28 maggio 2012
Tags : Luigi Ciotti
Biografia di Luigi Ciotti
Pieve di Cadore (Belluno) 10 settembre 1945. Prete. Fondatore del gruppo Abele. Presidente dell’associazione antimafia Libera. Da tempo vicino alle ragioni dei no-global. «Nessuno ha da ridire contro i cappellani che dicono messa su un carro armato. Ma quando ho celebrato messa su un carro di campagna sono stato messo sotto inchiesta». Si schiera contro gli F35. Prende una posizione netta anche nel processo sulla trattativa Stato-mafia: «Libera si è costituita parte civile del processo e segue tutte le udienze – dichiara all’Adnkronos nel novembre 2013 –, tutta la società civile deve sentire la responsabilità di sostenere tutti i magistrati impegnati nella ricerca della verità».
• «La mia famiglia si è trasferita a Torino dal Veneto quando avevo cinque anni. Per un bel po’ ho vissuto nella baracca del cantiere dove lavorava mio padre. Il padrino della mia cresima è stato il macchinista della gru. Ero povero in mezzo ai ricchi. Ho sperimentato il giudizio sprezzante dei compagni di scuola. I giudizi fanno male» (Vittorio Zincone) [Set 1/2/2013].
• «Nell’inverno del 1960 Luigi Ciotti era uno studente d’istituto tecnico emigrato a Torino, da Pieve di Cadore, al seguito del babbo muratore. Prendeva il tram per andare a scuola e guardando fuori dal finestrino aveva già le sue visioni, quella singolare capacità di vedere il mondo con gli occhi degli ultimi della fila: “Ho reagito di pancia, con la semplicità del ragazzo”. Già, perché è un ragazzo, non il prete, non l’adulto, a fondare nei primi giorni del 1966 il gruppo Abele (Ciotti sarà poi ordinato sacerdote nel 1972, quando il cardinale Michele Pellegrino gli affiderà “la parrocchia della strada”), ed è per questo che oggi l’adulto s’arrabbia quando sente dire che i giovani sono il nostro futuro, “no, loro ci sono sempre stati, sono il nostro presente, è adesso che vanno create le condizioni per una vera partecipazione, invece li prendiamo in giro e tutto resta saldamente nelle mani degli adulti, la politica, la chiesa, le amministrazioni”. Il Gruppo nasce dalla testardaggine di un ragazzo che ingoia qualche delusione (“provai a coinvolgere i miei amici della parrocchia, ma alcuni non se la sentirono”) e incassa i primi successi: un giorno Ciotti va a trovare un detenuto del Ferrante Aporti e quello gli sputa in faccia, però una volta uscito dal carcere minorile sarà uno dei primi a rispondere alla chiamata e un pilastro del Gruppo per i lunghi anni a venire. Oggi, visto dalla nuova, bellissima sede di corso Trapani, un’ex fabbrica avuta in comodato d’uso per trent’anni, il Gruppo Abele è qualcosa di concreto ed astratto al tempo stesso: è una porta aperta ed un centro studi, è un “drop in” per agganciare le persone in difficoltà e una casa editrice, è una serie di piccole comunità per i tossicodipendenti e giornali come Narcomafie e Animazione Sociale, è una cascina alloggio che ospita i malati di Aids e un centro di mediazione dei conflitti» (Stefania Miretti).
• Nel 1986 è tra i fondatori e primo presidente della Lila (Lega italiana per la lotta all’Aids).
• Tra i suoi migliori amici, il giudice Gian Carlo Caselli: «Negli anni di lotta alla mafia va a trovarlo nelle torri blindate del quartiere la Favorita» (Niccolò Zancan) [Sta 12/11/2013].
• Vive sotto scorta.
• Rispetto ad altri «don» più noti e televisivi – da Mazzi a Gelmini – è stato da sempre associato a un metodo di «prossimità», quando non da «tonaca rossa»: «È il prototipo della categoria “preti combattenti”. Non canta Bella ciao in chiesa, come ha fatto recentemente don Gallo, ma è sempre e comunque nella trincea degli ultimi: tossicodipendenti, testimoni minacciati dalla mafia, prostitute, barboni, giocatori d’azzardo andati in rovina» (Zincone, cit.). Ama Fabrizio De André e non si meraviglierebbe se un vescovo dichiarasse di essere gay. Apprezza Papa Francesco: «Perché è vero. Perché non dice quello che pensa, ma perché prima pensa e poi dice. Perché non ha niente di finto addosso. Nemmeno la sua umiltà è finta, accompagnata alla consapevolezza del ruolo e dei doveri che deve ricoprire. Francesco piace perché guarda negli occhi sempre quando parla: anche se davanti a sé ha milioni che lo ascoltano» (a Paolo Rodari) [Rep. 2/10/2013].
• Con lui lavorano migliaia di persone: il Gruppo Abele è presente anche in Messico e in Costa d’Avorio, mentre Libera Associazioni nomi e numeri contro le mafie mette insieme 1600 associazioni di tutte le estrazioni, da Legambiente all’Agesci, dall’Arci all’Azione cattolica. Con Libera studia il fenomeno delle mafie nella loro pervasività e capillarità socio-economica: dalla violenza nei territori di frontiera alle infiltrazioni nella politica e nelle istituzioni fino alla corruzione e agli interessi nei grandi appalti (vedi la ricostruzione post-terremoto dell’Aquila). I dossier dei ragazzi di don Ciotti sono un ottimo strumento per scandagliare Cosa nostra, ’ndrangheta e camorra in modo complessivo e approfondito. Con la gestione dei beni confiscati e la riconquista delle terre sottratte alle mafie don Ciotti fa il salto: piantare un seme e rendere l’impegno per la legalità tangibile e duraturo. Con Abele è molto attento al tema delle dipendenze: non solo droga e alcol, ma anche gioco e web. «Dato che oggi tutto è illegale, quando un ragazzino mi dice: “Ho comprato solo un po’ di fumo”, io gli rispondo: “È inutile che vai al corteo antimafia se poi continui a finanziare le stesse mafie”» (Zincone, cit.).
• Per le Politiche del 2013, l’ex pm antimafia Antonio Ingroia cercò di coinvolgerlo in Rivoluzione civile ma lui rifiutò: «Libera deve restare libera. Nessuno ci può tirare per la giacca. Al massimo, se la politica lo chiede, possiamo dare un suggerimento, come è successo con Benedetta Tobagi e Gherardo Colombo per il cda della Rai»; tra i politici rispetta «Romano Prodi che è anche un amico», e ancora Bruno Tabacci e Livia Turco, «due persone oneste» (Zincone, cit). Nel marzo 2013 aderisce all’appello “Facciamolo!” per «un governo di alto profilo» e di cambiamento; con lui anche Michele Serra, Roberto Benigni, Oscar Farinetti, don Andrea Gallo, Lorenzo Jovanotti, Carlo Petrini, Roberto Saviano, Salvatore Settis e Barbara Spinelli.
• Il suo linguaggio è diretto, quanto di meno politicamente corretto e diplomatico ci sia: Gian Antonio Stella racconta di quando, in visita al porto di Gioia Tauro, disse agli operai: «Ohé, ragazzi, cercheremo di darvi una mano, ma basta con l’assenteismo. E più corresponsabilità» [Cds 12/7/2012].
• Giornalista pubblicista dal 1988, due lauree honoris causa: in Scienze dell’educazione all’Università di Bologna (1998) e in Giurisprudenza all’Università di Foggia (2006).
• Autore di libri, da ultimo Cambiare noi, con Antonio Mazzi e Antonio Sciortino (San Paolo, 2013).