Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  maggio 28 Lunedì calendario

Biografia di Deborah Compagnoni

• Santa Caterina Valfurva (Sondrio) 4 giugno 1970. Ex sciatrice alpina.
• Vinse tre ori olimpici: Albertville 1992 nel superG, Lillehammer 1994 e Nagano 1998 nel gigante. Tre volte campionessa del mondo: in Sierra Nevada (1996) in gigante, a Sestrière (1997) in gigante e slalom. 16 successi in coppa del Mondo (tredici giganti, uno slalom, due superG). «Di notte sogno sempre le stesse cose: prati verdi, campi di sci. Penso di non aver mai avuto un incubo in vita mia».
• Figlia di albergatori: «Papà mi diceva sempre: se hai voglia vai a fare la gara, se poi vinci ancora meglio. Sennò te ne stai a casa. Il segreto è correre senza pressione, come ho fatto io».
• «Da piccola volevo fare la parrucchiera perché mi piaceva trafficare coi capelli delle bambole, con quelli di mia mamma Adele. Dopo volevo diventare una pittrice. Avevo la nonna a Venezia, giravo per le calli e i campielli e stavo ore e ore dietro gli artisti che dipingevano i paesaggi, le case, i palazzi, i ponti, col carboncino, con gli acquerelli, con le tempere. Li guardavo ed imparavo. Mi piace infatti dipingere, appena posso mi ci metto».
• Albertville 1992, oro in SuperG: «Tutto in due giorni: il trionfo e la corsa all’ospedale con il ginocchio rotto». Lillehammer 1994, oro in gigante: «Un sogno. La neve, tanta. Le casette nel bosco. Il rispetto per la natura dei norvegesi. Lì ho davvero pensato: che bello esserci!». Nagano 1998, oro in gigante e argento in slalom: «Eravamo isolati, lontani da tutto in un Paese incomprensibile. Avevo l’età giusta e l’esperienza: dal punto di vista tecnico, la mia Olimpiade migliore».
• «Ero in macchina con mio papà, che mi stava portando a una garetta regionale. Ci fermammo in un bar per vedere lo slalom di Lake Placid. No, a quei tempi non mi immaginavo nemmeno lontanamente campionessa di sci: sognavo di vincere il trofeo Topolino, non l’oro olimpico… Ad Albertville arrivai in pista così in ritardo che l’allenatore pensò che mi avrebbero squalificata. A Lillehammer faceva così freddo che tra me e me pensai: facciamo ’sta seconda manche e andiamocene al calduccio. Paradossalmente, vincere una medaglia ai Giochi è più facile che salire su un podio di Coppa del mondo: gli atleti sono meno, solo quattro per nazione».
• Carriera rallentata da alcuni gravi infortuni: nell’88 ai legamenti del ginocchio destro, nel 1992 a quelli del ginocchio sinistro, nel 1995 al menisco del ginocchio destro. «Il suo infortunio più grave risale all’Olimpiade del 1992. Meribel, un crac crudele, un urlo di dolore che attraverso i televisori raggelò le famiglie italiane» (Carlo Grandini).
• «A Deborah mancano ottanta centimetri d’intestino: glieli tolse il chirurgo, all’alba degli anni ’90, intervenendo per rimuovere una gravissima occlusione. Deborah ha le ginocchia di cristallo, opere d’arte dei restauratori delle cliniche di Lione» (ibidem).
• L’integralità del prototipo Compagnoni consiste nel progressivo completamento del personaggio. Che dai podi sportivi si è mano a mano trasferito nelle dolci normalità dell’essere e del vivere comuni. E giusto per ciò è diventato sempre più facile tifare per Deborah: una sorella, un’amica, una moglie, un’amante» (ibidem).
• Tre figli da Alessandro Benetton (vedi scheda): Agnese (17 agosto 2000), Tobias (15 gennaio 2003), Luce (16 dicembre 2006). La coppia si è sposata nel 2008 durante un viaggio in America «perché ce lo hanno chiesti i ragazzi. Ci siamo fermati fuori New York, in una chiesetta di Tuxedo, e abbiamo celebrato la cerimonia. Noi e i figli» (Emanula Audisio) [Ven 19/4/2013].
• Vivono tra la casa di Treviso (progettata dall’architetto giapponese Tadao Ando e chiamata “The Invisible House” per la presenza di una parte interrata) e la baita di Santa Caterina (hotel La Baita Fiorita).
• «Lui a volte torna a casa a pranzo (adora i minestroni), lei va a far la spesa al mercato e poi si mette ai fornelli. Fanno molto sport, la sera giocano a pinnacolo o, al massimo, escono a mangiarsi una pizza» (Monica Setta) [Cuore di manager, Sperling & Kupfer].
• Nel dicembre 2013 Dagospia ha scritto di una crisi e di una possibile separazione: «Per concentrarsi nel suo fuondo di private equity, 21 Investimenti. Alessandro Benetton sta addirittura pensando di lasciare il suo rifugio di Conegliano Veneto per trasferirsi tra Milano e Roma. E non è poi così scontato che, nello spostamento, lo segua anche la moglie».
• «Colleziona pezzi d’arte contemporanea (“Mi sono appassionata grazie a Ale”), scia nei weekend, muovendo come una ballerina classica le ginocchia di cristallo martoriate dagli interventi, che al freddo scricchiolano paurosamente ma sono ancora capaci di divine geometrie: “La neve mi dà sempre belle sensazioni”» (Gaia Piccardi).
• Alla fine degli anni ’90 è stata testimonial per il reggiseno Lumière della Parah, scelta dal brand in seguito alla pubblicazione di alcune sue foto rubate durante una vacanza in Polinesia [Maxim].
• «Non ho mai avuto miti, grandi esempi da imitare. Mi piaceva Stenmark, perché anche dopo aver vinto tutto è rimasto un ragazzo semplice. Anche Thoeni».
• «Le vittorie ti esaltano, i malanni ti insegnano ad avere pazienza, ad accettare limiti e sconfitte. Le vittorie sono punti fermi nel ricordo, gli infortuni ti aiutano a crescere. Nel tempo mi sono fatta quest’idea: chi vive solo agonismo felice, quando smette entra in crisi» (Enrico Sisti) [Rep 14/2/2010].