28 maggio 2012
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Biografia di Giovanna Cau
• Roma 11 marzo 1923. Avvocato. Già staffetta partigiana, entra giovanissima nello studio forense fondato da Andrea Alatri e Berto Cortina, il primo della capitale ad occuparsi di diritto d’autore e cinema. Avvocato di Alberto Moravia, Marcello Mastroianni, Federico Fellini, Sofia Loren, Italo Calvino, Natalia Ginzburg, Luchino Visconti, Ettore Scola: «Il suo preferito, par di capire, era Mastroianni, che si affidava a lei anche per questioni private e considerava il suo studio come una seconda casa» (Aldo Grasso).
• «Marcello era il cliente più tenero e più affezionato dello studio, che veniva in queste stanze anche solo per passare il tempo, e per avere la scusa di rimanerci di più, faceva perfino servizi umili, come andare a comprare i tramezzini o il whisky, o andare ad aprire la porta, perché le segretarie erano tutte occupate al telefono».
• Licenza liceale al Tasso di Roma nel ’41, in tempo di guerra, e quindi senza esame finale: «Delle venticinque ragazze della mia sezione, solo io, mi iscrissi all’università. Io ebbi la fortuna che mio padre, al contrario di mamma, fosse uno spirito libero, funzionario del Bureau International du Travail, che, controllando da Ginevra il polso del mondo, si era reso conto dell’arretratezza sociale del nostro paese. Io, in verità, volevo fare architettura, che ancora adesso mi affascina molto, ma mio padre, chissà perché, tradì la sua consueta liberalità, ed essendo la prima di sette figli, decise che, come lui, mi dovevo laureare in legge, e mi iscrisse di imperio» (a Gianni Minà) [VivaVerdi, marzo 2007].
• Nel 1947 con Sergio Barenghi mette in piedi il suo primo studio, «una stanza tappezzata con carta da parati gialla, guarnita di pappagalli», in viale Adige, messa a disposizione dalla mamma di lui. Poi vicolo Sciarra per allargarsi «mi ero venduta tutto quello che avevo, perfino le monete d’oro che i parenti sardi, come consuetudine, mi avevano regalato per la laurea. Alla mattina andavo all’Assitalia, dove trattavano o archiviavano un sacco di cause che mi obbligavano a frequentare il Palazzo di Giustizia, e al pomeriggio andavo allo studio. Feci una bella gavetta, finché, nel 1955, Alberto Cortina, che già si batteva per un ordinamento più trasparente e onesto del diritto d’autore nel cinema, mi propose di unirmi a lui e ad Andrea Alatri, nello studio che avevano in Via Flaminia».
• «Speriamo che sia bbona» (così Marcello Mastroianni quando Alberto Cortina gli disse del nuovo associato donna).
• «Con Elena Gatti Caporaso, una cara amica, e con Laura Ingrao, la moglie di Pietro, demmo vita ad un Comitato per il voto alle donne, al quale si integrarono Rita Montagnana, la moglie di Togliatti, e inoltre Teresa Noce, Teresa Longo e Melina Scelba, sorella del Ministro dell’Interno democristiano, ma evidentemente più aperta di lui. C’era anche la moglie del liberale Lupinacci, una bella donna che spiccava nel gruppo. Riuscimmo a farci ricevere dal Presidente del Consiglio dei Ministri, Ivano Bonomi, che allora non stava a Palazzo Chigi ma al Viminale, perché, fino a quel momento, si parlava solo di concedere il voto amministrativo alle donne, non il voto politico. Per ottenere quell’appuntamento eravamo andate a disturbare anche il Comitato di Liberazione Nazionale, ed avevamo conosciuto Togliatti, Pertini, Parri, Nenni, che all’epoca si riunivano in un ufficetto a Via del Corso. La visita al Presidente del Consiglio divenne un atto ufficiale. Quando arrivammo, io, come sempre distratta dalla mia passione per l’architettura, mi attardai in quei grandi corridoi affrescati, dove davanti alle porte c’erano uscieri alti e belli, con giacche con le code, simili ai frac. E così, essendo rimasta indietro, mi toccò sentire due di questi prestanti uscieri commentare al passaggio delle donne del Comitato, “Ammazza che racchie!”. Credo che quella battuta mi abbia per sempre convinto che non potevo frequentare i luoghi della politica ufficiale. Non è un caso che tutte le compagne di quel gruppo siano in seguito diventate deputate o senatrici, meno io. Era destino che il mio futuro fosse quello dell’avvocato».
• «Nel mezzanino di via Romagnosi, dietro piazza del Popolo, dove ha cominciato la sua attività, e poi nello studio di via Principessa Adelaide in cui lavora ancora oggi. Racconta Tonino Guerra: “Si andava da Canova e poi da Giovanna Cau a sentire che aria tirava, perché si prendevano notizie sui film che si potevano fare. O anche per niente, per stare a riposo sul divano e semplicemente incontrarla, con la sua immancabile sigaretta”. Racconta, per la prima volta davanti a una macchina da presa, del rapporto con il padre, figura fondamentale nella formazione della prima di sette fratelli per le sue idee liberali, della lotta per il voto alle donne, a partire dalla costituzione di un comitato di cui facevano parte Nilde Iotti, Laura Ingrao, Rita Montagnana, dell’impegno successivo in favore dell’handicap, dell’avventura come consigliere comunale in età matura, con Veltroni. L’amicizia con Fellini, la tragica scoperta della morte di Pietrangeli, maestro di ritratti femminili, le serate con Ferreri, quelle passate al Comparone, mitico ristorante dei “cinematografari” in piazza Piscinula. Ma, soprattutto, l’affetto per Mastroianni, confidente di una vita, ospite immancabile dello studio, la sua seconda casa. L’amico fraterno raccontato ancora oggi al presente. E, una ad una, sfilano le foto dei volti di un cinema che non c’è più» (Chiara Gelato) [Paesesera.it 30/11/2011].
• Scola definisce la Cau, come quella donna «che faceva le sei del mattino al Festival di Venezia, dove non manca mai e alle otto con la solita grinta la si ritrovava a far colazione. Grande personalità, mastino feroce all’apparenza, dolce donna dentro». [Asi.it 5/11/2012]
• Giovanna Cau - Diversamente giovane di Marco Spagnoli, documentario che ripercorre la sua vita: «In prima linea in battaglie significative come quelle per il voto alle donne e per i diritti dei portatori di handicap. Davanti alla macchina da presa racconta se stessa, il suo lavoro, i ricordi, il cinema di ieri e di oggi» (Aldo Grasso) [CdS 14/03/2013].
• Politica A 80 anni, è stata per quattro anni Consigliere comunale del gruppo Ds al Campidoglio, impegnata nelle politiche culturali e di attenzione ai disabili. Nel 2007, capolista di “A sinistra per Walter Veltroni” nel centro storico di Roma, sbaragliò nientemeno che la ministra Giovanna Melandri. Alle elezioni per il sindaco di Roma (2013) appoggiava Alfio Marchini «prima di tutto perché è bellissimo e poi perché è un uomo onesto e simpatico».
• «Sono sempre stata politicizzata, in questi ultimi anni, che io ho ritenuto bui, qualche volta mi sarebbe piaciuto, e l’ho fatto, non dico prendere lo zainetto, ma magari una borsetta, per andare ad affermare certi principi».
• Per 30 anni compagna di Emilio Benincasa Stagni, psichiatra all’ospedale Santa Maria della Pietà e sodale di Basaglia, il protagonista della legge 180, che umanizzò la vita dei cosiddetti malati di mente, e chiuse i manicomi. «Non l’ho mai sposato, perché era già sposato con tre figli. Ma i suoi nipoti adesso mi chiamano nonna».