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 2012  maggio 28 Lunedì calendario

Biografia di Ascanio Celestini

• Roma 1 giugno 1972. Autore e attore. «Uno dei rari cantastorie che sfugge alla scuola di Dario Fo» (Franco Quadri).
• «Inizialmente parlavo come mangiavo. Ho un nonno carrettiere e uno spaccalegna, una nonna contadina e una narratrice di storie di streghe (il marchio l’ho preso da lei). Mio padre (Gaetano, detto Nino, morto nel 2003 – ndr) era restauratore di mobili del Quadraro e mia madre, da giovane, era parrucchiera di Torpignattara (due quartieri popolari di Roma ndr)».
• «Ascanio Celestini nella bottega di Morena (Roma) ogni tanto ci torna: restaurare gli piace, ed è da lì che escono le scarne scenografie dei suoi spettacoli: “Quando avevo 7 anni mio padre mi fece gli attrezzi giocattolo da bambini. Ho continuato da ragazzetto e pure dopo: se doveva spostare un mobile mi chiamava”» (a Paola Zanuttini).
• «Mio padre si metteva a raccontare nelle occasioni più varie, spesso nei giorni di festa, Natale o Pasqua, attorno al tavolo: non per scelta deliberata, ma perché si formava il contesto giusto, con un uditorio familiare che per tanti anni gli chiedeva: “Nino, raccontaci di quando ti ha sparato il tedesco… Raccontaci della cipolla in mezzo alla strada…”. In casa gli veniva riconosciuta questa qualità. Mio padre raccontava sempre in maniera diversa, aggiungendo digressioni e togliendo parti che in quel momento non gli sembravano interessanti» (a Paolo Di Stefano) [Cds 18/8/2009].
• «Da un certo momento in poi ho fatto mia anche la parlata di quelli da cui mi facevo dire storie di varia umanità o avventure di guerra, persone capaci di costruire vicende già di per sé teatrali, perché immaginano quello che dicono prima di riferirtelo, come un film vissuto. E ho preso a fare molto uso delle ripetizioni, che sono importanti per incidere le immagini. Dopo il primo amore per la chitarra elettrica la svolta ci fu coi corsi universitari di etnologia e antropologia, con la registrazione delle esperienze degli anziani di casa, finché trascorsi tre anni, dal 1995 al 1998, nel Livornese e in tutta l’Italia a fare teatro di strada, nei panni di uno Zanni romanesco, raccogliendo i soldi del pubblico col cappello. Canovacci miei. Cui seguirono gli spettacoli in proprio, per il pubblico sperimentale, finché il Teatro di Roma, in seguito a un concorso sul nuovo teatro indetto da Mario Martone, ospitò all’Argentina La fine del mondo e Luoghi della Memoria Radio Clandestina».
• «I racconti dei partigiani per lui sono così epici da evocare le gesta di Ettore e Achille. Sostiene che la cultura popolare italiana ha subìto un freno e un guasto alla fine dell’ultima guerra con l’avvento dei mezzi di comunicazione di massa. È un patito della tradizione orale, legata molto ai gesti, improntata a tutto meno che alle immagini. Ha cominciato a lavorare in pubblico dal 1998 per una trilogia sulla narrazione orale iniziata con Baccalà, il racconto dell’acqua, e conclusa nel 2000 con La fine del mondo, spettacolo coprodotto dal Teatro di Roma. Poi ha intrattenuto il suo pubblico con Radio clandestina che rievoca i fatti della capitale dalla fine dell’800 ai drammatici giorni del ’44 con l’azione a Via Rasella e la rappresaglia alle Fosse Ardeatine» (Rodolfo Di Giammarco).
• «È nato lì, con quell’esperienza, il mio approccio all’evento storico attraverso il lavoro sulla memoria orale. Mi sono accorto che la maggior parte delle persone raccontavano scene molto difformi tra loro e molto lontane da quel che davvero accadde: in genere attribuivano la colpa dell’eccidio ai partigiani molto più che ai tedeschi. C’era una vulgata anti-resistenziale. Dunque, io mi trovai tra due possibilità: ricostruire la realtà storica come fossi un professore di scuola media o tradire i fatti con una narrazione antistorica. Scelsi una terza via: raccontare attraverso le tante memorie contraddittorie, aderendo il più possibile alle testimonianze orali» (a Paolo Di Stefano) [cit.].
• Tra i suoi spettacoli più noti Fabbrica (2002), libro con cd audio pubblicato da Donzelli.
• «Quando, nel febbraio 2003, il raccontatore casalingo Nino Celestini muore, suo figlio Ascanio, che aveva registrato le sue storie, comincia a raccontare le vicende del padre sul 4 giugno 1944, il giorno della Liberazione di Roma. Ne sarebbe nato, l’anno dopo, lo spettacolo Scemo di guerra, dove c’è un nonno che fa la maschera al cinema Iris, sulla via Nomentana, e un padre che “giocava con i residuati bellici o si guardava il bombardamento di Centocelle dal muretto sotto casa sua, come un ragazzino qualunque guarderebbe i fuochi artificiali”» (Di Stefano) [cit.].
• Dopo aver portato in giro per quasi due anni lo spettacolo Appunti per un film sulla lotta di classe, è regista e sceneggiatore del film sui precari dei call center Parole sante, presentato anche alla Festa del Cinema di Roma. Contemporaneamente esce il suo primo disco, anch’esso intitolato Parole sante, dove sono raccolti, oltre ad alcuni inediti, anche le canzoni presenti negli spettacoli e nel documentario. Il disco ha ricevuto nel 2007 il premio Ciampi come “Miglior debutto discografico dell’anno”.
• Le “parole sante” sono «“quelle di chi si rifiuta di affondare cantando, come è successo sul Titanic. Quelle di chi non vuole un lavoro subordinato mascherato da contratto a progetto o un part-time a tempo indeterminato da 550 euro al mese. Se continuiamo a parlare di ‘precarietà’ come qualcosa di inevitabile, accettiamo una condizione di illegalità”. Nel film lei racconta il caso del call center Atesia, a Roma, tra scioperi, condoni, licenziamenti, azioni giudiziarie. “Abito lì dietro ed è il più grosso call center italiano. Per più di due anni ho seguito tutta la storia, ho fatto 30 ore di interviste. Ma non mi interessava fare una denuncia politica. Volevo mostrare la parte positiva: l’auto-organizzazione di un gruppo di lavoratori, nonostante l’assenza delle istituzioni tradizionali” Nel 2008 lei parla di lotta di classe. “Io non voglio la povertà diffusa, vorrei che tutti diventassero ricchi!”» (ad Alberto Pezzotta).
• Nel 2010 ha partecipato, in concorso, alla Mostra d’arte cinematografica di Venezia con La pecora nera, film da lui scritto, diretto e interpretato: «una storia sull’universo lontano e vicinissimo della contenzione: il manicomio, i matti rieducati dalla follia della marginalità coatta» (Malcom Pagani) [Fat 6/8/2010].
• Del 2011 sono il libro Io cammino in fila indiana (Einaudi ed.), raccolta di racconti, brani teatrali e testi televisivi, e lo spettacolo teatrale La fila indiana. Il razzismo è una brutta storia: «Questo è uno spettacolo atipico, non c’è una storia che lega i frammenti, ma solo un filo: sono racconti "in fila indiana" scritti negli ultimi 5 anni. Cerini che durano il tempo di una fiammata. Razzismo e paura, un binomio indissolubile. Ne parla in scena? Non siamo razzisti perché abbiamo paura, ma perché possiamo permetterci di fare paura a qualcun altro. Il razzismo è accettare di avere il coltello dalla parte del manico. È una questione di conflitto tra classi: l’africano che mi pulisce il vetro ha un posto inferiore al mio nella società, ma non è determinante il colore della sua pelle, ciò che conta è la differenza di classe» (a Livia Grossi) [Cds 30/5/2011].
• Nel 2012 ha allestito lo spettacolo teatrale Pro Patria. Senza prigioni, senza processi: «racconto delle rivoluzioni e delle loro sconfitte, dalla Repubblica Romana del 1849 alla lotta partigiana, fino al terrorismo degli anni Settanta. Tre “risorgimenti” uniti da un duplice filo rosso, la disfatta e la prigionia. Un monologo di cento minuti, il tempo necessario per il detenuto per preparare il discorso che dovrà tenere quando sarà di fronte al giudice: una memoria difensiva in cui i propri ideali s’incrociano con le tesi di Pisacane, Pellico e Mazzini» (Livia Grossi) [Cds 8/5/2012].
• Nel 2013 ha debuttato lo spettacolo Discorsi alla nazione: «Sul palco personaggi surreali, che “parlano come agiscono i nostri tiranni. L’atteggiamento violento della classe politica, che traspare mentre parla al popolo definendolo schizzinoso da educare, nello spettacolo si legge chiaramente. Nel monologo alterno voci pubbliche di aspiranti tiranni a voci private di cittadini sudditi, ma non migliori dei primi”» (a Daniela Morandi) [Cds 28/11/2012].
• «Concentrandomi su un freno da stringere, un copertone da sostituire o solo facendo esercizio fisico, mi vengono le migliori idee. Brecht racconta che, quando prendeva lezioni di guida, il suo insegnante gli suggeriva di fumare il sigaro: era un espediente per far sì che non fosse interamente concentrato sul volante. Anche io per stendere una pagina devo avere un’attenzione parziale» (a Mirella Serri) [Sta 7/8/2012].
• «Attore penoso che piace a tutti» (Alfonso Berardinelli) [Fog 13/9/2013].
• Sposato con Sara, hanno un figlio, Ettore, nato nel 2007.