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 2012  maggio 28 Lunedì calendario

Biografia di Leoluca Biagio Bagarella

• Palermo 3 febbraio 1942. Mafioso. Detenuto nel carcere dell’Aquila al 41 bis dal giorno del suo arresto, il 24 giugno 1995, in esecuzione di vari ergastoli comminati per omicidi commessi nell’ordine delle centinaia. Detto don Luchino. Vedovo di Vincenzina Marchese, fratello di Ninetta Bagarella (moglie di Salvatore Riina).
• Mafioso da sette generazioni. «Se prendiamo l’albero genealogico dei Bagarella, per fare un esempio, vedremo che non si è mai salvato nessuno: i nonni, i padri, le madri, i fratelli, le sorelle, gli zii…» (Giuseppe Cipriani sindaco di Corleone, intervistato da Saverio Lodato). Suo fratello Calogero era, insieme a Bernardo Provenzano, Salvatore Riina e Luciano Liggio, un fedelissimo del boss di Corleone, il medico Michele Navarra, da loro tradito e ucciso nel 58 per prenderne il posto (Calogero morirà il 10 dicembre 1969 in un conflitto a fuoco nel corso dell’agguato a Michele Cavataio, in viale Lazio).
• Inizia la carriera come sicario di Salvatore Riina. Il 21 luglio 79 è lui che uccide, alle spalle, il capo della Squadra mobile di Palermo Boris Giuliano, che aveva scoperto il suo covo in un palazzone di Palermo, in via Pecori Giraldi (in un armadio nascosti mezzo chilo di eroina e i documenti di Bagarella). Arrestato con l’accusa di averlo ucciso, viene scarcerato per decorrenza dei termini.
• Viene arrestato di nuovo nell’86, alla vigilia del maxiprocesso istruito da Giovanni Falcone, in cui è condannato, nell’87, a sei anni di carcere (esce dopo quattro anni).
• Appena scarcerato sposa Vincenzina Marchese, di famiglia mafiosa (il capofamiglia, Filippo Marchese, detto Milinciana, scannava la gente con le sue mani e ogni volta prima di eseguire il delitto diceva: « cà finisci la to’ storia»). Velo lunghissimo per lei, mezzo tight per lui, il banchetto viene offerto a centinaia di ospiti in un albergo di lusso, a Villa Igea (per il filmino di nozze Bagarella sceglie la colonna sonora del Padrino). Inseparabili, i pentiti diranno che non appena Vincenzina chiamava per dire di avere calato la pasta, qualsiasi cosa stesse facendo Bagarella la interrompeva per correre a casa. I due non riusciranno mai ad avere figli (Alfonso Sabella, pm del pool antimafia diretto da Gian Carlo Caselli, in Cacciatore di mafiosi).
• Latitante dal 91 si procura un apparecchio radio per rimanere costantemente sintonizzato sulle frequenze di polizia e carabinieri. Nel 92 approva le stragi di Capaci (a cui partecipa anche in fase esecutiva, trasportando, a tarda notte, armato di kalashnikov, i bidoni di esplosivo da Altofonte a Capaci, e controllando la loro collocazione nel condotto sottostante al tratto stradale), e via d’Amelio (vedi Salvatore RIINA). Dopo l’arresto di Riina, organizza le stragi della primavera-estate 93. Notte tra il 26 e il 27 maggio, Firenze: esplode una Fiat Fiorino imbottita di esplosivo parcheggiata sotto la Torre dei Pulci, tra gli Uffizi e l’Arno, sede dell’Accademia dei Georgofili (muoiono in cinque, tra cui un bambino, e viene danneggiata la galleria degli Uffizi); sera del 27 luglio, Milano: in via Palestro esplode un’altra Fiat Uno (muoiono in cinque, danni al Padiglione d’arte contemporanea); notte tra il 27 e il 28 luglio, Roma: esplodono due autobombe, una a piazza San Giovanni in Laterano, l’altra presso la chiesa di San Giorgio al Velabro (oltre ai danni agli edifici, solo feriti). Altri due attentati falliscono. Il 14 maggio, autobomba esplode a Roma in via Ruggero Fauro, la vittima designata, il giornalista Maurizio Costanzo che predicava nella sua trasmissione contro la mafia, ne esce illeso. Il 31 ottobre non esplode l’autobomba parcheggiata nei pressi dello stadio Olimpico a Roma (si giocava la partita Lazio-Udinese).
• Diffidando dei politici che non avevano mantenuto le promesse fatte al cognato, l’8 ottobre 93 fonda un partito tutto suo, Sicilia Libera, di vocazione indipendentista, investendo cento milioni di lire. Intanto arrivano garanzie da parte del nuovo partito Forza Italia (a quanto dice Antonino Giuffrè, vedi) e il 18 febbraio 94 il movimento si trasforma in club azzurro.
• All’arresto di Riina diventa capo militare di Cosa Nostra. Formalmente capo in carica è Provenzano, che però non può contare sull’esercito di Bagarella (sotto di lui i killer di Brancaccio, della cosca di Misilmeri, del quartiere palermitano di Resuttana, della provincia di Trapani). A Provenzano, che si dice in disaccordo con le bombe, manda a dire: «Se vossia non è d’accordo, se ne vada in giro con un bel cartello al collo con la scritta: io con le stragi non c’entro».
• Terrorizzato dall’esistenza di un complotto contro di lui da parte degli scappati (gli sconfitti dai corleonesi nella seconda guerra di mafia), nella primavera del 95 inaugura le idi di marzo. Tutte vittime innocenti: Marcello Grado, 20 anni, figlio di Gaetano, detto Tanino occhi celesti, e il ragazzo in sua compagnia Luigi Vullo, ammazzati a colpi di pistola; Gian Matteo Sole, scambiato per il fratello, amico di Marcello Grado (sequestrato, viene torturato e strangolato, mentre Pino Guastella gli salta sulla schiena dicendo «così muore ballando», alludendo alla sua abitudine di andare in discoteca, la stessa, peraltro, frequentata dai figli di Totò Riina). Per lo sterminio della famiglia Giammona, vedi Giovanni Brusca.
• Viene arrestato il 24 giugno 1995, mentre esce da un negozio di abbigliamento, dov’è andato a ritirare un paio di jeans acquistati pochi giorni prima e che aveva lasciato da accorciare. Ray-ban scuri sugli occhi, al collo una catena con la fede della moglie, al controllo degli agenti in borghese esibisce un documento falso dichiarando di essere Franco Amato, impiegato delle poste. Una volta caricato nell’auto degli agenti in borghese, però si complimenta con loro. Si nascondeva in un appartamento nel centro di Palermo, in via Passaggio Mp1, proprio di fronte all’abitazione dei pm Lo Forte e Pignatone (quest’ultimo titolare delle indagini per trovarlo). Durante la perquisizione viene trovata una pentola con la trippa al sugo pronta per essere mangiata, e vicino alla cornice con la foto della moglie un biglietto: «Mio marito è l’uomo migliore del mondo e si merita una statua d’oro». La calligrafia è di Bagarella, ma gli inquirenti scopriranno che il biglietto originale con le stesse parole è stato consegnato ai genitori della Vincenzina, che un mese prima si è suicidata impiccandosi. Aveva appena saputo che si era pentito il fratello Giuseppe Marchese (killer prediletto di Riina), ma è anche vero che da un po’ di tempo era depressa perché non riusciva ad avere figli, e si era convinta che si trattasse di una punizione mandata da Dio perché i corleonesi avevano fatto rapire il tredicenne Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino (vedi Mario Santo Di Matteo). Dopo la sua morte Bagarella si era messo a lutto e per questo aveva sospeso l’uccisione delle persone in lista (ultimo delitto accertato, il 28 aprile). Il suo corpo non è mai stato trovato e i pentiti dicono che Leoluca ne ordinò sepoltura segreta ma degnissima.
• Il procuratore di Palermo Gian Carlo Caselli, che presentandosi a Bagarella quando glielo portano presso la sede della Dia, lo fa da piemontese: «Buonasera. Sono il procuratore di Palermo e sono qui per chiederle se intende dire qualcosa, se ha qualche dichiarazione da fare». La risposta: « ‘A canusciu buono, a vossia.E non devo dire proprio niente. Lei facissi ‘u procuratori, ca io mi fazzu ‘u carzaratu» (raccontato da Alfonso Sabella).
• Il suo appello a nome dei detenuti al 41 bis, letto il 12 luglio 2002 nell’aula bunker della Corte d’Assise di Trapani: «Siamo stanchi di essere strumentalizzati, umiliati, vessati e usati come merce di scambio dalle varie forze politiche, intendiamo informare anche questa eccellentissima corte che dal 1° luglio 2002 abbiamo iniziato una protesta civile e pacifica…». Seguirà lettera aperta rivolta agli avvocati: «Dove sono gli avvocati delle regioni meridionali (...) che hanno difeso molti degli imputati per mafia e che ora sono nei posti apicali di molte commissioni?».
• Nel 2002, ricevendo la visita del segretario dell’associazione “Nessuno tocchi Caino”, Sergio D’Elia, e del presidente dei deputati radicali al Parlamento europeo, Maurizio Turco: «Sono stato segregato 3 anni e 7 mesi in una sorta di stanza iperbarica, blindato in una cella con la porta chiusa e con la finestra, oltre alle sbarre, sigillata da un vetro blindato. La luce accesa notte e giorno, due o tre telecamere, l’aria veniva introdotta e cambiata da un aeratore. Sembrava di stare in aeroporto militare, tanto forte e costante era il rombo dell’apparecchio di aerazione».
• Nel capannone di via Messina Montagne, periferia est di Palermo, dove Bagarella faceva portare i mafiosi da torturare e che poi strangolava, stavano, in una nicchia mimetizzata gli attrezzi per la tortura, vale a dire manette, corde, lacci, fili di ferro, guanti di lattice; e appese alle pareti le immaginette di santa Rosalia, santa Rita, la Madonna e san Cristoforo. Gaetano Buscemi, nipote di Giuseppe Li Peri (ucciso su ordine di don Luchino un mese prima insieme al figlio, perché legato al boss Aglieri, e quindi a Provenzano), fu torturato per otto ore prima di essere strangolato. Ammise che lo zio morto stava con Aglieri e ottenne così che il suo cadavere non venisse sciolto nell’acido ma più dignitosamente scaricato in una via del centro di Villabate (Sabella).
• Inizialmente ammesso al gratuito patrocinio, il beneficio gli veniva semore revocato su ricorso della Procura stante la provata accumulazione di proventi illeciti, ma cionostante un collegio del Tribunale di Palermo, lo ritenne meritevole di essere difeso a spese dello Stato, perché era detenuto da tempo e tutti i suoi beni erano stati confiscati. Ricorreva il Pubblico ministero della Corte d’Appello di Palermo, anzitutto per una questione processuale (aveva deciso un giudice incompetente per materia), contraddetto dal Pubblico Ministero della Cassazione, al quale, invece, stava bene la decisione. La Cassazione, nel 2012 rinviava tutto al Tribunale perché decidesse di nuovo.
• Aveva perfino messo a punto un progetto di evasione dall’Ucciardone, predisponendo missili terra-aria e granate anticarro per buttare giù il muro di cinta. Ma quando lo fece sapere a Giovanni Brusca, quello gli mandò a dire: « Dicitici a Bagarella che forse s’ha vistu troppi film miricani» (Alfonso Sabella).
Il 7 marzo 2013 è stato rinviato a giudizio dal Gip di Palermo Piergiorgio Morosini per il reato di violenza e minaccia a un corpo politico (processo sulla c.d. trattativa Stato-Mafia) (a cura di Paola Bellone).