Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  maggio 28 Lunedì calendario

Biografia di Guido Ceronetti

• Torino 24 agosto 1927 - Cetona 13 settembre 2018. Scrittore. «Ho scritto sui giornali per avere da vivere, ma il meglio di Ceronetti viene fuori dai versi».
• «Ha scritto di sé: “Torinese per foglietto anagrafico, l’accento incorreggibile, i ricordi”. Dai quali estrarre “i parenti ossessivi, il fascismo martellato e chiesa chiesa chiesa”. Poi ci sono stati i lampi dell’Antigone di Sofocle, le cattive traduzioni della Bibbia, il senso di colpa e il lampioncino davanti alle case di tolleranza. Della sua gioventù “la cosa più spensierata era il tram. Il cinema era col contagocce, per molti anni puro e semplice miraggio”» (Pino Corrias).
• «Sono sempre stato anticomunista, sempre... Forse, subito dopo la guerra ho avuto una certa simpatia, però non mi sono iscritto al partito il giorno dopo aver visto La corazzata Potëmkin, come innumerevoli giovani. Antifascista non è neanche da dire, da quando ci si è risvegliati, l’8 settembre. I miei non erano fascisti né antifascisti, erano bravi cittadini come tanti. Mio padre ha fatto tutta la Grande Guerra, ha vissuto Caporetto e il Piave, detestava Cadorna. Incontrò mia madre, che era cassiera in un cinemino, andando a vedere i film muti» (a Paolo Di Stefano) [Cds 8/5/2011].
• «Il “pestigrafo” armato di basco nero sulla testa, che le cronache riescono malissimo a inquadrare: è infatti saggista, poeta, scrittore, traduttore, regista, impresario teatrale; e poi instancabile flagellatore dei pericoli del progresso e della tecnologia. Infine, giornalista: ha cominciato durante la guerra, con racconti umoristici e pezzi culturali, e non ha mai smesso. Come regista e produttore teatrale, ha cominciato nel 1970 insieme a Erica Tedeschi, con il Teatro dei Sensibili, fatto di marionette e di ombre cinesi» (Alessandro Riva). «Al teatro, mi ci sono dedicato tardi. A 40 anni. Ero un biblista, ma con mia moglie volevamo adottare dei bambini e pensavamo che sarebbe stato bello intrattenerli facendo per loro un teatro di marionette, consapevoli che quando avremmo detto alle assistenti sociali che ai nostri figli avremmo fatto vedere le marionette invece che la tv ci avrebbero chiesto chissà quante carte. Invece ci bocciarono direttamente la richiesta: dissero che io ero vecchio perché avevo 40 anni, anche se mia moglie ne aveva solo 25. A quel punto il teatro di marionette l’abbiamo fatto per i vicini di casa. Poi sono arrivati gli intellettuali, e ora eccomi qui» (ad Anna Bandettini) [Rep 8/10/2010].
• «Ha il dono di sapere tutto prima di saperlo, la conoscenza delle cose e delle parole avviene nel suo minuscolo ventre vuoto di asceta vampiro, di flâneur diurno, di pellegrino italico. (…) La sua prosa è in perenne ebollizione, manda lampi, rombi, sciabolate di fuoco, risate luciferine commiste a lievi sorrisi dolci e funebri» (Goffredo Parise).
• «Immagine lieve e perentoria, ha la grazia smarrita dell’antico Viandante, la magrezza dello Sciamano, l’andare segreto del Mago, la nativa indipendenza degli animali, l’acume visibile del Mestatore, l’unicità del Marionettista» (Giosetta Fioroni).
• «Un nemico giurato della folla. Un misantropo mancato (mancato, dichiara, forse per troppo amore delle donne). Un avversario giurato della tecnologia. Un laico con venature di tradizionalismo, sgorgate dal mondo classico, dai Salmi o dall’Ecclesiaste. Un letterato colto e poliglotta. Un pessimista ai limiti del catastrofismo» (Nello Ajello).
• Sostanzialmente misoneista: ama la stilografica, la macchina da scrivere, il telegrafo e il cinema; disdegna biro, computer, cellulare e televisione. Nel febbraio 2009 è però apparso nella trasmissione televisiva Che tempo che fa (Rai Tre), dove ha presentato il suo ultimo libro Le ballate dell’angelo ferito (Il Notes magico ed.). «Ci sono momenti in cui bisogna rassegnarsi all’inconoscibile, all’indecifrabile. È così, non ci si può fare nulla, meglio limitare i commenti. Ho amato (e amo) tantissimo Ceronetti. Vederlo in tv mi ha creato sconcerto. Ma è un problema mio, non suo» (Aldo Grasso) [Cds 12/2/2009].
• Ha tradotto e commentato alcuni tra i libri biblici più ostici (Qohélet o l’ Ecclesiaste nel 1970, Il Libro di Giobbe nell’82) o più famosi (Il libro dei Salmi uscito in prima edizione nel 1955, il Cantico dei Cantici vent’anni dopo), oltre a diversi classici della letteratura latina come gli Epigrammi di Marziale (1964), Le poesie di Catullo (1969), Le satire di Giovenale (1971). In Come un talismano (1986), che deve il titolo a un verso di Eugenio Montale, ha raccolto le sue traduzioni di singole poesie dei grandi poeti moderni: da Konstantinos Kavafis a Thomas S. Eliot, da Antonio Machado ad Arthur Rimbaud.
• «Il Ceronetti saggista ha uno stile inconfondibile, “apocalittico” e satirico, molto polemico nei confronti di ogni conformismo e di ogni forma di consumismo e particolarmente sensibile alla distruzione del paesaggio. I suoi brevi saggi, prevalentemente pubblicati sul quotidiano La Stampa, sono raccolti in diversi volumi (Difesa della luna del 1971, La carta è stanca del 1976, La musa ulcerosa del 1978, La vita apparente dell’82, Albergo Italia dell’85). Nel Silenzio del corpo del 1979, Ceronetti espone la sua poetica rivendicando il carattere terapeutico della verità: “Faccio il medico cercandola”. In Un viaggio in Italia. 1981-1983 dell’83, l’autore parte da una nuova “passione per l’Italia... più severa, più dolorosa”, mentre L’occhiale malinconico dell’88 riprende l’amore per il viaggio, nel tempo e nello spazio, e dalla guerra di Spagna passa alla tragedia della Valtellina nel 1987» (l’Espresso). • «Cultore della lettera come irrinunciabile testimonianza vitale e amicale (“Le anime morte non scrivono né ricevono lettere”), egli vi dispensa pensieri e giudizi sugli argomenti più vari (l’antichità, la medicina, l’ambiente, la morte, il Papa), che emanano non tanto da uno spirito intelligente (del quale alla fine non sapremmo che cosa farcene) quanto da un vero e inusitato saggio moderno, capace di offrire piccole o grandi illuminazioni, sempre comunque emancipate dalla stolida tirannia dell’opinione corrente».
• «Mi piacque molto la sfida del ministro dell’Ambiente, Willer Bordon, alla potenza vaticana, per le antenne radio di Cesano, pericolose per la salute della gente della zona, ma venne deplorato e perfino ridicolizzato nel suo stesso governo». Nel 2006 scrisse che avrebbe votato «per il margine in penombra del chiattone, del Narrenschiff unionista, che si presenta come Rosa-nel-Pugno».
• «Ripeto spesso un verso di Miguel Hernández: "Me duele a España". A me duole l’Italia: è un destino dell’Italia il dolere, perché dell’Italia importa l’anima, l’Italia è metafisicamente importante, e qui lo sfregio lo risenti visceralmente. Mi considero un patriota del Risorgimento anche se non espongo la bandiera: la verità è che bisogna soffrire per l’Italia e con l’Italia anche se si è stranieri. Il mio Viaggio in Italia è una testimonianza per l’Italia di un italista. Posso dirmi un italista» (a Paolo Di Stefano) [cit.].
• «Una guerra atipica, incruentissima – eppure guerra vera, senza quartiere, senza infingimenti – è da fare, con mobilitazione generale includente giovani leve e vecchie, donne, uomini e ragazzini rigorosamente privi di kalashnikov: la guerra all’Inglese, all’anglofonia d’occupazione, all’americofonia tecnologica, all’angloegemonia che implacabilmente va stritolando le lingue dell’Europa continentale e seppellendo in sabbie mobili senza ritorno la meno reattiva di tutte: questo italiano nostro di penuria, analfabetizzato, stupidamente arreso all’angloamericano. La diseducazione linguistica conduce dritto all’indifferenza a tutto: valori etici, culturali, religiosi. (…) Cittadini, una lingua così vaiolosa è un danger serio per tutti! Una lingua materna non è surrogabile da una sussidiaria, imposta con prepotenza. È in vista una diffusa confusione mentale. Alzate senza paura barriere linguistiche. Difendendo l’italiano proteggete voi stessi» [Cds 14/1/2010].
• «Il libro al computer è la fine di un modo di pensare, e probabilmente del pensare stesso. Non è più la mano ma la macchina a guidare, ispirare, uniformare gli stili. Del resto i tanti romanzi che escono in questi anni, nel loro realismo arcipiatto figlio dell’elettronica, non appartengono più alla scrittura» (a Mario Baudino) [Sta 30/12/2009].
• «L’arte è sempre trascendente anche per chi la pratica. Viene, chissà, dall’anima del mondo, da Dio, dagli angeli. Il mistero letterario è sempre stato insondabile. È ancora così» (a Nello Ajello) [Rep 6/7/2011].
• «L’arte è finita da quando gli artisti non hanno più malattie veneree» [Il silenzio del corpo, Adelphi 2001].
• «Quando si parla di uomini pubblici, di uomini di Stato, non bisogna negargli una certa misura di piaceri privati, perché il bene pubblico dipende anche da questo. (…) Mai le donne (e neppure i ragazzi) sono da rinfacciare a un capo o a un ministro, purché ne godano entro limiti che non prendano a modello Tiberio o Nerone. Tutto quel che scarica in privato l’uomo pubblico dalle tensioni spaventose, di cui s’intumorisce tra la folla, nei colloqui, nei viaggi continui, nelle assemblee, è frescura per il bene pubblico; senza piaceri privati, l’uomo che governa o legifera perde, specialmente oggi, la dimensione umana» [ibidem].
• «L’ottimismo è come l’ossido di carbonio: uccide lasciando sui cadaveri un’impronta di rosa» [ibidem].
• «Ero, in gioventù, un lacrimoso filantropo e sono, in vecchiaia, un asciutto filantropo. Pulito, ma filantropo. Darmi del misantropo è quasi ferirmi. Non so da quali pozzi mi venga, ancora, tanta passione umana. Certo non spreco le adulazioni, se sta lì tutta la misantropia…» [Pensieri del tè, Adelphi].
• «Un elementare senso del pericolo (territoriale, identitario, genericamente nazionale, e in questo caso anche religioso) dovrebbe suggerire la semplice idea che, quando gli sbarchi sulle coste italiane diventano di migliaia, si pone un problema di difesa militare. Quello che è strano, in questo dramma dell’assurdo, è che si invochino aiuti e scatti di alleanze per prenderne sempre di più, per predisporre modi di accoglienza e non per stabilire e proteggere – umanamente ma fermamente – un confine militarmente invarcabile. Un paragone classicissimo è la faccenda del cavallo di legno che sorprese l’eccessiva credulità dei poveri Troiani, che per metterselo in casa avevano addirittura squarciato le mura» [Sta 5/4/2011].
• «La verità, nelle predicazioni unanimemente buoniste, è certamente impossibile trovarla» [ibidem].
• «Diffido delle proclamazioni di amore universale: siamo sette miliardi di àntropi su questa nave di pazzi, e amarli, tutti in blocco, è non amare nessuno» [Rep 18/9/2013].
• «Mi affascina indagare il male e la condanna dell’uomo al male. Mi sembra che sia un inevitabile cuore di pensiero. In un certo senso mi ritengo un criminologo. Ho perfino un vasto archivio artigianale di casi importanti: dai delitti di Villarbasse a quelli efferati della banda Manson» (ad Antonio Gnoli) [Rep 17/3/2013].
• «La vita rimescola dati e dadi; l’ultima parola, su tutto, la dirà il silenzio».
• «L’oratorio mi fece anche aborrire la Juventus: c’erano dei manigoldi che mi sbattevano contro il muro con minaccia di strozzarmi se non gridavo con loro viva la juve. M’impuntavo e le prendevo; per rivalsa, nella torva cretinità puerile, cercai riparo nelle coglie, a quel tempo formidabili, del Torino. Durò pochi anni: ma capirai c’era gente come Guglielmo Gabetto, Valentino Mazzola, Eusebio Castigliano, tutti i morti di Superga...».
• Animalista e vegetariano dal 1957. «Per quanta giustizia possa esserci in una città, basterà la presenza del mattatoio a farne una figlia della maledizione. Per quanto nobile possa essere una ricerca della medicina, la sperimentazione su esseri viventi ne farà sempre una figlia della maledizione» [Il silenzio del corpo, cit.].
• Nel 2011 ha pubblicato il suo primo romanzo, In un amore felice (Adelphi ed.). «Vi è contenuta l’umanità del vecchio Aris, che si innamora, ricambiato, della trentenne Ada, una sensitiva che talvolta vede prima quel che accadrà. Siamo nel ’57, in una città portuale, mentre nel grande mondo si verificano apparizioni di Ufo. Perché l’idea di scrivere un romanzo? “Il romanzo è nato da ore di noia passate in clinica per una riabilitazione. Mi trovavo a Novaggio, in Svizzera, mi annoiavo, si avvicinava l’autunno e mi sono detto: mi metto a scrivere qualcosa che mi salvi dalla depressione. Il romanzo è venuto così, in modo rapsodico. Sono partito per scrivere la storia di un amore felice, perché mi causava un vero disagio il pensiero che gli amori siano quasi tutti infelici”» (a Paolo Di Stefano) [cit.].