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 2012  maggio 28 Lunedì calendario

Biografia di Bernardo Caprotti

• Milano 7 ottobre 1925 – Milano 30 settembre 2016. Imprenditore. L’uomo che nel 1957 aprì in viale Regina Giovanna a Milano il primo supermarket italiano, proprietario di Esselunga, catena di supermercati tra le più profittevoli e consolidate al mondo (presente in 27 province sparse tra Lombardia, Piemonte, Liguria, Emilia Romagna e Toscana, nel 2012 contava 6,8 miliardi di fatturato, 145 punti di vendita, 20.200 dipendenti). «In questo mestiere si lavora anche di sabato e domenica».
• «Una specie di Enrico Cuccia della grande distribuzione» (Panorama).
• «Caprotti è di gran lunga il migliore nel suo campo: l’indice di produttività di Esselunga è di 2,51 contro l’1,38 del sistema Coop Italia, secondo in classifica» (Massimo Mucchetti nell’ottobre 2007).
• «Mi sono sempre sentito figlio e cittadino della Brianza, di quel particolare territorio che sta fra Monza e il lago di Como nel quale i miei vecchi per lunghi anni hanno tessuto e filato “cottoni”: così, nella corrispondenza di oltre 150 anni fa, loro chiamavano il cotone, giacché con l’industrializzazione l’inglese “cotton” venne a sostituire l’italiano bambagia, parola oggi incredibilmente dimenticata, usata già nel Milione di Marco Polo, anno 1298. Là, con alterne fortune, stringendo i denti nei periodi di magra, quando come ultime risorse rimanevano gli affitti delle terre e l’allevamento del baco da seta, ha operato per sei generazioni la mia famiglia. Mio padre, Giuseppe, era un “ragazzo del ’99”, apparteneva cioè a quella classe che, dopo Caporetto, fu mandata in guerra a 17 anni per rimpolpare le armate del re. Era educato “in tedesco”. Aveva cominciato a 10 anni come allievo dell’ancor oggi notissimo Rosenberg Institut di San Gallo in Svizzera, dove trascorse quattro anni. Sua nonna era tedesca e l’influenza tedesca e francese erano allora prevalenti in Italia. L’Inghilterra era tanto lontana. Da mio padre e da mia nonna Bettina ho imparato il culto della libertà, dell’indipendenza e la passione per le “visual arts”, architettura, pittura, grafica e... l’ossobuco fatto con un’ombra di acciuga».
• «Uomo di poche parole, freddo, egli si scioglie solo sulle cose che veramente lo interessano. Come appunto la Esselunga, sua grandissima – forse esclusiva – passione. Alla quale ha sacrificato anni or sono il figlio Giuseppe che, dopo essere stato amministratore delegato della società, venne licenziato per ragioni mai rese pubbliche. Per “lei”, la Grande Esse, pochi anni dopo l’inizio dell’avventura aveva rotto i rapporti anche con il socio e amico fraterno Marco Brunelli, col quale aveva deciso di tentare questa nuova attività lontana dalle tradizioni familiari: Marco figlio di antiquario e antiquario a sua volta, Bernardino erede coi fratelli di una dinastia tessile. Nel progetto essi avevano coinvolto Nelson Rockefeller che, proprietario di supermercati americani, poteva fornire il necessario know-how. Quando, avviata l’attività, Rockefeller decise di uscire dall’investimento, la sua quota venne acquistata da Caprotti e l’amicizia con Brunelli saltò per aria. Nessuno capì come andarono le cose, ognuno dei due amici accusò l’altro di averlo voluto imbrogliare. Bernardino, sostenne qualcuno, riuscì a volare a New York qualche ora prima di Marco. Una cosa è certa, la frattura fu sanguinosa. Perduta la Esselunga, Brunelli non si diede comunque per vinto e, dopo aver creato per la Sme le catene Gs e Unes, fu il primo a dare l’avvio ai grandi ipermercati situati nei centri commerciali fuori città. Oggi la sua Finiper, nel cui capitale è presente Carrefour, gestisce 25 ipermercati, raggruppa i marchi Iper, Unes, Ristò e Botanic e sta costruendo, intorno al centro commerciale già attivo al Portello (ex Alfa Romeo), un vasto quartiere residenziale. A sua volta, negli ultimi anni, Caprotti ha investito nell’immobiliare, comprando grandi aree edificabili nella cintura di Milano e in città. Insomma, benché divisi da quasi mezzo secolo, i due ex amici danno l’impressione di rincorrersi ancora l’un l’altro. Come padrone, Bernardino è un padrone all’antica, rigidissimo col personale che per anni l’ha temuto (convinto che da un momento all’altro potesse arrivare in incognito per controllare) e in perenne antitesi con il sindacato (tra gli esempi cui si ispira, l’americana Wall Mart). Ma rigido anche con se stesso. Narra la leggenda – che leggenda non era – che per molti anni cominciasse a lavorare alle sei del mattino per scegliere lui stesso le carni e controllare in prima persona le merci. Grandissimo lavoratore non fu però all’antica nell’impostare e plasmare la sua formula di supermercato che, ancora oggi, evolve e non è superata. Egli non solo fu artefice del primo supermercato d’Italia, dei primi esperimenti di private label, della spesa ordinata sul web ma, nel passaggio dalla lira all’euro, si mise subito dalla parte del consumatore e fu tra i primi, se non il primo, a introdurre una efficace politica di “calmiere” dei prezzi. Non a caso, molte signore romane invidiano alle milanesi la Esselunga» (Valeria Sacchi).
• «Classe 1925, da Albiate, Brianza. Bernardo Caprotti avrebbe potuto vivere da aristocratico faniguttun, fannullone. E invece, da giovane rampollo di una famiglia agiata qual era, dalle tradizioni imprenditoriali secolari, francese da parte di nonna, tedesca da quella di nonno, attiva nell’industria tessile e nel commercio del cotone (o meglio, del “cottone”, da “cotton” americano, da cui deriva, soppiantando l’indigeno “bambagia”, l’adattamento nella koiné brianzola), negli anni Cinquanta viaggia negli States e decide di applicare il suo spirito imprenditoriale alla grande distribuzione. Cosmopolita e poliglotta (grazie a suo padre che a metà degli anni Trenta aveva già capito tutto e gli diceva “la Germania perderà la guerra, vinceranno gli inglesi e tu studierai l’inglese”), Caprotti è una figura umana all’apparenza incerta ed esile, ma che in realtà ha la struttura della pietra e il culto del fare e far bene» (Luigi Amicone) [Tempi.it 24/1/2008].
• Da anni illazioni su un’imminente vendita del gruppo: «“Vendere? I quattrini non contano nulla, saranno sempre troppi. La questione è: a chi?”. Wall Mart? “È l’antitesi di Esselunga. È un discount del Mid-West: io non ho niente contro i negri, ma sono una fascia molto bassa, noi facciamo qualità”. Tesco, allora? “La vigilia di Pasqua, alle quattro del pomeriggio, l’agnello è già finito”» (Raffaella Polato). A novembre 2006 pubblicò su 37 quotidiani nazionali un’inserzione con la quale definiva «attenzioni indesiderate» l’interesse della Coop per il suo gruppo e rivendicava il diritto di fare ciò che voleva della propria azienda, quindi anche venderla ad acquirenti esteri, spiegando come la proprietà della grande distribuzione non implicasse la vendita di prodotti non italiani.
• Nel 2007 ebbe grande successo col libro Falce e carrello (Marsilio, prefazione di Geminello Alvi), «pamphlet al vetriolo contro le Coop rosse» (Paola Pica). Non percepì diritti d’autore, il ricavato di tutte le copie vendute nei negozi Esselunga fu donato all’Associazione per il bambino nefropatico. «L’accusa essenziale mossa da Caprotti alle Coop non sta tanto nel fatto che la tassazione pesa sul loro utile lordo al 17%, rispetto al 43% di una società commerciale come Esselunga. Chiunque attacchi solo per questo mostra di essere un somaro, perché l’agevolazione fiscale è legittima e anche giusta, se poi però il fine mutualistico viene osservato. Non tutte le Coop infatti attuano la mutualità allo stesso modo. Nella Conad ad esempio i soci della cooperativa sono gli imprenditori che gestiscono i punti vendita, ma a quel punto la mutualità – che si identifica nel “ristorno” ai soci, cosa diversa dal profitto – deve identificare beni e servizi prodotti ai propri soci non secondo una logica di prezzi inferiori a quelli di mercato, bensì in una differenza complessiva, nel bilancio d’esercizio, tra prezzo pagato e costo effettivo. Quando invece la vendita del bene o del servizio da parte di una cooperativa avviene a fronte di soci dipendenti o consumatori che dovrebbero “toccare con mano” la mutualità attraverso minori prezzi rispetto a quelli di mercato, come dovrebbe avvenire alla Coop, il problema che si pone è che tale mutualità probabilmente è negata e violata, quando i prezzi si dimostrino invece addirittura superiori a quelli del concorrente privato, e caratterizzati da una logica tanto più di cartello territoriale, quanto meno al concorrente privato viene consentita l’apertura di esercizi nell’area limitrofa. È questo, il punto di fondo sollevato da Alvi e Caprotti: le autorizzazioni mancate a Esselunga in Emilia, Toscana, Umbria e Romagna, sfociano in prezzi delle Coop ancor meno vantaggiosi per i consumatori locali, di fatto prigionieri di un cartello. Ed è questa, l’unica vera accusa che in nome del mercato bisogna ringraziare Caprotti di lanciare a testa bassa, offrendo casi e documenti concreti» (Oscar Giannino).
• Dopo l’uscita del libro la Coop Italia lo querelò: «Il libro, pubblicato nel 2007, racconta la competizione con la Coop, denunciando un presunto ostruzionismo delle amministrazioni locali e degli operatori economici delle regioni “rosse” rispetto all’espansione della catena Esselunga. A settembre (2011, ndr) la prima sezione civile del tribunale di Milano aveva accolto il ricorso presentato da Coop Italia contro Caprotti e il suo saggio, ordinando (oltre a un risarcimento di 300 mila euro) anche la sospensione della distribuzione del pamphlet. Il motivo? La “pubblicazione, diffusione e promozione degli scritti contenuti nel libro Falce e carrello integrano un’illecita concorrenza per denigrazione ai danni di Coop Italia”. Ora (dicembre 2011 – ndr), nuovo round, nuovo atto. La prima sezione civile della Corte d’Appello di Milano ha ordinato la sospensione dell’esecutività della sentenza di primo grado. Di conseguenza il libro può tornare liberamente sul mercato in attesa della decisione di secondo grado [...] Nell’aprile 2010 il patron di Esselunga ha vinto nei confronti di Coop Liguria, nella primavera del 2011 ha vinto contro Coop Estense, poi c’è stata la decisione del tribunale di Milano. Nel 2012 sarà la volta della sentenza d’appello a Milano e del primo grado della causa con Coop Adriatica» (Emanuele Buzzi) [Cds 24/12/2011].
• Nel marzo 2008 ha acquistato pagine a pagamento su alcuni giornali dopo che era stata diffusa la notizia dell’aggressione subita in un suo supermercato da una cassiera autrice di una denuncia per mobbing: «Una manovra di media e sindacati».
• Inserito in una possibile cordata italiana per il salvataggio di Alitalia, si è presto sfilato dal progetto: «Un personaggio non certo sospetto di simpatie a sinistra. Ha definito Alitalia un’azienda gloriosa ma decotta» (Gad Lerner).
• Nell’aprile 2013 ha regalato alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano un dipinto di Cristo (acquistato all’asta da Sotheby’s per oltre 400 mila dollari) del suo omonimo Gian Giacomo Caprotti, allievo di Leonardo.
• L’11 settembre 2013 ha scritto una lettera al Corriere della Sera sulle difficoltà di fare impresa in Italia e per annunciare che, nel 2014, a 43 anni dalla domanda del permesso, riuscirà ad aprire un Esselunga di là d’Arno a Firenze: «Per realizzare un punto vendita occorrono mediamente da otto a quattordici anni. Ma per Legnano ventiquattro; mentre a Firenze forse apriremo l’anno prossimo un Esselunga di là d’Arno, una iniziativa partita nel 1970! Così, ultimamente, abbiamo cancellato ogni nuovo progetto. Ecco, caro direttore, la pallida risposta di un’azienda che di problemi ne ha troppi, che si avventura ogni giorno in una giungla di norme, regole, controlli, ingiunzioni, termini, divieti che cambiano continuamente col cambiare delle leggi, dei funzionari, dei potenti. Uno slalom gigante con le porte che vengono spostate mentre scendi. Un’azienda affondata nelle sabbie mobili italiane».
• Nel dicembre del 2014, dopo una battaglia cominciata 13 anni prima, ha ottenuto di poter aprire un supermercato a Livorno, unica città toscana in cui Esselunga non era ancora presente: «Gli store di Caprotti in Toscana erano 29 e solo a Livorno non erano ancora approdati. (…) la battaglia era cominciata 13 anni fa. Nel 2010 sembrava cosa fatta. Il gruppo stava per acquistare un terreno dalla famiglia Fremura. Offrì 40 milioni di euro, contro i 30 di Unicoop, che stranamente vinse. Caprotti allora comprò uno spazio su tutti i quotidiani italiani facendo scrivere: “Coop ha appena acquistato l’unico sito disponibile per un supermercato da 2.550 metri quadrati nella città di Livorno, terreno per anni trattato da Esselunga”. I Fremura archiviarono in fretta la questione dicendo che in realtà l’accordo era stato fatto prima con Unicoop, ma Caprotti specificò che Legacoop, Conad e Coop a Livorno avevano il 72,2% delle proprietà dei supermercati. Stessa cosa a Modena, dove le cooperative rosse, secondo i dati, nel 2010 ricoprivano l’88,1% delle superfici di vendita. Caprotti, tenace fino in fondo, ha continuato a combattere fino a che non l’ha avuta vinta. Ma per averla vinta gli è servito un cambio di rotta nella città tra le più rosse d’Italia» (Chiara Giannini) [Lib 24/12/2014].
• «Lavora sempre, allora come oggi e continua a pranzare tutti i giorni nella mensa dei dipendenti. Non ama ostentare il lusso. Non è mai stato coinvolto in procedimenti penali, nonostante abbia gestito operazioni urbanistiche e immobiliari delicatissime: “Mai pagato tangenti, ho sempre detto di no”. Con i politici ha un rapporto difficile. Qualche incontro con i socialisti della Milano da bere, rari colloqui con Silvio Berlusconi: nel 1993 ha però finanziato la Lega e più tardi Forza Italia. È rigoroso con se stesso e con il personale, detesta i sindacati e i comunisti. Ha poche passioni. I quadri: alla collezione di famiglia ha aggiunto capolavori di vedutisti veneti, come Canaletto e Bellotto. L’architettura: ha commissionato a grandi maestri le sue strutture, che segue nei dettagli. E la caccia assieme ai suoi cani prediletti» (Gianluca Di Feo e Carlo Nanni) [Esp 14/12/2012].
• È gesuita: «Perché, non si vede? Sono sempre stato gesuita e (sorride, ndr) sono contro i salesiani perché ho un nemico in Emilia-Romagna che è stato educato dai salesiani» (Amicone, cit.).
• Vive in un palazzo nobiliare di tre piani (ma solo uno è abitato), con cortile e fontana, in una strada alle spalle della Scala, a Milano.
• Si è sposato due volte. Due figli dal primo matrimonio: Giuseppe e Violetta, e una dal secondo: Marina Sylvia. «A loro, nel 1996, cede tutte le azioni dell’Esselunga, in parte in modo integrale, in parte girando ai tre soltanto la nuda proprietà dei titoli, dei quali conserva l’usufrutto. E proprio Giuseppe sembrava destinato a succedergli sul trono dei supermarket. La sua gavetta è lunga: da direttore degli acquisti dal 1993 ad amministratore delegato nel 2002. Giuseppe cerca di dare una svolta al gruppo e migliora i profitti. [...] La sorella Violetta si fa anche lei le ossa nel delicatissimo settore degli acquisti [...]. Mentre il padre resta onnipresente e vuole l’ultima parola su tutto, conservando la presa sull’intera azienda. Nel 2004, però, Giuseppe viene messo alla porta assieme ad altri dirigenti, alcuni storici, altri di più fresca nomina. Violetta resta invece in Esselunga, si schiera con il papà e rompe con il fratello, come se quello delle liti fosse un destino di famiglia. [...] Nei mesi successivi Bernardo avvia una trattativa per cedere l’Esselunga al colosso Usa WalMart. E chiede ai figli di restituirgli una piccola quota (l’8,6 per cento) del capitale, formalmente sempre intestato a una fiduciaria. I tre, probabilmente, continuano a credere nel fiuto per gli affari del genitore e accettano. Ma la cessione agli americani salta. Qui si arriva alla cronaca degli ultimissimi anni. Nel 2010 sembra che Bernardo tenti di liquidare Violetta, che resiste. Quando nel luglio salta pure il vicepresidente Paolo De Gennis, che aveva esordito con la gestione Rockefeller, la figlia capisce che troppe cose stanno cambiando senza le necessarie spiegazioni. E per la prima volta torna a parlare con il fratello. Ma è tardi. Nel febbraio 2011 tutte le loro quote azionarie cambiano intestazione: Giuseppe e Violetta lo scoprono quando smettono di ricevere le comunicazioni formali della fiduciaria. Papà li ha buttati fuori, senza nemmeno avvisarli. Come i loro zii trent’anni prima, i due si sentono ingannati: secondo loro, il padre li ha traditi e ha violato le regole societarie. Chiedono un sequestro d’urgenza delle azioni ma perdono. Il fondatore, ancora una volta, è deciso: le azioni sono sue, quella di Giuseppe e Violetta era un’intestazione fittizia. C’è un arbitrato, che si chiude con un risultato ambiguo: è vero che le azioni erano dei figli, ma Bernardo poteva riprendersele in virtù di una procura che i ragazzi avevano firmato 15 anni prima. Di sicuro, però, Giuseppe e Violetta qualcosa hanno ereditato dal padre: la stessa determinazione. Hanno fatto ricorso in Corte d’appello contro l’arbitrato e intentato una causa civile per tornare in possesso della quota di Esselunga» (Gianluca Di Feo e Carlo Nanni, cit.).
• Alle 16.30 del 5 ottobre 2016, il notaio Carlo Marchetti ha aperto e letto il suo testamento: alla seconda moglie Giuliana Albera e all’ultimogenita Marina Sylvia, tramite donazione in vita, va congiuntamente il 70% circa di Supermarkets Italiani, la holding della catena fondata nel 1957. A ciascuno dei figli di primo letto, Giuseppe e Violetta Caprotti, come lascito testamentario, va il 15% della cassaforte della catena di supermercati. «Una soluzione, quella contenuta nelle ultime volontà di Caprotti che risalgono al 9 ottobre 2014, che dà una linea di continuità all’azienda, rafforzando gli attuali vertici – il presidente, Vincenzo Mariconda, e l’ad, Carlo Salza – e tutta la prima linea. Il cda della holding, riunitosi in mattinata, ha deciso “di non dar corso, allo stato, ad operazioni relative alla controllata Esselunga”. Insomma, la catena non è più in vendita, ora e chissà per quanto: se non altro perché, con la presenza comunque rilevante di Giuseppe e Violetta nell’azionariato, per decidere una cessione i due rami della famiglia dovranno scendere a patti. Con buona pace dei fondi Cvc e Blackstone che già avevano presentato manifestazioni di interesse per comprarsela. Il quadro è stato completato con la nomina del presidente della Supermarkets Italiani. A Caprotti succede Piergaetano Marchetti, notaio a sua volta e padre del notaio custode della successione. Ma il testamento, ovviamente, non si è limitato alla sola Esselunga, che da sola vale attorno ai 6 miliardi. Giuseppe quanto Violetta hanno avuto una compensazione nella suddivisione con il patrimonio immobiliare riunito ne La Villata Partecipazioni, per un valore non distante da un altro miliardo di euro. Anche qui, con una donazione in vita, Caprotti ha lasciato il 55% alla moglie e alla figlia Marina, sempre “in via tra loro congiunta”. Ai due figli maggiori andrà il 22,50% ciascuno. Una sostanziale divisione equa tra i figli per il cespite che, in vita, Caprotti considerava “la cassaforte di famiglia per almeno un paio di generazioni, la tranquillità, la sicurezza”. E poi ci sono la liquidità, gli investimenti, oltre alla ricca pinacoteca. Una metà dei risparmi del patron di Esselunga finiscono ai cinque nipoti, ovvero ai tre figli di Giuseppe, più Andrea e Fabrizio, figli del fratello Claudio, socio di Bernardo quando prese il via l’avventura dell’Esselunga. L’altra metà dei risparmi? Non senza una certa sorpresa andranno a Germana Chiodi, la storica assistente del “Dottore”, entrata in azienda nel ’68 e ancora oggi responsabile della segreteria di direzione, e che da anni supporta anche Giuliana Albera e la figlia Marina. Già in vita si dice avesse ricevuto 10 milioni in donazione. Ora il carico da novanta che ha lasciato molti a bocca aperta. Ci sono poi i quadri, una vasta collezione per lo più distribuita in famiglia. Più alcuni altri, sembra un paio, di gran valore che inizialmente – a quanto si racconta – avrebbero dovuto prendere la via del Pac, il Padiglione di Arte Contemporanea. Qualche incomprensione di troppo tra Caprotti e gli uomini del museo e i due quadri prenderanno il volo: andranno a Parigi a rendere ancora più ricca la già nutrita collezione del Louvre» (Francesco Spini) [Sta 6/10/2016].
Politica «Esselunga ha sempre finanziato i candidati di Forza Italia con bonifici di 20 milioni di lire, stiamo parlando degli anni che vanno dal 1996 al 2000, e tra i beneficiari si trovano anche l’allora sindaco di Milano, Gabriele Albertini e l’attuale ministro Mario Mauro: entrambi, però, hanno mollato il Cavaliere per il professor Monti. Una volta sola, nel 2002, Caprotti stacca un assegno a suo nome di 200 milioni di lire per Forza Italia: l’anno prima la controllata Orofin ne aveva dati 500. Anche i centristi di Casini (Ccd) sono nelle grazie di Caprotti, che contribuisce con 210 milioni di lire in due rate» (Alessandro Ferrucci e Carlo Tecce) [Fat 13/5/2013].