28 maggio 2012
Tags : Serafina Cannatà
Biografia di Serafina Cannatà
• Polistena (Reggio Calabria) 8 agosto 1968. Magistrato. Sostituto procuratore di Gela, impegnata contro l’Eni per le emissioni inquinanti provocate dal petrolchimico cittadino. Nell’agosto 2008 le hanno bruciato il portone di casa (tipico messaggio mafioso).
• «Si è occupata a lungo della difficile frontiera della tutela dell’ambiente, che da queste parti vuol dire soprattutto inquinamento industriale e abusivismo edilizio. C’era la firma del pm Cannatà sulla richiesta di chiusura del petrolchimico, per l’utilizzazione del pet-cocke, ritenuto rifiuto e non combustibile, fino a quando un decreto legge del governo Berlusconi ha sanato la questione» (Salvo Palazzolo).
• «Sono già otto anni che lavoro qui nella procura di Gela e ho i titoli per chiedere il trasferimento in un’altra città, in un’altra procura magari meno disagiata di questa. Ma io che ho vissuto, vivo e lavoro ancora in questa città, fianco a fianco ai miei due, ripeto due, colleghi pm, e con un capo motivato nonostante le difficili condizioni ambientali, come potrei mai fuggire? Potrei mai abbandonarli? Come farebbero, in tre, a gestire una procura che ha centinaia di inchieste, e anche molto delicate?».
• «Romana d’origine, da otto anni ha scelto di lavorare dove famiglie mafiose e stiddari – il vecchio clan dei pastori – si ammazzano per il controllo del territorio, degli appalti, per ogni singolo affare da spremere o sgarro da vendicare. Ma il pm Cannatà deve la sua fama soprattutto alla chiusura temporanea del Peltrolchimico, 3 mila posti di lavoro targati Eni. Ci riuscì per pochi giorni a marzo del 2002. Quando ormai era chiaro che "il mostro", con i suoi miasmi chimici, stava mietendo vittime su vittime. Nella falda, sotto lo stabilimento, c’erano 44 mila tonnellate di gasolio colate dai serbatoi». (Niccolò Zancan, La Stampa, 31 dicembre 2008).
• A metà ottobre 2013 ha chiesto, insieme alla collega Elisa Calanducci, il rinvio a giudizio per 38 indagati di diverse società del gruppo Eni che hanno operato all’interno del sito industriale della raffineria di Gela: amministratori delegati, direttori, responsabili del servizio di prevenzione e protezione, responsabili-amianto. Nei loro confronti è ipotizzato il reato di lesioni personali gravi e, in due casi, la morte dei lavoratori. L’inchiesta è scattata dopo le denunce di molti operai colpiri da asbestosi, patologia legata all’esposizione da amianto. Due di loro sono deceduti dopo avere contratto il mesotelioma pleurico, patologia tumorale anch’essa legata in maniera pressoché esclusiva all’amianto [Cdm, 15/10/2013].