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 2012  maggio 28 Lunedì calendario

Biografia di Nino Cerruti

(Antonio) Biella 25 settembre 1930. Stilista. Amante di cinema, creatore di look divistici (Tom Cruise in Eyes wide shut, Harrison Ford in Air Force One e Frantic, Richard Gere in Pretty Woman). «Un anno agli Oscar erano vestiti da me sia il presentatore che il premiatore che il premiato, Clint Eastwood».
• «Signore dell’eleganza sartoriale, (…) è anche grazie alla sua intraprendenza se la moda maschile della seconda metà del ’900 è diventata più esigente e rilassata e ha acquisito fama» (Maria Teresa Veneziani).
• La sua storia professionale inizia nel 1950, quando eredita dal padre il Lanificio Fratelli Cerruti, azienda fondata a fine Ottocento. Nel 1967 crea la Cerruti 1881 e apre una boutique a Parigi, in Place de la Madeleine. Tra i suoi clienti Karl Lagerfield, André Oliver, Hurbert de Givenchy e anche Orson Welles, che «arrivava per cercare cappelli». Dopo aver lanciato varie linee di vestiario e profumi, nel 2002 cede il comparto abbigliamento alla Fin.Part, rimanendo però a capo del lanificio Cerutti. Due anni dopo entra nel mondo dell’arredamento con l’acquisto della Baleri Italia, azienda che nel 2008 ha realizzato un fatturato di 6 milioni di euro impiegando 25 addetti [Michele Avitabile, Cds 12/10/2009].
• Critico con l’abuso della dicitura Made in Italy: «è vero che il consumatore non deve fidarsi di tutte le merci distribuite sul mercato, ma non è detto che la dicitura “tutto italiano” sia sempre sinonimo di qualità, stile e bellezza. (...) È come se affermassimo che i 60 milioni di italiani hanno la bellezza di Sofia Loren. Certo sarebbe bello, ma purtroppo non è così» (ibid.).
• Gli uomini «hanno imparato a osare grazie alle loro donne perché sono pavidi».
• «Non è affatto vero che gli attori non ci tengono ai vestiti. A Hollywood, da quando hanno scoperto gli stilisti italiani, hanno capito quanto un giusto vestito può aiutarli nei cinema e nella vita» (a Laura Dubini) [Cds 14/4/1994].
• «La moda è arte applicata, ma nessuno si sognerebbe di far dipingere i quadri di un artista a qualcun altro. Quello che succede invece con i nuovi direttori creativi chiamati a disegnare per griffe di altri. Le case di moda, poi, diventano fenomeni di marketing o finanziari» [a Veneziani, Cds 2/6/2012].