministro dell’Interno, Giorgio Napolitano. Oggetto: Alessandra Sgarella (l’imprenditrice rapita a Milano l’11 dicembre 1997) è stata liberata (il 4 settembre), in seguito a «fitti colloqui investigativi con (...) elementi appartenenti ad importanti famiglie della ’ndrangheta di Platì, quali i Barbaro e i Trimbali». Risultato della trattativa: il rilascio dell’ostaggio in cambio di «benefici giudiziari». Il 7 settembre il Corriere della Sera dà la notizia che la chiave delle trattative è stata Giuseppe Barbaro, latitante, «in cambio di qualche 41 bis in meno e, forse, di una latitanza per lui più leggera» (i colloqui sarebbero avvenuti coi detenuti, che poi avrebbero fatto pervenire il messaggio al Barbaro). Il 17 settembre, alle numerose interpellanze parlamentari per sapere se corrisponda al vero che Giuseppe Barbaro sia stato interlocutore dello Stato, il Governo risponde riservandosi di chiedere altre notizie. Il pm di Milano titolare dell’inchiesta dirà che «è tutto limpido e cristallino», ma che le indagini, ancora in corso, sono riservate.
• Dopo 14 anni di latitanza (in cui fece quattro figli), Giuseppe Barbaro fu arrestato il 10 dicembre 2001 a Platì, in un bunker sotto la casa di famiglia, in piazza Gramsci (a 15 metri di profondità, insonorizzato con pannelli di polistirolo). Il passaggio, un blocco di cemento armato montato su binari di ferro, largo mezzo metro, nascosto dalle mattonelle alla base del lavandino della cucina, si apriva azionando un telecomando, motore marca Faac. In sua compagnia la moglie, che gli aveva appena preparato il caffè. Secondo l’ordinanza di custodia cautelare era a capo dell’organizzazione, e a Platì avrebbe realizzato vie di fuga sotterranee, disposto vedette, e piani di latitanza e sostegno ai latitanti.
• Il giorno dopo fu intercettata una telefonata tra Maria Barbaro, moglie di un cugino di Giuseppe, e uno zio d’Australia. Donna Barbara: «Sembriamo Bin Laden, nella guerra! (…) Non sapete cos’è, sembrano i cani, sembrano il flagello...» (riferendosi ai carabinieri che avevano smantellato le case per scoprire i bunker). Zio, imprecando: «Allora ora non è rimasto nessuno alle direttive?». Donna Barbara: «Ah! Ma chi è rimasto! Se lo sono portato ieri, poveretto, ieri mattina, non sapete qua cosa fanno! Stanno facendo delle cose... Rompono porte, rompono finestre, rompono case! Non sapete cosa stanno combinando!».
• Nel corso della perquisizione i carabinieri scoprirono un altro passaggio segreto, nascosto da sistemi elettronici, per entrare in un cunicolo sotterraneo di fuga, lungo alcune decine di metri, che sfociava nella Fiumara coperta, una raccolta di acque fognarie (sopra, la strada che dal paese portava alla montagna).
• Anzi, sotto l’intera Platì fu scoperta una città nascosta: il sistema di apertura dei cunicoli (dotati di apparecchiature elettroniche per l’intercettazione delle comunicazioni di polizia), un congegno idraulico mosso a distanza da un telecomando, ogni 10 metri una presa d’aria che conduceva al giardino interno di qualche casa o ai lati delle strade. Una delibera comunale del 2001 stanziava sei miliardi di lire per la «valorizzazione area latitanti Fiumara». Il responsabile del servizio tecnico finì in manette. Il sospetto fu che i cunicoli fossero costruiti con soldi pubblici. Secondo i periti le strutture erano state realizzate a scavo aperto, cioè aprendo cantieri nella pubblica via (a cura di Paola Bellone).