28 maggio 2012
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Biografia di Raffaele Cutolo
• Ottaviano del Vesuvio (Napoli) 4 novembre 1941 (ma sui documenti, per un errore di trascrizione all’anagrafe, è segnato 10 dicembre 1941). Camorrista. Detenuto al 41 bis (attualmente all’Aquila), quasi ininterrottamente dal 27 settembre 1963. Sta scontando nove ergastoli. «Il carcere è la sua casa, il suo bunker istituzionale e garantito» (Adriano Baglivo).
• Detto ’o Professore di Ottaviano.
• Nato in un castello mediceo, ceduto al padre Giuseppe (detto Don Peppe ’e Monaco, coltivatore diretto), da ex signori impoveriti dalla guerra, che non erano riusciti a restituirgli dei soldi. Studi dalle suore, poi il lavoro (sarto, falegname, barbiere, fabbro, rappresentante di vini e confetti, autonoleggiatore abusivo). La svolta a 22 anni, il 24 settembre 1963, quando uccide sparandogli al cuore Michele Viscito, che lo aveva afferrato per la sciarpa avendolo sentito dire a due ragazze : «Andatevene a fa’ ’nculo». Non che non l’avesse detto, lui era stanco, le ragazze strafottenti («La fatica degli sforzi fisici ti fa salire il sangue alla testa. Mi ha sempre provocato un senso di fastidio, di angoscia»), ma suo nonno lo aveva sempre ammonito: «Se porti le mazzate a casa, ti do il resto» (Giuseppe Marrazzo). Il 27 settembre si costituisce, e viene tradotto a Poggioreale.
• Condannato all’ergastolo più altri dodici anni, pena ridotta in appello a 24 anni, è in carcere quando nasce il figlio Roberto (in omaggio a Robin Hood), avuto da una relazione con Filomena Liguori. La zia gestiva una casa di prostitute e Cutolo temeva che la ragazza potesse fare una brutta fine. «Ero già temuto e rispettato anche per il ricordo di mio padre, che quando era in vita aveva aiutato tutti» (Francesco De Rosa) [Un’altra vita, Marco Tropea 2001].
• Nel 1970 esce dal carcere per decorrenza dei termini di custodia cautelare. Il contrabbando di sigarette a Napoli è in mano a mafiosi e a marsigliesi. Cutolo, predicando il riscatto dei napoletani dagli stranieri, recluta truppe di malviventi e, il 24 ottobre 1970 (giorno in cui si celebra l’arcangelo Raffaele), fonda ufficialmente la Nuova camorra organizzata (sulla suggestione delle letture storiche fatte in carcere, sui guappi della camorra dell’Ottocento). Formula del giuramento: «Noi siamo i cavalieri della camorra, siamo uomini d’onore, d’omertà e di sani principi, siamo signori del bene, della pace e dell’umiltà, ma anche padroni della vita e della morte. La legge della camorra a volte è spietata, ma con chi tradisce». Agli affiliati Cutolo promette stipendi mensili, assistenza legale e un fondo di solidarietà per i detenuti. Chi non sta con lui deve morire.
• «Se avessi intrapreso la carriera religiosa, sarei diventato papa».
• Viene arrestato di nuovo nel 71, nel corso di una sparatoria coi carabinieri nelle campagne di Palma Campania, che gli costa una condanna ad altri 14 anni. Ma gli viene riconosciuta l’infermità di mente e anziché in carcere viene recluso in manicomio giudiziario, prima a Sant’Efrem (Napoli), poi ad Aversa, dove può ricevere visite e continuare a condurre i suoi affari. Il 5 febbraio 1978 evade.
• Le perizie prodotte a sostegno della sua infermità mentale, diagnosticano un’epilessia primaria e richiamano il caso di una zia finita in manicomio. «Era bella e prosperosa… non aveva nulla delle altre donne della campagna piene di peli neri sulle gambe e sulle braccia. Lei ne aveva soltanto sulla “pucchiacca”, morbidi e ricci. Glieli accarezzavo con l’alluce del piede destro quando da bambino mi riusciva di dormire sulla brandina per mancanza di posti» (Giuseppe Marrazzo) [Il camorrista, Pironti 2005].
• «Hanno anche accertato che quando mi comprimono la giugulare, non rispondo più di me. Il sangue affluisce più forte e impetuoso verso il cervello, e io vengo preso da un irresistibile impeto di ribellione, da rabbia incontenibile, dalla voglia di imporre a ogni costo le mie ragioni» (Marrazzo, cit.).
• Nel frattempo ha anche stretto un patto con il boss della ’ndrangheta Paolo De Stefano (a Lamezia Terme), e con i malavitosi Renato Vallanzasca e Francis Turatello (a Milano), ma intanto si è rafforzato il fronte degli “anti-cutoli”. L’8 dicembre 1978 (giorno dell’Immacolata), Luigi Giuliano, boss di Forcella, costituisce la Nuova fratellanza, un’organizzazione federale di famiglie napoletane, per combattere lo strapotere cutoliano (rispondono in duecento). La federazione (che diventerà la Nuova famiglia), riunisce i Mallardo, i Vollaro, gli Alfieri, i Nuvoletta, i Bardellino, i Moccia, i Galasso. Tra il 1979 e il 1983 i morti ammazzati sono 818 (il culmine nel 1982: 264).
• Notte del 23 novembre 1980. Campania e Basilicata sono scosse dal terremoto. Cutolo, di nuovo in carcere, a Poggioreale, approfitta dell’apertura delle celle per ammazzare gli anti-cutoli (muoiono Michele Casillo, Giuseppe Clemente, Antonio Calmieri). Il pentito Mario Savio, allora ras dei Quartieri Spagnoli, e cutoliano: «Al centro c’era lui, Raffaele ’O professore. Era circondato dalle guardie scelte. Saranno stati una sessantina di detenuti, la vestaglia di seta era la sua inquietante e grottesca divisa da generale golpista. Con calma e decisione impartiva gli ordini in quello spazio gigantesco, di cui aveva assunto il controllo totale. Divise gli uomini in piccole squadre. Ad alcuni consegnò la lista dei condannati a morte; ad altre assegnò il compito di scavare una via verso l’uscita. Il dramma si replica tre mesi dopo, il 14 febbraio 1981, durante un’altra scossa. Muoiono ammazzati Ciro Balisciano, Antonio Mangiapili e Vincenzo Piacente (quest’ultimo viene prima seviziato col fuoco, poi gli si schiaccia la testa tra un muro e un cancello)» (Bruno De Stefano).
• Il 14 aprile 1981 muore ammazzato a colpi di pistola, mentre era a bordo della sua Fiat Ritmo, Giuseppe Salvia, vicedirettore del carcere di Poggioreale, che lo sottoponeva a perquisizione più volte al giorno, e quella volta che si era beccato due schiaffi da lui, anziché reagire, era andato a denunciarlo. Per questo omicidio Cutolo si prenderà un altro ergastolo.
• «Se ad esempio gli arrivano in carcere cento vestiti, omaggio di un fabbricante della zona vesuviana, ne distribuisce novantanove e ne tiene uno per sé, badando accuratamente che la cosa si diffonda nell’ambiente carcerario. Non perché intenda allargare il suo ruolo solo all’interno del carcere, ma perché i detenuti – presto o tardi – usciranno, gli saranno grati e si trasformeranno in suoi affiliati» (Marrazzo, cit.). Molte tangenti gli vengono versate sul conto corrente carcerario. In soli 13 mesi, dal marzo dell’81 all’aprile dell’82, presso la portineria del carcere di Ascoli Piceno sono stati lasciati oltre 33 milioni. Altri 22 li ha ricevuti con vaglia postali (in tutto, oltre quattro milioni al mese).
• La gestione degli affari fuori dal carcere era rimessa alla sorella Rosetta: «Con lui, sempre in carcere, è toccato a Rosa diventare la portavoce presso i 15 capizona, far eseguire i suoi ordini, controllare la raccolta delle tangenti. Legata al fratello da un affetto quasi morboso che l’ha spinta a rimanere nubile, Rosa Cutolo, come una dama di San Vincenzo, gli ha dedicato tutto il suo tempo, nell’attesa spasmodica del colloquio settimanale in carcere. Vive solo per quello: quando giungeva l’ora chiamava a raccolta, a turno, gli amici del fratello, si faceva accompagnare in macchina fin sulla porta del penitenziario e consegnava alle guardie un pacco voluminoso. Dentro c’era la biancheria di Raffaele, il pane cotto in casa, nel forno a legna, qualche salsiccia fatta con le sue mani» (Adriano Baglivo).
• Il 27 aprile 1981 viene sequestrato dalle Brigate rosse l’assessore regionale dell’Urbanistica, Ciro Cirillo, uomo di fiducia di Antonio Gava. Cutolo interviene nelle trattative, su richiesta di servizi segreti ed esponenti politici. In cambio gli vengono promessi trattamento carcerario e perizie psichiatriche più favorevoli, e tangenti sugli appalti della ricostruzione. Cirillo viene liberato e una sentenza della Corte d’appello sancirà l’avvenuta trattativa tramite Cutolo «In cambio della liberazione di Cirillo l’accordo prevedeva: una fetta dei lavori della ricostruzione in Irpinia agli “amici imprenditori” che avevano partecipato alla colletta per dare i soldi alle Br; il trasferimento di alcuni camorristi in carceri migliori; una percentuale a Cutolo sugli appalti. E un elenco segreto di persone che Cutolo consegnò alle Br perché fossero eliminate fisicamente. In quell’elenco c’era il mio nome. Conoscevo vita, morte e miracoli dei clan della camorra, ed ero la spina nel fianco di Cutolo» (il vicequestore Antonio Ammaturo a Giacomo Di Girolamo)[Dormono sulla collina. 1969-2014, il Saggiatore 2014].
• Il 25 febbraio 1982, all’indomani di un vertice sull’ordine e la sicurezza nella provincia di Napoli, il ministro dell’Interno Rognoni dispone con urgenza il trasferimento di Cutolo da Ascoli Piceno all’Asinara, ma il ministro di Grazia e giustizia, Clelio Darida, inspiegabilmente, ritarda il trasloco. A quel punto interviene il presidente Sandro Pertini, al quale sono giunte voci di un trattamento più favorevole concesso a Cutolo, che il 18 aprile viene imbarcato per l’Asinara (Bruno De Stefano).
• «Ha mai votato? "Mai. Né prima del carcere né dopo"» (a Paolo Berizzi).
• La Nuova famiglia ne approfitta per decapitare la Nco. Prime vittime designate la mente e il braccio di Cutolo: Alfonso Rosanova (16 aprile 1982, ucciso nell’ospedale Procida di Salerno, dov’è ricoverato) e Vincenzo Casillo (29 gennaio 1983, saltato in aria dopo aver messo in moto la sua Volkswagen Golf, nel quartiere Primavalle di Roma).
• Il 25 febbraio 1983 si pente Pasquale Barra, detto ’O Animale, che con Raffaele Cutolo aveva fondato la Nco. È in carcere, quando grida: «Aiuto, giudice, solo voi mi potete salvare!». Mandante il Cutolo, Barra aveva ucciso, con due siciliani (Salvatore Maltese e Antonino Faro), Francis Turatello, “Faccia d’Angelo”, della mala milanese (nel cortile del carcere di Nuoro, il 17 agosto 1981). Il Turatello era ormai morto, ma il Faro infieriva, strappandogli a morsi pezzi di intestino, e sputandoli in segno di disprezzo tanto che ne rimase inorridito lo stesso Barra, che cercò di fermarlo. Ma “Faccia d’Angelo” aveva grandi amici nella mafia, Luciano Liggio e Gerlando Alberti, che mandarono a dire a Rosetta Cutolo, la sorella di Raffaele, che certe cose non si fanno. Al che la Cutolo rispose che il fratello non c’entrava niente, era stata un’iniziativa di Barra («è pazzo»). Sentendosi condannato a morte Barra decise di parlare (e parlò troppo, perché fu proprio lui ad accusare Enzo Tortora). Il 17 giugno partono 856 ordini contro persone ritenute legate a Cutolo e finisce in manette anche Enzo Tortora, che, condannato in primo grado, e assolto in appello, morirà di cancro nel 1988.
• Intanto ad Ascoli Piceno Cutolo si è innamorato, ricambiato, della sorella di un suo luogotenente, Immacolata Iacone, diciannovenne, conosciuta durante l’orario di visita in carcere. Si sposano il 26 maggio 1983. La Iacone, intervistata da Vanity Fair: «Il primo bacio arrivò dopo sei mesi di fidanzamento, in parlatoio sporgendo il corpo sopra il vetro… Il giorno del matrimonio in carcere è l’unica volta che ho visto mio marito per intero, dalle scarpe ai capelli, senza sbarre o muri divisori a separarci».
• «Prima di sposare mia moglie la avvertii: pensaci bene, perché con me è come se fossi vedova a vita… Quando mi sono sposato l’ho giurato sull’altare di Dio: basta con la mia vita passata. Io non rinnego niente di quello che ho fatto. Sono coerente con me stesso. Ho fatto del male, ho seminato odio, violenza, morte. E quindi devo sopportare tutto. Ma da molti anni ho chiuso con la camorra» (a Berizzi, cit.).
• Nell’agosto 1987 Cutolo fa lo sciopero della fame per protestare contro l’isolamento, a settembre sta così male che viene ricoverato nel centro clinico del carcere Buoncammino di Cagliari. Dopo le dimissioni abbandona l’Asinara e comincia una peregrinazione da un carcere all’altro per poter comparire nei vari processi in cui è imputato.
• Il 4 ottobre 1988 viene ucciso suo suocero, Salvatore Iacone, guardia notturna in una fabbrica di pomodori. Il 19 dicembre 1990 uccidono suo figlio Roberto, di anni 28, in soggiorno obbligato nel Varesotto. I sicari lo affiancano mentre è al volante della sua Volkswagen bianca, lui tenta di fuggire a piedi, finché non cade per terra. Muore sotto i ferri in ospedale (nel 2005 sarà condannato per l’omicidio Mario Fabbrocino).
• Nel 2005 chiede la grazia al presidente della Repubblica (non riceve risposta).
• «Mi sono pentito davanti a Dio, ma non davanti agli uomini. Secondo lei è morale fare arrestare cinquecento persone innocenti o colpevoli per andare a letto con la moglie o l’amante, pagati e protetti dallo Stato? Per me riabilitarsi significa essere coerente con me stesso, pagare gli errori con dignità. La dignità è più forte della libertà, non si baratta con nessun privilegio. È da anni che i magistrati provano a convincermi. Nel ’94 il procuratore Francesco Greco, per il quale ho molto rispetto, mi disse: starai in una villa con tua moglie. Avremmo potuto avere un figlio. Rifiutai. E sono orgoglioso di aver sempre resistito alla tentazione. Penso che la legge sui pentiti sia un’offesa alla gente onesta e alle famiglie delle vittime» (a Berizzi, cit.).
• Il 30 ottobre 2007, dopo l’ennesimo tentativo di inseminazione artificiale, nasce Denise, figlia di Raffaele Cutolo e Immacolata Iacone. «Quando sarà grande magari qualcuno le racconterà delle cose. Saprà chi è suo padre, conoscerà il suo passato, ma Raffaele è mio marito, l’uomo che amo. Non potrei mai immaginare la mia vita senza di lui» (Immacolata Iacone).
• Autore di poesie, la sua opera prima è Poesie e pensieri, esaminata da Sergio Pirro, psichiatra, che intervistato da Luciano Giannini, disse: «Ha uno stile sciatto, non conosce bene l’italiano e neanche il dialetto che si scrive in modo colto, non come fa lui… Una sensibilità c’è, non v’è dubbio. Se non altro perché Cutolo è stato capace di accettare suggestioni letterarie, di mettere insieme uno scritto che della poesia ha, qualche volta, l’apparenza. Inoltre, il fatto stesso che scriva poesie e pensieri, lo mostra sotto una luce diversa, che non è quella del capobanda spietato, incallito, pragmatico, di matrice nordamericana. Il primo tema è la solitudine. Non riesco a pensare di quest’uomo diversamente da come egli stesso dice, cioè “solo”. Cutolo cerca di dare di sé una immagine diversa da quella reale. Non il duro, il dittatore, il distruttore, ma il perseguitato, l’abbandonato, il solitario, colui che cerca l’amore della mamma e della donna» (Baglivo, cit.).
• Il 21 maggio 2008 fu uccisa anche sua suocera, Pasqualina Alaia, di anni 78, non per vendetta ma dal figlio, Giovanni Iacone, che non sopportando più di sentirsi dire sei un buono a nulla, la prese a martellate (cercato e trovato nella stazione della Circumvesuviana, minacciò i carabinieri con un revolver, e poi si precipitò a perdifiato lungo i binari, finché non fu arrestato, sotto la pioggia, nella stazione di Sant’Anastasia, dove consegnò, oltre al revolver, accetta e cesoia).
• Ultime Estate 2013. Il centro Don Peppe Diana di Saviano (Napoli), lancia una petizione on line per chiedere al ministro di Giustizia la concessione di misure alternative al carcere per Cutolo, invocando l’articolo 3 della Costituzione e denunciando il “giustizialismo ideologico”, che esclude per il detenuto la possibilità di rieducazione e di riconciliarsi definitivamente con il suo passato.
• Il 13 febbraio 2014 l’Espresso pubblica la notizia di una «pista investigativa», che ipotizza un investimento occulto da parte di Cutolo (per sottrarre il denaro alle confische), nel Grand Hotel la Sonrisa, a Sant’Antonio Abate, location del reality Il Boss delle cerimonie, in onda su Real Time. Il gestore, Antonio Polese, era stato processato a suo tempo, perché ritenuto implicato nella compravendita del Palazzo del Principe di Ottaviano, il castello di Cutolo confiscato nel 91. Nel 2010 era stato videoregistrato il colloquio tra Cutolo e la nipote Roberta (figlia del primogenito ucciso nel 90), in cui il primo diceva: «Io vorrei uscire un paio di mesi per mettere a posto a te e a Raffaele. E anche a Mauro, per l’amor di Dio! Potrei fare mille e mille cose. Vedi, c’è una località dove comprammo un vecchio rudere spagnolo, 700 milioni no?… Adesso vale sessanta miliardi. Eravamo quattro soci, no… Tre stanno lì…» (Claudio Pappaianni).
• «Cutolo, come sta? "Come un uomo che si prepara a morire in carcere"».