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 2012  maggio 28 Lunedì calendario

Biografia di D’Amico Suso Cecchi

(Giovanna) Roma 21 luglio 1914 – Roma 31 luglio 2010. Sceneggiatrice. In oltre mezzo secolo d’attività (esordio nel 1946 con Mio figlio professore di Renato Castellani) ha lavorato con i registi più importanti: Vittorio De Sica (Ladri di biciclette, Miracolo a Milano), Alessandro Blasetti, Luigi Zampa, Mario Monicelli (I soliti ignoti), Michelangelo Antonioni, Franco Zeffirelli. Per vent’anni fu la sceneggiatrice fissa di Luchino Visconti (Il Gattopardo, Rocco e i suoi fratelli, Bellissima, Senso). Negli anni Settanta cominciò a lavorare anche per la tv, soprattutto con adattamenti di romanzi: Le avventure di Pinocchio, Cuore, La storia. Leone d’oro alla carriera nel 1994 ha raccontato la sua vita e il suo lavoro nel libro Storie di cinema e qualcos’altro (Garzanti, 1996). «Sapevo battere a macchina con dieci dita, avevo studiato e lavorato come segretaria e interprete, conoscevo le lingue. Ero utile a mettere ordine nelle idee volanti dei miei amici».
• Figlia della pittrice Leonetta Pieraccini e del letterato e critico Emilio, personalità di spicco della borghesia intellettuale d’inizio secolo, che la introdusse alla cultura inglese e la iscrisse al liceo francese di Roma. Durante la guerra trovò rifugio nella casa di campagna dello zio, poi primo sindaco della Firenze liberata [Rep 31/7/2010].
• «Babbo era molto amato e rispettato, quando compì 80 anni – stava da me a Castiglioncello, lo ricordo sempre – fu una pioggia di telegrammi, di telefonate che lo innervosirono moltissimo. Disse: “Che cazzo! Pensano che sia bello avere ottant’anni?”».
• «I miei genitori erano persone libere da ogni condizionamento. Certo, c’era il regime fascista. Fino al 1938, però, c’erano anche spazi di libertà. Noi ragazze, io e mia sorella, studiammo all’estero: prima in Svizzera, poi a Cambridge. Tornai con una gran voglia d’indipendenza e mi cercai un lavoro: lo trovai al ministero delle Corporazioni, non ero neanche maggiorenne. Mussolini non era un incompetente come molti pensano oggi e nei posti chiave aveva messo dei tecnici, non dei fascisti. Tecnici, e per di più incorruttibili. Tutti controllati, spiati, intercettati. Da allora, sono diventata molto riservata. Una volta, Mussolini si sedette di traverso sulla mia scrivania e si mise in posa… Era galante, ma mi parve che portasse il busto e mi sembrò ridicolo. Fu allora, tra questi esperti di economia e finanza, che ho conosciuto Enrico Cuccia, di poco più grande di me. Parlavamo di libri, di cinema, andavamo alla birreria Dreher, non faceva sport e non alzava mai la voce. Ho ancora una sua foto, molto bellino, col ciuffo biondo, nel comodino: andò in missione in Etiopia e mi portò due volumi con l’ex libris del Negus. Siamo rimasti in contatto sempre. Gli incontri e le amicizie un tempo erano importanti, oggi tutti incontrano tutti. Tra noi, bastava mezza parola: un grande amico».
• «Io sono rimasta legata a una mentalità. Uno faceva le cose che lo appassionavano. Mi è rimasto questo vizio. Non mi sono mai considerata professionista, nel senso di fare un mestiere, perché ho fatto le cose che mi piaceva di fare. Non che mi sentissi “ispirata”, ma appartengo a quegli anni in cui abbiamo illustrato la società che stavamo vivendo. Tutti avevamo l’idea di partire da quello che avveniva. Questo non c’è adesso, forse a nessuno va di parlare di quello che succede, non ci piace».
• «Quando ho cominciato non ci veniva in mente di domandarci: avrà successo? L’atteggiamento è sempre stato: facciamo una cosa che ci piace e cerchiamo di farla bene. Con la consapevolezza, per quanto mi riguarda, di quello che sapevo fare. Magari poi il risultato non era quello che speravo, il punto di partenza però era sempre lo stesso».
• Su Antonioni: «Quanto ci siamo divertiti! Portava dialoghi che a lui sembravano normalissimi e io mi chiedevo: ma questi chi li dice? Avventure così belle è un pezzo che non mi capitano. Mi sono poi divertita a fare la commedia, in gruppo. Con Leo Benvenuti e Piero De Bernardi, con Age e Furio Scarpelli».
• «Avendo lavorato con tutti, io lo so. Si creano equilibri. C’è sempre quello più creativo, fantasioso, ma anche più dispersivo se non c’è l’altro. E non vuol dire uno più bravo dell’altro».
• «Ennio Flaiano scriveva pochissimo. Passato il momento dell’idea brillante non gli interessava più, non gli andava di fare il compito a casa».
• Su Ladri di biciclette: «Secondo Cesare Zavattini finiva che questo aveva cercato tutto il giorno la bicicletta, tornava a casa e non l’aveva trovata. Ecco perché Sergio Amidei si ritirò, e io entrai al suo posto. Io proposi: finisce che la ruba lui la bicicletta. Zavattini aderì solo per farmi contenta ma per me era fondamentale».
• «Con Monicelli nel comico e con Visconti nel drammatico, le mie esperienze migliori sono state tra amici».
• «Ero molto amica con Anna Magnani, anche un po’ vittima, la Magnani aveva bisogno di una vittima che le piacesse».
• «Lo sceneggiatore non è uno scrittore; è un cineasta e, come tale, non deve rincorrere le parole, bensì le immagini. Deve scrivere con gli occhi».
• Dal 2012 il Comune di Rosignano Marittimo (Li) ha istituito il premio Suso Cecchi d’Amico per la miglior sceneggiatura originale di un film italiano che abbia come protagonista una donna.
• «Fra i registi di oggi, penso che il migliore sia Nanni Moretti, l’unico che ancora mi incuriosisce un po’».
• Il matrimonio con il musicologo Fedele D’Amico (venuto a mancare nel 1990) è del 1938: «Il pomeriggio si giocava a tennis. Brava? Ero una tennista decente, del genere “Vieni a fare il quarto”. Loro, i d’Amico, erano solo maschi e frequentavano da tempo Castiglioncello. Quella nostra prima estate la madre annunciò ai figli: “So che vengono le bambine Cecchi. Comportatevi bene o sono guai”. Tra di noi non c’era simpatia; è finita che, addirittura, ho sposato Lele!». Tre figli: Masolino, Silvia e Caterina.
• «Lele era intensamente impegnato in politica. Con Adriano Ossicini e Franco Rodano erano i fondatori del gruppo dei cattolici-comunisti. Da allora, la direzione di sinistra, per me, è stata naturale. Come la fede e la frequentazione della chiesa, senza esagerazioni. Gli anni della guerra e dell’occupazione nazista sono stati difficili, ma fu un’esperienza di solidarietà meravigliosa. Mio suocero, Silvio D’Amico, fu arrestato praticamente senza motivo, insieme ad altri intellettuali. Io avevo i miei primi figli piccolissimi, cercavo di prendere le difficoltà con allegria. Non avevamo niente, neanche l’acqua, e così imponevo a tutti quelli che salivano a casa nostra, al settimo piano senza ascensore di via Cantore 17 - la casa del giornalista Paolo Milano, che, costretto a fuggire perché ebreo, ci aveva lasciato l’appartamento perché glielo custodissimo - di portare un fiasco pieno d’acqua».