Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  maggio 28 Lunedì calendario

Biografia di Adriano Celentano

• Milano 6 gennaio 1938. Cantante. Oltre 150 milioni di dischi venduti. «Mi dice se è una diceria anche la storia che la Rai le ha chiesto di partecipare al festival di Sanremo e lei ha detto: “Benissimo, però: devo fare (1.) il regista, (2.) il presentatore, (3.) il concorrente, e (4.) la giuria”. Poi ha aggiunto: “Non vi preoccupate del conflitto d’interessi, se c’è uno meglio di me lo faccio vincere”. È andata così? “Certo”» (ad Antonio D’Orrico).
• «E se quel giorno fosse andato a scuola, rimanendo, come qualche suo compagno, sotto le macerie della scuola bombardata? E se negli ultimi anni Sessanta Pierpaolo Pasolini fosse riuscito a trasformare Il ragazzo della via Gluck in un film? E se, vent’anni dopo, certi malintesi non avessero bloccato un disco epocale a tre voci con Lucio Battisti e Mina? Tre schegge di vita capitategli in periodi molto diversi. La prima è stata un colossale colpo di fortuna, con lui alle elementari che simula la febbre per non aver fatto i compiti: un raid aereo anglo-americano seminerà lutti e distruzione anche nella sua aula. Le altre due restano invece occasioni mancate che continuano a pesargli nel cuore. Non si sa se più quel progetto cinematografico tanto voluto (ma invano) dal regista-scrittore o la possibilità di unirsi, pure per un solo disco, ai due cantanti dai lui massimamente apprezzati» (Gian Luigi Paracchini) [Cds 27/6/2010].
Ultime In occasione delle Amministrative 2011, Celentano espresse pubblicamente grande apprezzamento per Giuliano Pisapia, candidato sindaco di Milano per il centrosinistra, confidando che avrebbe operato una netta svolta rispetto alla giunta Moratti, soprattutto in materia di politiche urbanistiche ed ecologiche. All’indomani del suo insediamento (1° giugno), affermò: «Credo che l’Italia si stia svegliando. Ci troviamo nel bel mezzo di un "grande inizio" che non poteva che venire dai milanesi. Pisapia e Grillo rappresentano oggi gli unici due pilastri su cui poggiare le basi per il grande cambiamento» (a Malcom Pagani) [Esp 2/6/2011]. E poi, ancora su Grillo e il suo Movimento 5 Stelle: «La battaglia che sta facendo Grillo è grandiosa. Credo veramente che lui stia tracciando il percorso di un futuro politico. Chiunque abbia un minimo di buon senso non può non condividere il suo programma» [ibidem].
• Il 29 novembre 2011, a quattro anni dall’ultimo disco di inediti Dormi Amore – la situazione non è buona, uscì il nuovo album Facciamo finta che sia vero, contenente 9 canzoni (otto brani originali e la reincisione de La mezza luna, del 1962), con collaborazioni e partecipazioni di artisti italiani e stranieri. Il 13 gennaio 2012 il primo singolo, Ti penso e cambia il mondo, scritto da Pacifico.
• In piena campagna di lancio del disco, la sua partecipazione, in qualità di ospite, al Festival di Sanremo 2012. Le prime polemiche iniziarono già nei mesi precedenti, per via delle inderogabili condizioni contrattuali imposte dal cantante alla dirigenza Rai, poi regolarmente accordate: tra le altre, la piena libertà di parola (pur «nel rispetto del codice etico»), la possibilità di scegliere in corso d’opera a quante e quali serate partecipare e, soprattutto, l’assicurazione che i suoi interventi non sarebbero stati interrotti da intervalli pubblicitari, a prescindere dalla loro durata; tra le più singolari, la richiesta che durante il Festival non si parlasse mai di pellicce e alcolici e che non si fumasse mai negli spazi dell’Ariston in cui sarebbe passato. Compenso previsto di 350 mila euro a serata, con un tetto massimo di 750 mila euro totali: in seguito alle prime critiche, dichiarò che avrebbe devoluto l’intera cifra in beneficenza (parte a Emergency, parte ad alcune famiglie particolarmente bisognose appositamente individuate dai sindaci di sette città italiane). Franco Bechis: «Sono affari suoi. Il costo per l’azienda, e quindi per i contribuenti poi chiamati a pagarne le perdite commerciali attraverso il canone, è immutato» [Lib 19/2/2012]. Famiglia Cristiana, invece, lo richiamò alla sobrietà evangelica, ricordandogli il passo di Matteo (6, 2) «Quando dunque fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te».
• La prima serata, il 14 febbraio, uno spettacolo nello spettacolo di cinquanta minuti: «Canzoni, monologhi, invettive. Contro la stampa cattolica, l’economia, Merkel e Sarkozy, il critico del Corriere Aldo Grasso. Attacca i preti: “Nei loro argomenti o nei dibattiti in tv non parlano mai della cosa più importante, del Paradiso, come se l’uomo fosse nato solo per morire”. Durissimo il suo attacco contro “giornali inutili come Avvenire e Famiglia Cristiana che andrebbero chiusi definitivamente: si occupano di politica”. Poi si rivolge a Montezemolo: “Montezemolo, devi fare un treno lento che si chiami Lumaca per far vedere le bellezze dell’Italia”. Poi si parla di politica, e la sua invettiva è contro la Consulta che ha bocciato i referendum per la nuova legge elettorale: “I promotori del referendum hanno raccolto un milione e 200 mila firme. La Consulta non ha esitato a metterle nel cestino”. Una battuta per il direttore generale della Rai, Lorenza Lei: “Come si chiama? Lei! Originale. È per prendere le distanze”. Attacca Merkel e Sarkozy che hanno imposto i tagli e hanno messo in ginocchio la Grecia: “Cinica e armata: è questa l’Europa che vogliamo?”. Chiude in musica» (Maria Volpe) [Cds 15/2/2012]. Seguirono innumerevoli polemiche e malumori, da parte di quelli che erano stati oggetto dei suoi strali (in primis Famiglia Cristiana: «Adriano Celentano è solo un piccolo attivista dell’ipocrisia, un finto esegeta della morale cristiana che sfrutta la tv per esercitare le sue vendette private») come di molti colleghi in gara (tra i più duri Lucio Dalla: «Non credo ci sia mai stato un Sanremo peggiore. È inusuale un cantante che s’improvvisa sociologo e per cinquanta minuti tiene in ostaggio l’Ariston, quando farebbe bene a cantare e basta»; più sarcastica Loredana Berté: «Noi abbiamo fatto il Dopofestival, Celentano il Festival») e del direttore generale Lorenza Lei («sermone inopportuno e inutile»), che il giorno seguente, dopo essersi scusata con le parti offese, commissariò di fatto lo spettacolo, inviando a Sanremo il vicedirettore Antonio Marano «a coordinare con potere di intervento il lavoro del Festival». Ernesto Galli Della Loggia: «L’abituale sproloquio narcisistico infarcito di offese e di vuotaggini del più tetro buonismo» [Cds 16/2/2012]. Aldo Grasso: «Non mi preoccupa Adriano, mi preoccupano piuttosto quelli che sono disposti a prenderlo sul serio. E temo non siano pochi» [Cds 15/2/2012].
• La sera della finale, il 18 febbraio, replica di ventisette minuti: prima di cantare due brani del nuovo album (uno dei quali, Ti penso e cambia il mondo, insieme a Morandi), Celentano, lungi dal chiedere scusa, accusò piuttosto giornalisti e commentatori di aver distorto e frainteso le sue parole, per poi ribadire sostanzialmente quanto affermato la prima sera. Questa volta però parte della platea lo contestò, producendosi in fischi e cori di «basta» (secondo la moglie e il Clan, orchestrati dalla Rai stessa). Mario Luzzatto Fegiz: «Per la prima volta nella sua carriera si è trovato di fronte a un dissenso clamoroso di una parte della platea dell’Ariston che lo ha colto chiaramente di sorpresa. Le grida non sembravano tanto riguardare i contenuti delle sue esternazioni, quanto proprio il suo ruolo su quel palco. L’espressione del Celentano stupito-seccato sarà difficile da dimenticare. Rivelava un uomo poco abituato ad essere contraddetto, da sempre circondato da yes-men, fin dai tempi del Clan. Ma c’è sempre, per tutti, una prima volta» [Cds 19/2/2012].
• Ottimi gli ascolti: sia per il primo intervento, seguito da oltre 14 milioni di spettatori (48,50% di share), comunque in linea con la media della serata, sia, soprattutto, per il secondo, che registrò picchi di quasi 17 milioni (68% di share), in corrispondenza del duetto con Morandi. Grasso: «Il Festival è stato evidentemente “cannibalizzato” da Adriano Celentano. Le serate che hanno catalizzato più pubblico sono state la prima e l’ultima. Qui s’evidenzia la distanza fra ascolto e gradimento: vedere “cosa accade a Sanremo”, “cosa dirà Celentano” è diventato rapidamente un “dovere sociale”. Il gioco funziona, attrae spettatori, ma resta un dubbio: era Sanremo o il Celentano show?» [Cds 20/2/2012].
• L’8 e il 9 ottobre 2012, l’Arena di Verona vide il ritorno sul palco di Celentano dopo diciotto anni di volontario esilio dai concerti dal vivo (l’ultimo era stato quello tenuto il 18 novembre 1994 al Forum di Assago, seguito da forti polemiche): l’evento, rifiutato dalla Rai, fu accolto entusiasticamente da Mediaset, che trasmise entrambe le serate in diretta su Canale 5 con il titolo RockEconomy. Ospite fisso Gianni Morandi, col quale Celentano si cimentò in numerosi duetti. Nel complesso, molte canzoni e qualche tirata soprattutto su ambiente, ecologia e crisi, in particolare sull’idea di «decrescita felice», con relativa lettura sul palco di brani degli economisti Serge Latouche e Jeremy Rifkin e un dibattito insieme all’economista Jean-Paul Fitoussi e ai giornalisti Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella. Grande successo, sia all’Arena sia in televisione: record di ascolti per Canale 5, con una media di circa 9 milioni di spettatori e uno share intorno al 32%.
• Il 19 febbraio 2013, a ridosso delle Politiche (24 e 25 febbraio), diffuse sul suo blog il brano inedito Ti fai del male, evidentemente inneggiante al movimento di Grillo: «Ah, mi vuoi dire per quale partito io dovrei votare? / Loro promettono solo bugie. (…) / Se non voti non cambia niente, / se non voti ritornano ancora, / se non voti ti fai del male. (…) / Però si dice in giro che fra i partiti c’è / c’è un’onda nuova che è partita dal niente, / e come una valanga / sta avanzando come un ciclone, / per abbattere il marcio della Nazione».
• All’indomani del voto, grande soddisfazione, e ottimismo, per la netta affermazione di Grillo: «Fin dai suoi primi interventi, ho subito visto in lui il seme del cambiamento. Lui ha incarnato la rabbia degli italiani, stanchi di essere spudoratamente manipolati per i loro sporchi interessi e giochi di potere in tutti i settori. Bersani, che ha vinto le elezioni ma non abbastanza, dovrà sedersi al tavolo con Grillo e vedere quali sono i possibili punti di incontro. Grillo non è un irresponsabile, appoggerà il governo qualunque forma abbia. Ma non potrà assolutamente retrocedere dai punti che riguardano il suo programma» (a Dario Cresto-Dina) [Rep 27/2/2013]. In giugno, però, gli entusiasmi si erano già raffreddati: «Essere grillino oggi non è come tre mesi fa. Quell’aria da “Salveremo il mondo” si è tramutata in un’aria più mesta da “Ma che cosa succede?”, se non “Ma che cosa abbiamo fatto?”. Una domanda che riporta al voto, al successo dei 5 Stelle supportato anche da tanti endorsement vip. A iniziare da quello di Celentano e Mina, i due grandi della canzone. E anche loro da qualche tempo si fanno più di una domanda. Insieme a loro una folla di perplessi, e molti preferiscono una ritrovata privacy sulle loro idee» (Maria Corbi) [Sta 13/6/2013].
• Il 7 settembre osservò, insieme alla moglie, la giornata di digiuno e di preghiera indetta da papa Francesco contro la guerra di Siria, data per imminente.
• In novembre, quando la giunta Pisapia deliberò la richiesta di vincolo paesaggistico per via Gluck, in quanto «legata all’alto valore di testimonianza storica, culturale e simbolica», Celentano, anziché apprezzare l’omaggio, colse l’occasione per polemizzare con l’amministrazione di centrosinistra, rea di aver tradito lo spirito di cambiamento e l’ispirazione ambientalista, operando scelte in linea con la precedente giunta Moratti. In quanto alla strada della sua infanzia, dichiarò: «Non sono affatto d’accordo che sia un bene da tutelare come area di notevole interesse pubblico. Questo lo si poteva dire una volta, quando la via Gluck era davvero un bene da tutelare, come quasi tutta Milano, per non dire l’Italia intera. Ma oggi no: la via Gluck è una delle vie più brutte d’Italia».
Vita Quinto figlio di Leontino e Giuditta Giuva, piccoli commercianti pugliesi immigrati a Milano, è nato davvero in via Gluck (n. 14): «In quella casa, con il cesso in comune sul ballatoio e i soldi che non bastano mai, Adriano arriva quando nessuno lo attende. “Questt ai fegghie di vicchie, adda murè”. Giuditta ha superato i quaranta, dietro alla vecchia Singer cuce la solidità economica della famiglia, e alla scaramanzia ha imparato ad anteporre la verità del dolore. Qualche anno prima, nel 1934, Adriana, la quarta figlia, è morta di leucemia. Così Adriano ne eredita il nome» (Pagani) [Fat 13/7/2010]. «L’Adriano bambino? “Era un po’ frignùn” dice di lui un altro Adriano, l’Adriano Redemagni, che in cortile tutti chiamavano “el boxeur” e a volte gliele suonava. “Ma va’ là, era un tosto”, fa il Gianprimo che abitava al 10. “Un gran fegatoso. Si tirava il fazzoletto sul viso, entrava qui dentro e si sparava tutta la fogna, al buio tra i topi, rispuntando in piazzetta”. Ma lo chiamavano anche terremoto (biografia ufficiale) e magna marìsc, alla lettera “mangiamoccio” (biografia rionale), visto che aveva qualche difficoltà con il fazzoletto» (Metello Venè). «Da Via Gluck, dalla quale la famiglia si trasferì nel 1948 per andare ad abitare in Via Correnti, Adriano non si separò mai. Anche quando il Boom disegnò una Milano diversa, ricoprendo con il calcestruzzo la visuale, il cordone rimase solido. Così Celentano prendeva il tram tutti i giorni durante l’adolescenza zingara per raggiungere gli amici di un tempo, e, quando “Giuditta mi tolse anche gli ultimi spiccioli per prendere il tram”, Adriano rispose con i piedi. Ore di cammino. Testa dura, anche allora» (Pagani) [cit.].
• Mamma Giuditta (in un’intervista di Alberto Ongaro pubblicata dall’Europeo nel 1968): «Studiare non gli piaceva. Pareva andasse a scuola soltanto per trovarsi con gli amici e per fare il pagliaccio. Quando lo interrogavano faceva quei discorsi strambi che ora fa alla televisione, diceva quelle cose senza senso che dice anche adesso. “Celentano vieni fuori”, gli dicevano. “Chi io?”, rispondeva, “io chi?”, si guardava attorno come se stesse cercando qualcuno e tutti ridevano. Insomma faceva spettacolo. All’oratorio idem. Un prete parlava e lui gli faceva il verso, faceva le prediche ai ragazzini come lui, come se fosse un prete: altro spettacolo e altre risate. Quello lì non può andare avanti tutta la vita a far ridere, mi dicevo, bisogna trovargli un mestiere». «Leontino saluta il mondo nel 1951 e così Celentano lascia la scuola, conosce prima il tornio e poi familiarizza con tubi e chiavi inglesi, poi le scintille proprie di ogni buon arrotino. Ma si annoia. E, se Adriano non si diverte, inizia un po’ a morire. Così, stipendio per stipendio, asseconda una vecchia passione» [Pagani, cit.]: affascinato dal ticchettio degli orologi, si fa assumere come aiuto orologiaio in una bottega di via Correnti.
• «Avevo un amico che lavorava in una ditta americana, mi disse: sai, a giorni arriva quella musica che sta spopolando in tutto il mondo, e a noi ci arriva cinque mesi prima. Io, ero scettico, perché non l’avevo mai sentita, però leggevo che i giovani sfondavano tutto nei cinema, che c’erano sempre tafferugli, non capivo, sembravano matti, ma ero anche curioso. Io a quell’epoca aggiustavo gli orologi in casa, non cantavo neanche, suonavo un po’ l’organetto a bocca, fischiettavo sì e no, ero fuori da qualsiasi orbita musicale, anche se in casa mia cantavano tutti. Bene, era d’inverno, e verso le sei di sera arriva questo mio amico, io ero al banco ad aggiustare un orologio, e senza neanche girarmi gli dico: mettilo su, avevo la testa china sull’orologio, lui ha messo a volume alto, guarda caso si chiamava L’orologio matto, e sono rimasto folgorato. Ho smesso di girare il cacciavite, alla fine ho tolto la lente, ero senza parole, mi dissi: adesso capisco perché succedono tutte queste cose, ci voleva. L’amico mi ha lasciato il disco, io ero come in trance, lo ascoltavo in continuazione, e ho sentito la necessità di impararlo a memoria e cantarlo, era come una malattia, una droga. Bill Haley la cantava in si bemolle, che non è la mia tonalità, e così non ci riuscivo. Mi sforzavo, ma mi sono sforzato così tanto che forse lì mi è aumentata l’estensione della voce. Alla fine l’avevo imparata talmente bene che gli americani pensavano che sapessi l’inglese, invece non lo so neanche ora. Gli amici della via Gluck per prendermi in giro, una volta che eravamo in un posto che si chiamava la Filocantanti, dissero che c’era un amico che conosceva il rock’n’roll, praticamente mi hanno sbattuto sul palco. C’era il gruppo che mi chiese: “In che tonalità?” E io: “E che cos’è la tonalità?”. “Insomma alto o basso, come la canti?” Poi dissero “noi partiamo e poi tu”. E io “no, parto io, perché il pezzo è così”, e l’ho cantata dall’inizio alla fine. Da quel momento la mia vita è cambiata, prima dovevo fare fatica per ballare con le ragazze, poi vennero loro a chiedermi di ballare».
• Nel 1956 il debutto ufficiale, all’Ancora, piccolo locale milanese, insieme ai Rock Boys, il suo primo gruppo. Poco dopo, il passaggio al Santa Tecla, molto più noto. «Era il 18 maggio del 1957, quando Bruno Dossena, campione del mondo di boogie woogie, organizzò il primo festival europeo del rock al Palazzo del Ghiaccio di Milano. Mi aveva sentito cantare al Tecla e volle a tutti i costi che io partecipassi, visto che, tra tante orchestre che vi partecipavano, io ero l’unico cantante rock. Però io ho pensato: ma io con quale orchestra canto? E allora, non sapendo cosa fare, anch’io misi insieme un gruppo: basso, batteria e chitarra erano i fratelli Ratti, tre strepitosi musicisti con cui avevo subito legato. Però ci mancava un pianista e uno dei fratelli mi parlò di un certo Enzo Jannacci che io chiamai immediatamente, era fortissimo, e poi aveva quella tipica follia che hanno i medici quando sbagliano le operazioni. Ancora adesso è così, eh?, ma allora era perfetto. Jannacci portò un sassofonista e così si era completato il gruppo dei “folli”. E non è vero che parteciparono anche Gaber e Tenco, come dice qualche male informato. Gaber io lo conobbi soltanto un anno dopo e Tenco addirittura tre anni dopo». Dopo le iniziali cover di brani americani (1958), di scarso successo, nel gennaio del 1959 uscì Ciao ti dirò, seguita a ruota da Il ribelle, la prima canzone di cui aveva scritto anche la musica. Il 13 luglio dello stesso anno vinse il Festival di musica leggera di Ancona con Il tuo bacio è come un rock, che nella prima settimana di uscita vendette ben 300 mila copie, scalando subito la classifica. Nel 1961 stava svolgendo il servizio militare, ma, ottenuto un permesso speciale dal ministro della Difesa Andreotti, poté andare a Sanremo con Ventiquattromila baci: cantò dando le spalle al pubblico, arrivò secondo, divenne famosissimo. «Da subito, a fine Cinquanta quando lambì i primi posti con Il tuo bacio è come un rock, lo chiamarono “Il Molleggiato”, in una versione italo-democristianizzata di “The Pelvis” (che era Elvis Presley): i fianchi infatti li scuoteva pure lui, d’istinto, con un corpo rimasto snello e nervoso fino ad ora che i decenni son passati e i capelli son caduti» (Marinella Venegoni).
• Nel 1956 anche il battesimo televisivo, nella trasmissione Primo applauso condotta da Enzo Tortora. Ancora prima di fare il cantante aveva provato a sfondare in Rai facendo l’imitazione di Jerry Lewis (respinto). Adesso quello storcer di gambe gli tornava comodo: saltava di qua e di là, muoveva le anche come un pazzo, urlava da spaccare i timpani. Claudio Villa, leader dei melodici: «Ma con una voce così bella perché fa tutto ’sto casino?».
• «All’inizio degli anni Sessanta, quando a fare i reportage per L’Europeo ci andava Oriana Fallaci, Sanremo ha lanciato gli urlatori, e soprattutto Mina e Celentano, che rappresentavano l’immagine anche fisica di una clamorosa innovazione di voci e di gesti, che importava un’America teppista» (Edmondo Berselli).
• Sempre nel 1961 creò il Clan, che pubblicò subito Stai lontana da me (versione italiana di Tower of strength di Bacharach) vincitrice nel 1962 del primo Cantagiro. Il Clan era nello stesso tempo casa discografica e comunità di amici (molti di questi amici, non troppi anni dopo, lo avrebbero mollato accusandolo di essere un despota insopportabile).
• A quel punto Celentano era stato scoperto anche dal cinema: il debutto nel 1959 con I ragazzi del juke-box, diretto da Lucio Fulci. Quello stesso anno Federico Fellini gli offerse una parte ne La dolce vita. «Su L’Europeo vide due pagine con delle foto di un giovane cantante, sfrenato e dinoccolato, che si esibiva allo Smeraldo di Milano scatenando un putiferio tra la folla di giovani che era andata ad ascoltarlo. Il suo nome era Adriano Celentano. Fellini rimase così colpito che disse a qualcuno dei suoi direttori di produzione di cercarlo: lo voleva incontrare subito a Roma. Aveva deciso di scrivere per lui una scena de La dolce vita. Adriano prese la "valigetta" e partì per Roma. Quando incontrò Fellini rimase, per la prima e forse unica volta della sua vita, senza parole. Sapeva chi era Fellini, e, proprio per questo, restò muto davanti a lui. Federico lo mise subito a suo agio, spiegandogli e mimandogli la scena che avrebbe voluto che lui interpretasse nel film. Adriano ascoltava attento, e quando Fellini gli disse che ci sarebbe stata anche Anita Ekberg, che avrebbe ballato e dialogato con lui, Adriano riuscì a dire solo una parola: “Urka!”» (Claudia Mori) [Rep 7/2/2010].
• Nel 1963 lo ingaggiarono per Uno strano tipo, diretto anch’esso da Fulci. Faceva la parte di un celebre cantante rock chiamato Adriano Celentano e tormentato da un sosia. Sulle scene, ad Amalfi, il primo incontro con Claudia Mori. «Cenano, parlano fino all’alba, non si sfiorano. Poi, nel silenzio di un grande albergo sulla costiera campana, squilla un telefono: “Sono Adriano Celentano e vorrei dirle che mi sono innamorato di lei”. Risposta laconica, l’unica possibile: “Anche io”» (Pagani) [cit.].
• Si sposarono nel 1964 (matrimonio notturno, segreto, a Grosseto). Lei è «figlia di un muratore comunista romano, quartiere Testaccio, “morto di troppo lavoro”. Popolana e bellissima. Le veniva attribuito un flirt con il calciatore oriundo Francisco Ramon Lojacono, che lei rivendica, ridendo, anche oggi, “un fusto pazzesco”. Adriano già divo incontrastato del rock all’italiana, Claudia attrice leggera in ascesa. Nessuno dei due timido. Il loro incontro fece faville, un amore intenso e burrascoso, da cinema. A suo modo, Celentano inventò (tra le mille altre cose) anche il primo reality show, senza bisogno di televisione. I suoi amici diventarono “il clan”, lui e Claudia “la coppia più bella del mondo”, la vita privata elaborata in saga canora, in spettacolo popolare» (Michele Serra).
• Gli anni Sessanta furono una sfilza di trionfi: Pregherò (versione italiana di Stand by me), Grazie, prego, scusi, Ciao ragazzi, Il ragazzo della via Gluck (1966), Azzurro (1968, di Paolo Conte), La coppia più bella del mondo (1967, ancora di Conte), Chi non lavora non fa l’amore (vincitrice al Festival di Sanremo del 1970), eseguite entrambe in duo con la moglie.
• Filosofia di Celentano a questo punto: ecologismo (Il ragazzo della via Gluck), Gesù (Chi era lui). Antipatia per il sindacato e gli scioperi (Chi non lavora non fa l’amore) e per la nuova generazione dei capelloni, quelli che stanno facendo il Sessantotto (Torno sui miei passi). Un rockettaro conservatore in un mondo che andava sempre più nettamente, specialmente sul piano del gusto, a sinistra. «Quando tirai fuori Prisencolinensinanciusol, un pezzo che ha preceduto il rap di dieci anni, in Italia non successe niente. Passarono sei mesi e mi chiamò la Cgd per dirmi che dovevo pensare a un nuovo pezzo da far uscire a breve, e io dissi, ma no il pezzo ce l’ho già, è già inciso. Come, risposero, hai già inciso il pezzo e non ci dici niente? Ma no, dico io, lo conoscete bene, è Prisen... Contemporaneamente arrivò dalla Francia uno di una radio libera, molto seguita dai giovani, dicendo che voleva comprare dei pezzi miei, e dopo averne ascoltati un po’ disse voglio questo, ed era Prisen. Il direttore artistico della Cgd gli spiegò che il brano in Italia non aveva fatto nulla, e lui disse, ok, ma io lo prendo lo stesso, lo mise in radio ed ebbe un sacco di richieste, e io allora – per contratto potevo farlo – ho imposto di ripubblicare il pezzo dopo un anno. Ha venduto un milione di copie, un milione in Francia, lo stesso in Germania e in altri paesi dove non sono mai stato».
• «In Francia e in Germania ci sono andato perché potevo arrivarci in macchina. Ma in America è diverso, mi arrivano ancora oggi offerte addirittura sconvolgenti, per quanto riguarda le cifre, ma non sono mai andato per paura di volare. Sono andato solo una volta in Russia, ma fu un’eccezione perché avevo fatto il film Joan Lui (su Gesù che ritorna ai giorni nostri) e ricevetti una lettera dal Cremlino in pieno comunismo, c’era Gorbaciov che era appena andato su, e la lettera diceva che erano interessati, allora mi dissi: a questo punto diventa una missione e quindi devo andare in Russia, non può cadere l’aereo, e infatti andai in aereo senza paura, e l’aereo barcollava tantissimo, c’era brutto tempo e alla fine ero io che tranquillizzavo gli altri, per me era un segno, quella volta l’aereo non poteva cadere. C’è stato un passaparola straordinario. In Russia, mi dicevano, circolavano migliaia di cassette clandestine con le mie canzoni».
• Dopo il bel successo di Serafino, di Pietro Germi (1968, con Ottavia Piccolo), gli anni Settanta furono quelli del cinema. In particolare: Er più (1971), Bianco, rosso e... (1972, con Sophia Loren e un’Alessandra Mussolini di nove anni), L’emigrante (1973), Rugantino (1973), Yuppi Du (1974, anche regista), Geppo il folle (1978, idem), Il bisbetico domato (1980), Innamorato pazzo (1981). Questi ultimi due con Ornella Muti.
• «Claudia Mori e Adriano Celentano. Una coppia affiatatissima, almeno all’apparenza. La coppia più bella del mondo. Poi a un certo punto fra i due compare, sui giornali specializzati in gossip, Ornella Muti, l’amante. È la fine? Passano alcuni mesi e la coppia Mori-Celentano si ricompone. Celentano torna all’ovile. Claudia Mori dimentica. La famiglia, la fede, l’amore sono più forti di tutto» (Claudio Sabelli Fioretti).
• Gli anni Ottanta – in calo i successi del cantante, dell’attore e del regista – furono quelli del boom televisivo. Celentano fu chiamato a condurre Fantastico 8 su Raiuno nel 1987-88. Il risultato fu enorme sia in termini di audience che di eco critica: Celentano rimaneva lungamente in silenzio davanti al video in modo insopportabile, poi pronunciava discorsi sconclusionati di contenuto ecologista o moralista o addirittura religioso suscitando lo scandalo soprattutto della sinistra. Giorgio Bocca lo battezzò «un cretino di talento», il resto dell’establishment culturale – compresi i Walter Veltroni, gli Enzo Biagi, gli Eugenio Scalfari che dopo il RockPolitik del 2005 gli innalzarono un monumento – lo fece a pezzi.
• Da allora, ogni arrivo di Celentano in tv è stato un evento (con gigantesche ricadute in termini di audience). Dopo Svalutation del 1992 (titolo mutuato da una sua canzone del 1976) e Francamente me ne infischio del 1999, grandi polemiche suscitò, già in fase di avvio, la trasmissione del 2001 che Celentano voleva ad ogni costo chiamare 125 milioni di cazzate. Intorno a questo titolo partì un’estenuante trattativa con la Rai: «Caro Adriano Celentano, trovo anch’io un po’eccessivo il titolo 125 milioni di cazzate. È meglio evitare un muro contro muro che non gioverebbe a nessuno. Io direi così: offrire 120, e poi accordarsi su 115. 115 milioni di cazzate. Così è molto più ragionevole» (Adriano Sofri). Il programma si chiamò poi 125 milioni di caz..te e sembrò un gran successo che si fosse salvata almeno una zeta. Nel 2005, RockPolitik: scenografia di Gaetano Castelli, tre sedie vuote che attendevano i censurati Rai di Silvio Berlusconi (Enzo Biagi, Beppe Grillo, Daniele Luttazzi), foto di Biagi e scritta con le sue parole: «Grazie per l’invito, ma non posso entrare nella rete che mi ha impedito di lavorare». Michele Santoro si dimise dall’Europarlamento per poter partecipare al programma. Celentano fece vedere una classifica dell’associazione Freedom of the Press, dalla quale l’Italia risultava al 77° posto nella graduatoria mondiale della libertà di stampa. L’atteso, tradizionale monologo delle 22.30 mise insieme bambini, ecologia, illuminismo, bruttezza e bellezza, eccetera. Tutto il programma giocò sulla distinzione tra ciò che era rock, cioè bello, e ciò che era lento, cioè brutto. Per esempio, il papa è rock, la politica è lenta: «L’idea di Rock/Lento è stata di Diego Cugia. Un’idea accolta gelidamente dal gruppo degli autori anche se in me, invece, si era accesa una piccola luce».
• Ascolti mostruosi: più del 47 per cento di share, undici milioni e seicentomila spettatori di media (15 milioni e mezzo per il duetto con Roberto Benigni), distribuiti tra tutte le fasce d’età, numeri che non si vedevano dal Fantastico 8 del 1987. Berlusconi rimase zitto per un paio di giorni, poi Bruno Vespa rivelò quello che pensava (frasi virgolettate che sarebbero state stampate nel suo prossimo libro): «Celentano non è un fatto nuovo, è dal 2001 che vengo attaccato ogni giorno dai comici della Rai, Serena Dandini, Sabina Guzzanti, Gene Gnocchi, Enrico Bertolino, Dario Vergassola, Corrado Guzzanti e altri che cerco di non tenere a mente». La sinistra difese Celentano definendo «nuove liste di proscrizione» i lamenti del premier. A destra, Giuliano Ferrara sciolse un peana a Celentano («Un vero, grande maestro»). Gianni Mura (la Repubblica): «Se la nostra libertà è tutelata da Celentano tanto vale chiedere asilo a Lugano». Ciprì e Maresco: «L’Italia è strana. Si fanno passare per paladini della libertà artisti straricchi come Benigni e Celentano, senza capire che i veri censurati non detengono il potere di un Biagi o Santoro» [Marco Olivieri, Ven (Rep) dicembre 2005].
• Ha poi raccontato l’esperienza di Rockpolitik in un volume a cura di Mariuccia Ciotta (poi condirettore del Manifesto) edito da Bompiani nel novembre 2006.
• Nel novembre 2006 lanciò un cofanetto in tre cd contenente 42 canzoni dal 1957 a oggi. Secondo la rivista Rolling Stones la raccolta ha venduto 500.000 copie.
• Il 2 dicembre andò da Fabio Fazio, innalzando il numero di spettatori del programma Che tempo che fa a 6 milioni 271 mila, share del 24,81%. Livelli mai raggiunti.
• Il 23 novembre 2007 uscì l’album Dormi Amore – la situazione non è buona. Il cd, prodotto dal Clan e pubblicato tre anni dopo il suo ultimo disco di inediti C’è sempre un motivo, conteneva 10 canzoni originali, collaborazioni e partecipazioni inattese anche con artisti stranieri. Venne anticipato il 5 novembre dal singolo Hai bucato la mia vita, scritto in coppia da Gianni Bella e Mogol.
• Lanciò come sempre il disco con una trasmissione tv: il 26 novembre, su Rai Uno, andò in onda La situazione di mia sorella non è buona. Solito boom di ascolti: 9.209.000 spettatori (32,29% di share). La sorella di 85 anni, visto lo spot in tv, immaginò che i figli e il fratello le nascondessero qualche malattia e si prese un grande spavento.
• Nel programma, attacchi alla Moratti e a Formigoni per la bruttezza di Milano. La Moratti rispose: «Milano è stata scelta da Shanghai come modello di riferimento urbanistico per l’Expo 2010». Il Pd lo difese.
• Un programma costruito con gli spezzoni delle sue apparizioni in tv e messo in onda da Rai Uno in occasione dei suoi 70 anni (5 gennaio 2008, titolo Buon compleanno Adriano) fece il 28,65% di share, risultando il più visto della giornata.
• L’8 marzo 2008, prima esibizione dal vivo dopo 14 anni: il giorno dopo l’Inter avrebbe fatto cent’anni e Celentano, alla fine di Inter-Reggina (2-0), entrò in campo con chitarra e sciarpa nerazzurra e intonò Ora sei rimasta sola con Massimo Moratti.
• Il 25 aprile aderì al V2-Day indetto da Beppe Grillo, inviando un videomessaggio ai manifestanti: «Quello che vuole dire Grillo è semplice: bisogna fare qualcosa prima che sia troppo tardi per controbilanciare con la verità le falsità che ogni giorno ci propinano. Stanno distruggendo la materia prima delle cose che custodiscono l’essenza dell’essere umano. E poi non è vero che Grillo è antipolitico o contro i governi: anzi, lui vuole dare una mano a chi si batte, per esempio per abbassare le tasse. Io sono con lui».

• Dopo l’assegnazione a Milano dell’Expo 2015 (vedi MORATTI Letizia), previde colate di cemento sulla città, catastrofi ambientaliste ecc. Il sindaco gli rispose: «Meglio che canti». Lo difese Milly Moratti: «Celentano dice quello che pensa la gente».
• Nel settembre 2008 prese posizione contro il parcheggio del Pincio (vedi ALEMANNO Gianni).
• Altri album da segnalare: il Mina-Celentano del 1998 (1.500.000 copie vendute), Io non so parlar d’amore (con Mogol e Gianni Bella, 1.800.000), Esco di rado e parlo ancora meno (con gli stessi, 1.200.000).

• Tre figli: Rosita (1965), Giacomo (1966), Rosalinda (1968). Tutti impegnati nel mondo dello spettacolo.
• Nel 1982 raccontò a Ludovica Ripa di Meana la storia della sua vita: Il paradiso è un cavallo bianco che non suda mai (Sperling & Kupfer). Altre biografie da tener presenti quella di Aldo Fittante Questa è la storia (Il Castoro 1997) e quella del nipote giornalista Bruno Perini, Memorie di zio Adriano (Mondadori 2010).
Critica «Ah, se solo cantasse! Invece parla, predica, incensa Romano Prodi. Inizia a cantare ma subito si ferma (cantus interruptus), se la prende con Casini, per via del nucleare che porta alla tomba ma poi regala uno spottone al premier. Adriano Celentano è un genio. La situazione di sua sorella (terra) non è buona ma la sua sì. Per questo ride e scherza. Ennio Flaiano avrebbe detto, la situazione è grave, ma non è seria. Nessuno come lui, infatti, sa trasformare una promozione in un evento. Gli altri, per farsi pubblicità, sono costretti a fare il giro delle sette chiese, a fare la questua per essere invitati da Fabio Fazio o da Ferrara, a umiliarsi nelle peggiori trasmissioni come fa il povero Bruno Vespa. Lui no: non solo ottiene un programma tutto per sé ma anche una sfilza di preziosi spot, pieni di fulmini e saette, che tirano la volata al cd» (Aldo Grasso).
• Vittorio Feltri: «Ha un intuito infallibile nel cavalcare le mode pseudoculturali. Nei suoi pistolotti vi sono le stesse ovvietà di cui sono infarcite le canzoni popolari: l’ecologia, i prati che non ci sono più, il cemento che avanza, la bontà del Signore, la fedeltà, l’amore, che è preferibile all’odio. Solo un genio riesce a dire tante sciocchezze spacciandole, grazie a un tono ispirato, profetico, per pillole di saggezza» [Pan 20/2/2012].
• Paolo Villaggio: «Le prediche di Celentano sono agghiaccianti, qualunquismo puro, a seconda di dove tira il vento» (a Giancarlo Dotto) [Sta 9/3/2009].
Frasi «Il comico più grande è Dio, dopo viene Gesù. È un essere simpaticissimo, un mattacchione, scherza e gioca sempre. Proprio come me».
• «Sono il re degli ignoranti».
• «La tivù è un cannone dal quale ciascuno spara i propri proiettili, e i bersagli siete sempre voi. Se volete cambiare programma fatelo pure, ma quali cazzate troverete che siano migliori di quelle che sto dicendo io?».
• «Per mia natura tendo sempre a parlare bene delle persone, e quando ne parlo male mi scopro sempre in ritardo. Lo faccio all’ultimo momento, quando proprio le ferite sanguinano» (a Malcom Pagani) [Esp 2/6/2011].
• «Dopo maree e riflussi, film, figli, canzoni, programmi e riflessioni, ha capito il segreto della vita? “Sì”» [ibidem].
Politica «Non sono mai stato né di sinistra, né di destra. Sono uno spettatore che sta alla finestra a guardare chi fa le cose meno peggiori».
• «Che si faccia passare Celentano per uomo di sinistra mi sembra ridicolo. Ha idee da primo Ottocento» (Enzo Iacchetti).
• «Quando Celentano nel ’66 cantò Il ragazzo della via Gluck (bocciata al primo turno) riuscì a vedere i problemi dell’urbanizzazione, ma anche l’anomia metropolitana, la desolazione di “case su case, catrame e cemento”. Ciò che per Adriano in seguito sarebbe diventato una fissazione, in quel momento festivaliero era un’intuizione. Ma lo stesso Celentano, che quattro anni più tardi canta con Claudia Mori la temibile Chi non lavora non fa l’amore, in cui il sesso coniugale è moneta di scambio e strumento di ricatto, reagisce all’autunno caldo con tutta la sua psicologia da maggioranza silenziosa, da incallito estremista di centro» (Berselli) [Esp 3/3/2005].
• «Berlusconi è partito dal niente proprio come me, perciò penso che sia un perfetto ragazzo della via Gluck». Anni dopo, però: «Anch’io, come tanti credo, fui preso all’amo da un’affabilità giocosa e simpatica, quindi lo votai se non altro per cambiare. Ma subito mi accorsi che il suo modo di pensare era distante anni luce dal mio. (…) Non ho mai creduto e non credo a un Berlusconi mafioso. Neanche se lo vedessi con in mano la lupara. Tuttavia la faccenda dello stalliere fu una delle prime cose per le quali cominciai a farmi delle domande. (…) Se decidi di entrare in politica, sottostai a un patto: prima di fare la comunione coi cittadini è assolutamente necessario mettersi a nudo e confessare i propri peccati. Berlusconi, purtroppo, ha fondato un impero sulla bugia» (a Malcom Pagani) [cit.].
Religione «Venivamo entrambi da famiglie modeste, e quando ci piombò addosso tutto quel successo, quella fortuna, Adriano cominciò a chiedersi perché proprio a lui, chi dovesse ringraziare. Ha cercato una risposta e l’ha trovata nella religione. L’ho seguito» (Claudia Mori).
• Strada religiosa «radicata fin dall’inizio, coltivata in tanti incontri al Centro San Fedele, dei Gesuiti, tradizionale appuntamento di dibattito ad alto livello, e culminata nel commosso incontro in Vaticano con Papa Wojtyla» (Paracchini) [cit.].
• «A meno di trent´anni Adriano era già un reazionario della Madonna, o meglio un tardivo microfono di Dio, dato che lui preferiva e preferisce rivolgersi al Padreterno, senza mediazioni femminili. Uno che mentre tutti noi ci facevamo crescere i capelli sulle orecchie, e ascoltavamo l´Equipe e i Rokes, ma anche i Profeti e i Delfini, oltre che il meglio e il peggio dell´Inghilterra e dell´America, lui cominciava con le prediche, e a dire che tre passi avanti e crolla il mondo beat» (Berselli) [Canzoni. Storie dell´Italia leggera, Il Mulino 1999].
• «Adriano Celentano è la prova che l’Italia ha sterzato nella modernità. È il boom economico e le città si sono espanse, accogliendo migrazioni bibliche dalle campagne. Il 1963 è l’anno in cui si fanno più figli. Il Concilio spiega le sue ali. Sono abolite le messe in latino. Celentano è il cattolico cittadino, che comincia a interrogarsi sulle contraddizioni anche ecologiche di quel rutilante sviluppo. Compone Chi era lui, lato B de Il ragazzo della via Gluck, tutto dedicato alla figura di Gesù, e Pregherò sulle note di Stand by Me» (Concetto Vecchio) [Rep 21/4/2013].
Tifo Interista. «Da bambino giocavo a calcio: ala destra. Ho fatto anche un provino, all’Arena, per entrare nei Pulcini dell’Inter. Ero andato anche bene, ma siccome non avevo voglia di studiare, mio fratello grande – era lui che mi faceva da padre, perché mio padre era morto – mi impedì di giocare per costringermi a stare sui libri. Così, alla fine, non ho giocato a pallone e ho continuato a non studiare...».
Vizi «Io la Claudia l’ho sempre considerata una cosa mia, che potevo toccarla, alzargli le vesti a bruciapelo, metterle una mano nel sedere. Anche in mezzo alla strada, in piazza, davanti agli altri, alzargli le cosce, che lei ha delle belle cosce, però che posso toccarle soltanto io». Lei: «Eravamo gelosi tutti e due. Io mettevo le minigonne e lui me le tagliava a brandelli».
• «C’è stata un’epoca, diciamo più o meno la metà degli anni Sessanta, in cui Adriano Celentano si improvvisò stilista e propose i pantaloni bicolori a zampa d’elefante: da una parte beige chiaro e dall’altra – all’interno – scuro; oppure azzurrini e blu. Il Molleggiato appariva in tv indossando l’originale capo di abbigliamento, tipo lanzichenecco. L’Adriano indossava anche un cappelluccio, ma più che per dettare una nuova moda era perché stava per essere travolto dalla calvizie e a nulla valevano i riporti a coprire la pelata, perciò meglio le coppolette e vari berretti. I pantaloni bicolori ebbero un parziale, effimero successo in qualche mercato del Sud, e si videro talvolta addosso a personaggi quasi patetici. Poi sparirono e caddero nell’oblio» (Maniglio Botti) [Rmfonline.it 13/7/2012].
• Ha paura non solo dell’aereo ma anche delle gallerie: quando si sposta, specialmente nelle zone di montagna, per evitarle è costretto a lunghissime deviazioni.
• Gli piace il poker.
• Quando i figli erano piccoli, tavola sempre apparecchiata per sei. Rosita: «Papà ci raccontava che il sesto posto era per Gesù».
• Vegetariano.