28 maggio 2012
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Biografia di Sergio Cragnotti
• Roma 9 gennaio 1940. Finanziere. Ex padrone della Cirio, che portò al crac nel 2002, mancando il pagamento di un bond da 150 milioni di euro. Ex padrone della Lazio, comprata per 24 miliardi di lire da Gianmarco Calleri e condotta, dopo uno scudetto, sull’orlo della bancarotta (salvata da Lotito, che la rilevò per 26 milioni nel 2004).
• Romano di Porta Metronia, studi all’istituto per ragionieri Leonardo da Vinci, laurea in Economia e commercio. Fa pratica come contabile alla Calce e Cementi Segni (del gruppo Bomprini Parodi Delfino), emigra poi in Brasile alla Cimento Santa Rita. Quando Serafino Ferruzzi rileva la Cimento, viene colpito dal giovane romano sveltissimo nel comprare e soprattutto nel vendere (Gardini, in seguito: «Se volete spuntare un buon prezzo chiamate il Kragno»). Ferruzzi gli mette in mano l’Agro Pecuaria Magno (350 mila ettari di terra) e tutta l’attività brasiliana. Alla morte di Ferruzzi, Gardini gli affida le attività in Francia, poi lo lascia tornare in Italia e lo nomina prima vicepresidente di Montedison (1988) e infine amministratore delegato di Enimont. Dei molti colpi che caratterizzano questa formidabile carriera vanno ricordati l’acquisto della Beghin Say (1980: Cragnotti, durante un certo pranzo, pur di sedere accanto al banchiere Jean-Marc Vernes, spostò di sua mano i segnaposto a tavola) e quello della Standa, rilevata da Carlo Saverio Lamiranda – un uomo di De Mita che l’aveva comprata dall’Iri di Prodi – e girata poi a Berlusconi per 881 miliardi di lire (1988). Lascia infine Enimont, dove è diventato il manager più pagato al mondo (un miliardo e mezzo di lire l’anno), con una liquidazione di 80 miliardi di lire.
• Con la liquidazione, l’appoggio di Gardini e l’alleanza di Banca di Roma, Banco di Napoli, Centrofinanziaria-Montepaschi, Popolare di Milano, Rabobank (Olanda), Crédit Lyonnais (Francia), Swiss Bank (Svizzera), fonda la Cragnotti & Partners, capitale di 600 miliardi, la banca d’affari con cui andrà alla conquista di decine di aziende sparse sul pianeta. Il metodo Cragnotti si basa sulla costruzione/acquisizione di una miriade di società, tutte interconnesse, spesso scatole vuote, che rendano sempre più facile la crescita via debiti. L’ipotesi implicita è che lo stesso livello d’indebitamento renda impossibile il default. L’uomo è in questo un anticipatore delle spregiudicate pratiche bancarie del secolo successivo, che finiranno nel 2008 con la crisi epocale dei subprime.
• Lo arrestano nel novembre 1993 nell’ambito dell’indagine sulla tangente Enimont (vedi DI PIETRO Antonio). Si presenta al carcere di Opera in loden blu, sciarpa gialla e valigetta di cuoio. Resta dentro tre giorni, perché ammette subito di aver versato dieci miliardi al Caf (Craxi-Andreotti-Forlani) per nome e per conto di Gardini allo scopo di ottenere sgravi fiscali al momento della fusione Eni-Montedison (1988). Chiuderà questa vicenda giudiziaria patteggiando nel 1998 un anno e cinque mesi di reclusione per falso in bilancio, appropriazione indebita e finanziamento illecito dei partiti.
• «Con la sua Cragnotti and Partners e una complessa ragnatela di finanziarie olandesi e lussemburghesi, l’ex-manager comincia ad acquistare aziende su aziende» (Enrico Romagna-Manoja). Dapprima la Lawson Mordon, canadese, che fatturava 1,1 miliardi di dollari e che poi Cragnotti rivendette con una plus valenza di 110 miliardi che gli costò l’interdizione da ogni attività in Canada (le autorità di quel Paese sostennero che aveva influenzato con un’azione spregiudicata i corsi di Borsa).
• William Blundell, tra il 1991 e il 1994 a capo del board del Lawson Mardon Group: «Cragnotti aveva la tendenza a impegnarsi in operazioni che poco avevano a che fare con gli interessi degli azionisti. Con Cragnotti avevamo [lui e Sergio Marchionne - ndr], nel complesso, una buona relazione umana: il problema era arginarne lo stile di finanziere che mal si combinava con le abitudini del capitalismo canadese» (Marco Ferrante) [Marchionne – L’uomo che comprò la Chrysler Mondadori 2009].
• Acquista poi «la Polenghi Lombardo (dalla Federconsorzi); la casa d’aste Semenzato; la brasiliana Bombril (origine di molti dei suoi guai finanziari); la Centrofinanziaria (dal Monte dei Paschi); la Cirio-Bertolli-De Rica (dall’Iri, per oltre 500 miliardi); la Lazio (prima società calcistica ad essere quotata a Piazza Affari e da molti considerata come la “polizza assicurativa”della sua scalata nel mondo degli affari); le centrali del latte; e, infine, la sofferta acquisizione della Del Monte, il colosso della frutta tropicale. Una scalata senza soste che avviene con non pochi incidenti di percorso (...) e le accuse di frode lanciate da alcuni soci brasiliani. E che accrescono i suoi debiti: secondo Mediobanca, gli oneri finanziari della Cirio sfioravano nel 2001 i 190 milioni di euro» (Romagna-Manoja). La crisi esplode nel novembre 2002, quando Cragnotti non è in grado di far fronte a un bond da 150 milioni. Chiede alle banche di rifinanziarlo e quelle si rifiutano. Ci sono nove bond Cragnotti in circolazione, emessi fra il 30 maggio del 2000 e il 31 maggio del 2002, per un totale di 1,125 miliardi di euro. Vanno in default tutti. L’impero si avvia alla bancarotta, Nel 2004 Cragnotti è costretto a cedere anche la Lazio e intanto partono le indagini della magistratura per una serie impressionante di reati: dalla truffa alla bancarotta fraudolenta, dal falso in bilancio alla corruzione. I giudici accusano esplicitamente anche le banche di aver sostenuto la Cirio sapendo bene quali erano le sue condizioni reali (con i bond scaricavano sui risparmiatori l’indebitamento del gruppo).
• «Cragnotti non gestiva hedge fund ma, per molti versi, ha fatto come Maddoff, succhiando 1.125 milioni di euro ai risparmiatori cui le banche, ansiose di rientrare dai debiti della Cirio, avevano venduto delle obbligazioni. Senza contare quello che hanno perso gli azionisti della Cirio che era quotata in borsa» (Orazio Carabini, Alessandro Galimberti) [S24 2/7/2009].
• «1.125 milioni di euro, investiti in obbligazioni. Bond che tra il 2000 e il 2002 davano rendimenti del 6,9%, quando i Bot offrivano a malapena il 2,2%. Ma che dopo il crac sono diventati carta straccia» (Luca Fornovo) [Sta 2/3/2011].
• Tra le operazioni contestate dalla magistratura c’è anche la vendita di Eurolat, che mette Cragnotti e la Cirio in connessione stretta con Tanzi e la Parmalat. I giudici sostengono che Capitalia, per chiudere l’indebitamento di Cragnotti, lo abbia costretto a cedere Eurolat a Tanzi per una somma spropositata: 630 miliardi di lire. Con quei soldi, Capitalia e gli altri istituti rientrarono dell’esposizione (che avevano intanto spostato su Tanzi, secondo la tecnica detta del “cambio di cavallo”).
• Il pacchetto Eurolat venduto alla Parmalat comprendeva anche la Centrale del latte di Roma. «Privatizzata dal Campidoglio nel 1997 dal sindaco Francesco Rutelli e dall’allora fedelissima assessore Linda Lanzillotta. La comprò la Cirio di Sergio Cragnotti che un anno dopo la vendette alla Parmalat (...) Il fatto è che nel contratto c’era il divieto di rivendere la Centrale prima di cinque anni (...) Lanzillotta reagì alla rivendita con un perentorio “Cragnotti chiarisca”, e quello reagì con un sicuro “chiarirò tutto”. Infatti sono passati 15 anni e c’è voluto prima l’arresto di Cragnotti, poi il processo Eurolat, che ha visto l’ex presidente di Capitalie e Mediobanca Cesare Geronzi condannato a 4 anni, per arrivare a dire che la Centrale del Latte non doveva essere rivenduta» (Giorgio Meletti) [Fat 23/4/2013]. «Il Consiglio di Stato ha condannato la scelta dell’allora amministrazione comunale che nel ‘99 accettò l’uscita di Cirio (...) Per la rottura del lockup Cirio pagò al Comune una penale di 16 miliardi» [Luca Iezzi, Rep 15/3/2010]. All’inizio del 2013 il Tribunale di Roma «ha annullato la vendita alla Cirio di Cragnotti proprio per la violazione della clausola che ne impediva la cessione a un’altra società prima del fatidico quinquennio» [Paolo Zappitelli, Tmp 1/11/2013].
• Arrestato nuovamente l’11 febbraio 2004, nella sua villa di Montepulciano. Portato a Regina Coeli, pretese di restare in isolamento perché convinto che la sua vita fosse in pericolo. Volle raparsi a zero per essere un “detenuto completo”. Trasferito ai domiciliari il 16 giugno, dopo una detenzione da molti giudicata troppo lunga. Arrestati con lui anche il figlio Andrea e il genero Filippo Fucile. Nel febbraio 2008 la terza sezione del Tribunale civile di Roma lo ha condannato, insieme a Capitalia, a risarcire al gruppo Cirio 223 milioni, più rivalutazioni dal ’99 a oggi (poco più di 300 milioni in tutto). Nell’aprile 2008 per lui e per l’allora presidente di Banca di Roma, Cesare Geronzi, il filone milanese dell’inchiesta sul crac Cirio si è concluso con l’invio degli atti a Roma, al processo principale nel quale sono già imputati.
• Il 4 luglio 2011 è stato condannato in primo grado a 9 anni di reclusione per il fallimento nel 2002 della Cirio, insieme al genero Filippo Fucile (4 anni e sei mesi) e ai figli Andrea (4 anni), Elisabetta (3 anni) e Massimo (3 anni). 4 anni a Cesare Geronzi. L’accusa aveva richiesto 15 anni per Cragnotti e 8 per Geronzi. «Nel novembre 2008, il processo Cirio ha rischiato lo stop a causa dell’inserimento di un emendamento “salva-manager” nel decreto Alitalia, poi ritirato» [Luca Fornovo, Sta 5/7/2011].
• Dalle motivazioni della sentenza: «Cragnotti era dominus dell’intero gruppo e, dunque, effettivo motore nonché centro decisionale di tutte le società, anche per il tramite di titolari apparenti» ed «era ben consapevole del fatto che l’alterazione dei bilanci avrebbe contribuito a trascinare la società nello stato di dissesto, che poi sfociava nella dichiarazione dello stato di insolvenza».
• Sono stati circa 600 i risparmiatori e investitori che si sono costituiti parte civile. «Il vero problema, secondo il Codacons è che “sono ancora pochi i risparmiatori che decidono di agire in giudizio e poi non è stato possibile promuovere la class action sulla Cirio, perché la legge sulle cause collettive è entrata in vigore dopo e non ha effetti retroattivi”» [Fornovo, cit.].
• «I condannati al processo Cirio, a cominciare da Sergio Cragnotti e Cesare Geronzi, hanno diritto a essere considerati innocenti fino al giudizio della Cassazione (...) In realtà, il processo Cirio appone il sigillo giudiziario sulla crisi di un intero sistema di potere che, nei vent’anni della Seconda Repubblica, aveva in Geronzi il suo supremo mediatore finanziario, irrobustito dalla gratitudine di Silvio Berlusconi e, quanto ai debiti degli ex comunisti, di Massimo D’Alema» (Massimo Muchetti) [Cds 6/7/2011].
• Secondo i commissari giudiziali del gruppo, dei soldi dei risparmiatori «190 milioni furono utilizzati per finanziare le perdite della SS Lazio (la procura parla di 141 milioni di pagamenti preferenziali), 171 per sostenere parte dell’offerta pubblica d’acquisto della Del Monte e 169 per investimenti e oneri di gestione» [Galbiati, Rep 5/7/2011].
• Tra gli asset del gruppo che i commissari si trovarono a gestire, vi erano anche «70 dipinti tra cui un Kandinsky» [Massimo Sideri, Cds 11/12/2009].
• «A Roma, tra via Veneto e Villa Borghese, due volte al giorno (tarda mattinata, metà pomeriggio) caracolla un cane tenuto al guinzaglio da un cameriere: è il bellissimo cane di Cragnotti, quasi l’ultimo della famiglia a essere rimasto libero» (Lietta Tornabuoni). La casa di Cragnotti stava dietro via Veneto: palazzina di tre piani, più di duemila metri quadri terrazzati con vista su Roma.
• La Lazio di Cragnotti, famosa per le campagne acquisti faraoniche. Ci giocarono Signori, Winter, Gascoigne, Fuser, Marchegiani (pagato parte in nero, come Cravero), Boksic e Casiraghi, Mancini e Salas, Nedved e Vieri, Veron, Crespo, Stam e Nesta, che fu cresciuto in casa. Miliardi di lire spesi in dodici anni di attività: 800. Quella Lazio, oltre allo scudetto del 2000, vinse anche la coppa delle Coppe del 1999. L’acquisto di Vieri per 50 miliardi fece epoca: i romani sostennero che Cragnotti aveva aumentato di 100 lire il prezzo del latte per rientrare dell’esborso e ci fu anche un tentativo di “sciopero del cappuccino” (1998).
• «La gestione della Lazio fu tutt’altro che scellerata (...) Era una società all’avanguardia, un astro nascente nella politica sportiva: fui il primo ad applicare la logica delle plusvalenze e degli ammortamenti». Quando gli fu chiesto se avesse intenzione di rientrare nel mondo del pallone rispose: «Le ciambelle con il buco riescono una volta soltanto» (a Simone Di Segni) [Sta 5/8/2010].
• «Il pallone non incise sul mio crac: le società andavano benissimo, non avevano problemi gestionali, si trattò di un default tecnico: non eravamo pronti a sopportare la scadenza prevista del primo bond da 150 milioni di euro» (a Vanni Zagnoli) [Lib 19/3/2013].
• Ai tempi aveva stretto una sorta di alleanza con il presidente della Roma Franco Sensi. Obiettivo: combattere «Milano con una politica coesa. Dimostrammo che anche nella capitale si poteva vincere. Sovvertimmo la nostra rivalità. Fu un periodo, forse, irripetibile» (ibid.).
• Quando Nesta in Nazionale si infortunò (Mondiali di Francia 98), Cragnotti chiese alla Federazione un risarcimento di 13 miliardi di lire.
• Al suo avvocato Giulia Bongiorno, che aveva difeso anche Francesco Totti nel caso di squalifica per il famoso sputo al giocatore danese Christian Poulsen agli Europei 2004: «Lei deve scegliere: o la Roma o la Lazio» [Vty 1/7/2004].
• «Anaffettivo e con gli occhi da husky» (l’Espresso).
• «Lo sguardo di un cinico da manuale, che conosce il prezzo di ogni cosa e il valore di nessuna» (Giancarlo Dotto).
• «Il suo querulo vernacolo strascicato, le giacche burine troppo attillate, la sintassi cagionevole e l’abbronzatura perenne. Gardini, che non era un damerino ma sembrava un eroe di Hemingway, ingaggiò istitutori per avviarlo alle buone maniere. Invano. Cragnotti non riuscì mai a dire “concorrenza” con due erre» (ibidem).
• «Volpe nei consigli d’amministrazione, acrobata nei rapporti con le autorità, mercante di carne umana nelle compravendite dei vari Vieri, Nedved, Veron, Nesta, Crespo» (Filippo Ceccarelli).
• Capace di addormentarsi in ogni istante, a volontà.
• Soprannominato Serginho (al tempo dell’attività in Brasile), il Giapponese (Gardini), la Fattucchiera (Cuccia).
• Nel 2007 ha scritto insieme a Francesco Pennacchia il libro Un calcio al cuore (Fazi), un memoir dettagliato dei suoi successi come presidente della Lazio e delle ultime vicende giudiziarie.
• Attualmente vive ad Aquaviva, in provincia di Siena, dove produce vino (Nobile di Montepulciano) e fa consulenze a piccoli imprenditori.
• Sposato con Flora Pizzichemi (si conoscono da ragazzi). Figli: Andrea, Massimo ed Elisabetta, sposata con Filippo Fucile. Tutta la famiglia, con il titolare, è stata coinvolta nel processo Cirio.