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 2012  maggio 28 Lunedì calendario

Biografia di Giuseppe Ciarrapico

• Roma 28 gennaio 1934 - Roma 14 aprile 2019. Imprenditore. Ex senatore, del Pdl (XVI legislatura). Si definisce «fascista antinazista»: «Io credo nella natura cattolica, mediterranea, latina del fascismo» (a Gian Antonio Stella) [Cds 21/4/1995].
• Ex presidente della Roma (dal 1991 al 1993: vendette Völler, acquistò Caniggia e consegnò a Sensi una società sull’orlo del fallimento): «Fischi? Non ne ho sentiti. Solo contestazioni di gioia».
• Mise in piedi una catena di giornali locali nel Lazio (testata principale Ciociaria Oggi, di Frosinone) che in tutto vendevano circa 50.000 copie («Con Andreotti negli Usa incontrammo l’editore del Washington Post. Ci disse che i soldi veri li faceva con Bronx News. Lì ho capito tutto»); causa grave crisi, nel maggio 2012 ne ha ceduta gran parte all’imprenditore Armando Palombo. Possiede cinque cliniche a Roma e due a Fiuggi per un totale di mille posti letto. Controlla anche due società di catering, tre finanziarie, lo storico Bar Rosati in piazza del Popolo (Roma).
• Iscritto al Msi dal 1947 (tessera n. 75: aveva 13 anni), «mentre le sue tipografie stampavano volantini al limite dell’ apologia del fascismo, le edizioni Ciarrapico negli anni Ottanta pubblicavano fra le varie cose volumi pregevoli sulla storia della destra. Direttore della collana era all’epoca un giovane Marcello Veneziani» (Paolo Foschi). Nel 2007 fece scalpore la sua partecipazione alla convention sul Partito democratico organizzata dal diessino Goffredo Bettini: «Ero lì per l’amicizia e la stima che nutro per Goffredo: però non esageriamo, a sinistra mai».
• «Un’intera generazione di giornalisti, ormai attempati, è ancora oggi grata a Ciarrapico per le continue risorse narrative che la sua ascesa garantiva giorno dopo giorno al mestiere della cronaca politica. E non solo perché era una miniera di idiomi e atteggiamenti romaneschi che ispirarono addirittura la creatività cinematografica (vedi il personaggio di Sparafico in Nel Continente Nero). Affittò castelli, inventò cocktail per la figlia di Andreotti, predispose porchette-flambé, cantò Nel Sole con Al Bano. In pari grado vulcanico e approssimativo, s’era messo fermamente in testa di essere amico di tutti. Del Msi e della famiglia Almirante lo era fin dalla metà degli anni Quaranta; però si mise pure a rifornire di acqua di Fiuggi i festival dell’Unità e tentò di premiare Ingrao; promise a Craxi di acquistargli il glorioso Avanti!; finanziò le più divertenti e azzardate iniziative editoriali para-cielline. Al culmine del trullallà partitico e finanziario diede soldi perfino al Psdi, e per estremo paradosso fu la cosa che sul piano giudiziario gli costò più cara. Ma soprattutto parlava e straparlava, il Ciarra, a nome del “Principale”, come chiamava Andreotti, allora presidente del Consiglio. In sua vece arrivò a mediare tra la Fininvest e il gruppo De Benedetti per il possesso della Mondadori e di Repubblica; e se non altro per questo ufficio si merita certamente un posticino negli annali del potere italiano nella stagione del Caf. La sua caduta, al tempo di Tangentopoli, fu istantanea e rovinosa. Finì in carcere e poi si ritrovò sommerso dai debiti, specie con le banche, e tra le banche soprattutto con la Banca di Roma, che per prima cosa si prese il piccolo impero sanitario. Da Fiuggi, dove un tempo ebbe anche un “suo” sindaco, l’avevano già fatto fuori. Ma le altre 19 acque minerali gli restarono drammaticamente appiccicate. Tra pendenze giudiziarie, crisi aziendali a ripetizione e proteste dei sindacati, non sapeva più che farsene. Ciarrapico vantava una fila di possibili acquirenti, statunitensi, olandesi, la Nestlè. Invano tentò di vendere fonti, terme e imbottigliamenti al povero Gardini, a sua volta sull’orlo dell’abisso. Intanto Geronzi fremeva, voleva rientrare, alleggerirsi di quel fantasioso debitore, chiudere. Se l’ascesa del personaggio era stata narrata giornalisticamente in modo assai intenso, quasi spassoso, l’inevitabile discesa si configurava come un’avventura per certi versi ancora più incredibile. Pensare che i soliti ignoti gli staccarono dal muro degli uffici addirittura un forziere e se lo caricarono via. A lui. Gli andò pure a fuoco l’aereo privato che aveva imprestato a Bruno Vespa per andare a Baghdad a intervistare Saddam Hussein. Nel ’96, sul supplemento economico del Corriere della Sera, Monica Setta diffuse la notizia che il Ciarra era preda di una crisi mistica: leggeva la vita dei santi, girava per abbazie, faceva esercizi spirituali, forse – o almeno così assicuravano gli amici – stava per prendere i voti. Pur essendo aperta e preparata a tutto, la vita pubblica italiana non vide confermata la tardiva vocazione di fra Peppino. Poco dopo l’inusitata rivelazione, anzi, comparvero appesi per la capitale, con il dovuto scandalo del sindaco Veltroni, dei manifesti di Mussolini dietro cui si ricercò, magari a torto, lo zampino del Ciarra. Più che l’ardore religioso, era semmai il richiamo della foresta nera a prenderselo. Come fascista, non poteva dirsi esattamente un “esule in Patria”, ma in una selva di saluti romani partecipò al ventennale dell’eccidio di Acca Larenzia, e poi anche ai funerali di Massimo Morsello, leader di Forza Nuova. Ebbe poi modo di scambiarsi offese con il suo successore alla guida della Roma calcio, Franco Sensi. E dato che il Caffè Rosati era ancora suo, non gli dispiacque di figurare come l’anfitrione di Giuliano Ferrara e degli altri foglianti la sera dell’Usa-day a piazza del Popolo» (Filippo Ceccarelli).
• Sulla mediazione al tempo della guerra per la Mondadori (il suo famoso lodo assegnò nel 1990 la Mondadori a Berlusconi e l’Espresso, con Repubblica e la catena di giornali locali Finegil, a De Benedetti): «Venne Passera e aveva un camion di documenti, io gli dissi che m’ero portato dietro solo un quaderno a quadretti e che mi proponevo di adoperare una sola pagina, su cui avrei tracciato una linea verticale, come si fa a carte quando si devono segnare i punti, in cima allo spazio di sinistra avrei scritto De Benedetti, e sotto quello che chiedeva, in cima a quello di destra Berlusconi, e idem». Carlo Caracciolo, all’epoca presidente dell’Espresso: «Lo incontrai con un pretesto, segnalargli Vissani come chef per la sua Casina Valadier. In realtà volevo chiedergli di spiegare ad Andreotti che la vittoria di Berlusconi su Mondadori si trasformava in una vittoria di Craxi. Si fece di colpo attentissimo. Sentito Andreotti ci convincemmo tutti che Ciarrapico era l’unico mediatore possibile».
• Grandi polemiche (e imbarazzi) nel marzo del 2008 perché in un’intervista a Repubblica sulla sua candidatura a senatore (pressoché imposta da Gianni Letta) si disse ancora fascista: il fascismo? «Mai rinnegato», foto del Duce nelle redazioni dei suoi giornali? «Ovunque c’è», a Predappio? «L’ultima volta che ci sono stato era ottobre: eravamo sedicimila». «Può darsi, che sia caduto in un trappolone... m’hanno pure detto che Repubblica mi ha mandato sotto il suo più velenoso cronista politico... ma io, vi giuro, più me la rileggo, quella intervista, e più non ci trovo niente di strano...». Qualche mese dopo, a scanso d’equivoci, puntualizzò: «Io il saluto romano lo faccio ancora, tutte le mattine. Entro a palazzo Madama e saluto il picchetto dicendo: “Ave”» (a Paola Setti) [Grn 12/2/2009].
• Gianfranco Fini: «Fosse dipeso da me Ciarrapico non sarebbe stato candidato». «“Sono fascista. Ma in senso culturale e non politico. È una questione di memoria. Di cuore. Di storia personale. Di ideali. (...) Non rinnego il fascismo e ho grande ammirazione per Mussolini”. Casa, studio, ufficio: ovunque ci sono busti e foto del Duce. “Che cosa c’è di male?”, si chiede. E poi replica alle perplessità di Fini. “Non gli piace la mia presenza nelle liste del Pdl? È un problema suo. Non posso farci nulla. È stato Berlusconi a volere la mia candidatura. Siamo amici da una vita. Ne sono fiero. Ma anche da An mi hanno telefonato in tanti per fare i complimenti”. Qualche nome? “Non erano messaggi carbonari, posso dirlo: Alemanno, Matteoli e altri”» (a Paolo Foschi).
• Silvio Berlusconi: «Noi dobbiamo fare una campagna elettorale e si deve vincere. L’editore Ciarrapico ha giornali importanti a noi non ostili ed è assolutamente importante che questi giornali continuino ad esserlo visto che tutti i grandi giornali stanno dall’ altra parte». «Nella sua biografia, ha praticamente tutto: squadre di calcio abbandonate sull’orlo del burrone e cliniche fiorenti. Stazioni termali, acque minerali, cartiere, aerotaxi, giornali, società di catering, giochi di Borsa e premi letterari. Una collezione di soldatini da far invidia a Previti e Cossiga. Una sentenza passata in giudicato per il crac Ambrosiano. La gestione del lodo Mondadori, ai tempi del Caf (Craxi-Andreotti-Forlani, l’asse che resse la vita politica italiana durante gli anni Ottanta – ndr), tra Berlusconi e De Benedetti. E quindi ancora un mucchio di amicizie eccellenti, anche se quella a cui lui tiene di più è con Giulio Andreotti, che chiama, senza ironia, “il principale”» (Fabrizio Roncone).
• Nel marzo 2010 è stato rinviato a giudizio dal Tribunale di Cassino per «stalking a mezzo stampa» (fattispecie di reato configurata per l’occasione, mai attestata prima a livello internazionale) nei confronti di Manuela Petescia, direttrice dell’emittente televisiva Tele Molise e moglie di Ulisse Di Giacomo, all’epoca anch’egli senatore del Pdl: Ciarrapico è accusato di averla reiteratamente molestata e perseguitata infamandone la reputazione sui giornali da lui controllati, mediante la pubblicazione di articoli e vignette ingiuriosi o pesantemente allusivi. Nel luglio 2013 il processo è stato trasferito per competenza al Tribunale di Isernia.
• Nel maggio 2010 la Procura di Roma dispose nei suoi confronti un sequestro preventivo di beni per 20 milioni di euro: Ciarrapico era infatti indagato, insieme al figlio Tullio, per truffa aggravata mirante al conseguimento di erogazioni pubbliche, con l’accusa di aver percepito illecitamente decine di milioni di euro di contributi statali per le sue pubblicazioni editoriali, grazie a uno studiato sistema di società fittizie e prestanome. Flavio Haver: «Secondo l’accusa, Ciarrapico avrebbe eluso la legge per l’emanazione dei contributi all’editoria (la 250 del ’90) facendo figurare che le due società (“Editoriale Ciociaria Oggi” e “Nuova Editoriale Oggi”) amministratrici degli otto giornali da lui controllati (Nuova Viterbo Oggi, Ciociaria Oggi, Nuovo Molise, Nuova Rieti Oggi, Fiumicino, Guidonia, Ostia, Castelli Oggi) avevano gestioni separate. In realtà, per gli inquirenti gli intrecci tra le due aziende pilota sono evidenti». Nel gennaio 2012 il Tribunale di Roma ha disposto il rinvio a giudizio per Ciarrapico e il figlio.
• Il 30 settembre 2010, commentando in Aula le recenti prese di posizione di Gianfranco Fini rispetto a Silvio Berlusconi e al Pdl, disse: «Fini ha fatto sapere che presto fonderà un nuovo partito. Spero che abbia già ordinato le kippah, perché è di questo che si tratta: chi ha tradito una volta tradisce sempre». Accusato da molti di antisemitismo e duramente criticato dal suo stesso partito, offerse le proprie scuse alla comunità ebraica, chiarendo che l’unico suo obiettivo polemico era Fini. «Io mi onoro di aver indossato a Gerusalemme in tempi molto lontani la kippah al museo dell’Olocausto. In Senato ho parlato di "tradimento" di Fini che prima ostentava il saluto fascista e poi è andato in Israele a definire il fascismo il male assoluto. E per dire tutto questo si è messo la kippah» (a Paolo Conti) [Cds 4/10/2010].
• Nell’agosto 2013 il Tribunale di Campobasso ha disposto il rinvio a giudizio di Ciarrapico per «offese all’onore del presidente della Repubblica»: «Nel settembre del 2009 aveva infatti scritto un editoriale per il quotidiano Il nuovo Molise in cui aveva sostenuto che il capo dello Stato Giorgio Napolitano aveva ritardato il rientro in patria delle salme dei sei paracadutisti morti in Afghanistan per terminare la visita di Stato in Giappone, “condita da occasioni conviviali, dal gusto della ristorazione etnica giapponese, della cucina italiana esportata in Giappone e da spettacoli musicali”» [Cds 14/8/2013].
• In base alla condanna per bancarotta fraudolenta e usura emessa nei confronti di Cesare Geronzi (vedi scheda) dal Tribunale di Parma (novembre 2011) e confermata dalla Corte d’appello di Bologna (giugno 2013), Calisto Tanzi fu costretto dalla Banca di Roma a comprare da Ciarrapico le acque minerali Ciappazzi e a versargli 38 miliardi con i quali saldare i debiti con la stessa banca. Dopo l’acquisto, quelli della Parmalat scoprirono che Ciappazzi non poteva operare, tra l’altro perché «era nel frattempo decaduta dalle necessarie autorizzazioni amministrative per estrarre l’acqua dalle fonti» (nota del gip).
• «Il fascismo fece anche cose orribili, come il rastrellamento del Ghetto. O le leggi razziali: il Principale fece un’autentica cretinata» (a Susanna Turco) [Unt 21/3/2009].
• «Dopo Berlusconi c’è solo Berlusconi. Io lo chiamo il Padreterno. Dice che 120 anni sono una conquista ormai acquisita dell’uomo occidentale e che, coi suoi mezzi, ce ne può aggiungere altri 20. A me, ne regala 10» [ibidem].
• «Della Valle sembra Fracazzo da Velletri» (a Malcom Pagani) [Fat 12/1/2012].
• Il terzo polo secondo Ciarrapico: «Una tristezza che non je so di’. Fini, Rutelli, come se chiama quell’altro str...? Casini: ma perché non si gode sereno i soldi di Azzurra Caltagirone?» [ibidem].
• «A Fini mi pento di aver fatto rompere solo il naso. Era il ’75. Avevano appena ucciso Mantakas a Roma. Duecento ultras, giovani e missini, arrivarono sotto la sede del Secolo d’Italia chiedendo di parlare con Almirante. Fini si agitò e prese qualche cazzotto. Made in Ciarrapico» [ibidem].
• «Vince sempre chi, nel dubbio, mena» (a Pietrangelo Buttafuoco) [Fog 15/10/2011].
• «Sono un centinaio i creditori che con un conto di 500 mila euro inseguono caparbiamente il portafoglio di Ciarrapico da quando nel ’98 la Cassazione ha confermato la sua condanna a oltre quattro anni di carcere per concorso in bancarotta fraudolenta (per il crac del Banco Ambrosiano – ndr). “È riuscito a non pagare neppure un centesimo trasformandosi in una specie di primula rossa”, sottolinea il loro legale, Gianfranco Lenzini. “Ha cambiato residenza almeno quattro volte nel giro di due anni”. Dal cuore di Roma alla campagna ciociara di Campoli Appennino. E poi, restando in zona, a Villa Santa Lucia. Per finire in una frazione dei Castelli Romani, Santa Maria delle Mole» [M.P., Cds 22/10/2010].
• Due figli: Tullio (direttore generale del Gruppo Eurosanità) e Micaela (sposata con il radiologo Luigi Simonetti, ordinaria alla facoltà di Medicina di Tor Vergata).
• Per anni ha ricevuto i suoi ospiti con una pistola bene in vista sul tavolo: «Non era una leggenda. La mettevo in vista, che ricevessi amici o ospitassi nemici» (a Malcom Pagani) [cit.].