28 maggio 2012
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Biografia di Susanna Camusso
• Milano 14 agosto 1955. Sindacalista. Dal 2010, segretario generale della Cgil (rieletta l’8 maggio del 2014 con l’80,5% dei consensi). «Il nostro è un sindacato conflittuale» [a Giovanni Di Lorenzo, Esp 4/1/2013].
• Vita Ultima di quattro sorelle, nacque in una famiglia borghese (il padre, Lorenzo, direttore editoriale di Vallardi e Mondadori e collaboratore di Adriano Olivetti; la madre, Giulia, psicologa) e coltivò studi classici, fino all’iscrizione alla facoltà di Lettere classiche della Statale di Milano. «Comincia a fare sindacato a 20 anni coordinando le politiche del diritto allo studio (le 150 ore) per gli operai metalmeccanici dell’allora federazione unitaria Flm. Siamo nel pieno degli anni Settanta, e Susanna Camusso affianca all’impegno sindacale la militanza nel movimento femminista e nel partito socialista. Si costruisce insomma un profilo da intellettuale. Nel 1980 entra nella segreteria della Fiom-Cgil di Milano, poi in quella della Lombardia e infine, nel 1993, nella segreteria nazionale, dove rimane fino al 1997, quando viene costretta a lasciare dall’allora leader della Fiom, Claudio Sabattini, col quale erano entrati in rotta di collisione anche gli altri segretari riformisti, Cesare Damiano, Gaetano Sateriale e Gianpiero Castano, pure loro estromessi dalla segreteria. A rilanciare Camusso fu poi Sergio Cofferati, promuovendola nel 2001 a segretario generale della Cgil lombarda. Dove è rimasta fino al giugno 2008, quando Epifani l’ha chiamata nella segreteria confederale affidandole le deleghe decisive dell’industria e della contrattazione, facendo così capire di puntare su di lei per la successione» (Enrico Marro) [Cds 5/5/2010].
• Il 3 novembre 2010 è stata eletta segretario generale della Cgil dal Consiglio direttivo del sindacato (con il 79,1 % dei consensi: 125 voti su 158), dopo essere stata di fatto designata dal segretario uscente Guglielmo Epifani, che in giugno l’aveva promossa vicesegretario vicario.
• Tesi, fin da subito, i rapporti con la Fiom (l’associazione dei metalmeccanici Cgil) di Maurizio Landini, che già aveva attivamente contrastato la sua elezione. Il primo dissidio si ebbe in occasione della vertenza per la Fiat di Pomigliano d’Arco: il 31 dicembre Cisl, Uil, Ugl e Fismic siglarono con Sergio Marchionne (ad Fiat) l’accordo già raggiunto il 15 giugno e approvato una settimana dopo dal referendum dei lavoratori (produzione della Nuova Panda da parte di una nuova società non iscritta a Confindustria; investimento da 700 milioni di euro; 4.600 nuove assunzioni), che la Fiom invece aveva rifiutato e rifiutò ancora di sottoscrivere, con la conseguenza di non avere rappresentanti nello stabilimento; Landini parlò subito di «attacco alla democrazia», ma la Camusso provò a smorzare i toni, sostenendo che a certe condizioni la Fiom avrebbe dovuto riconoscere l’accordo, aprendosi la strada alla rappresentanza. Altre frizioni in occasione del referendum per lo stabilimento Fiat di Mirafiori (13 e 14 gennaio 2011), riguardante l’accordo (produzione di suv a marchio Alfa e Jeep da parte di una nuova società non iscritta a Confindustria e un miliardo di investimenti, con una stretta su assenteismo e produttività) raggiunto il 23 dicembre tra Marchionne e i sindacati Fim, Uilm, Fismic e Ugl, ma rifiutato da Fiom e Cobas: al referendum vinse il «sì» (con il 54,05% dei voti: 2735 su 5119), e la Fiom fu dunque estromessa dalla rappresentanza nello stabilimento; anche in questa occasione la Camusso caldeggiò una “firma tecnica” da parte di Landini, ma ancora invano.
• Il 28 giugno 2011 Cgil, Cisl, Uil e Confindustria sottoscrissero un accordo unitario (il primo dal 2007) su rappresentanza sindacale e validità dei contratti. «La Camusso – le va riconosciuto – si è mossa con intelligenza e tempismo rimettendo così la Cgil al centro della scena ed evitando un ulteriore (e forse decisivo) scivolamento verso il bipolarismo sindacale. Con Cisl e Uil che marciano ormai in tandem, la Cgil rischia ad ogni occasione di rimanere isolata, e prima di rompere la pur fragile unità d’azione ci deve pensare diverse volte: la riforma della contrattazione (2009) è stata sottoscritta con la Confindustria solo da Cisl-Uil e gli ultimi contratti nazionali del commercio, del pubblico impiego e dei metalmeccanici hanno seguito lo stesso copione. L’operazione “rientro” non sarebbe riuscita se la Camusso non avesse trovato la sponda di Emma Marcegaglia, desiderosa di riconquistare quello spazio che l’iniziativa tambureggiante di Sergio Marchionne le aveva oggettivamente limitato» (Dario Di Vico) [Cds 29/6/2011]. Dure critiche dalla Fiom, che giunse a chiedere le dimissioni della Camusso, accusandola di essersi arresa alle esigenze della Fiat: il segretario Cgil replicò chiarendo che l’accordo non era retroattivo, e quindi non avrebbe coperto la Fiat rispetto ai contratti già stipulati.
• Il 9 luglio partecipò, a Siena, all’incontro nazionale del movimento femminile “Se non ora, quando?” nel nome del rispetto della dignità delle donne, nato qualche mese prima sull’onda del cosiddetto caso Ruby.
• Il 4 agosto, in uno dei frangenti più difficili della crisi economico-finanziaria, le parti sociali presentarono all’esecutivo (il Berlusconi IV, ormai periclitante) un documento congiunto per il rilancio dell’economia mediante riforme strutturali. «Tutte le 36 parti sociali hanno detto sì, compresa – un po’ a sorpresa – la Cgil di Susanna Camusso, pronta addirittura a sacrificare la fin qui molto insistita richiesta di una patrimoniale, pur di arrivare a un testo condiviso. E pronta ad accettare anche un paragrafo che, come ha poi detto a margine dell’incontro Camusso, la Cgil non condivide, quello delle privatizzazioni» (Il Foglio) [5/8/2011]. Pochi giorni dopo, però, in controtendenza rispetto agli appelli alla coesione del presidente Napolitano e persino all’atteggiamento più dialogante del Pd di Bersani, la Camusso indisse per il 6 settembre uno sciopero generale contro la “manovra di Ferragosto” che il governo andava allestendo. «Purtroppo non c’è niente da fare, è un errore nutrire illusioni sulla cultura politica della dirigenza Cgil. Alla fine per il segretario Camusso la logica del pas d’ennemi à gauche vince sempre: per decidere si guarda alla Fiom, e non al Paese» (Di Vico) [Cds 24/8/2011].
• Particolarmente acceso fu lo scontro con il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi sull’articolo 8 della manovra, in forza del quale gli accordi sindacali aziendali avrebbero potuto derogare ai contratti nazionali e alle leggi in materia di organizzazione del lavoro, compresi i licenziamenti: rappresentato come una sorta di attentato all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, volto anzitutto a ridimensionare la Cgil e favorire la Fiat di Marchionne, la sua portata fu di fatto neutralizzata il 21 settembre dalla ratifica definitiva dell’accordo del 28 giugno tra Cgil, Cisl, Uil e Confindustria, grazie all’aggiunta di una apposita postilla («Confindustria, Cgil, Cisl e Uil concordano che le materie delle relazioni industriali e della contrattazione sono affidate all’autonoma determinazione delle parti») che disconosceva l’autorità del governo di legiferare in materia. Ne conseguì, il 3 ottobre, l’uscita della Fiat da Confindustria, peraltro aspramente stigmatizzata dalla stessa Cgil (e, soprattutto, dalla Fiom).
• Molte furono comunque le occasioni di scontro tra la Camusso e Sacconi. «Parlando delle accese polemiche sulle nuove, e per ora presunte, regole per i licenziamenti, Sacconi aveva evocato il rischio di un nuovo terrorismo, dicendo: non ho paura per me, poiché sono protetto, ma temo per le persone che si occupano di riforme del lavoro. Come era accaduto a Marco Biagi e a Massimo D’Antona. La replica della Camusso era stata sprezzante: o il ministro ha le prove di quel che dice, oppure stia zitto. (…) La signora Camusso ha bollato Maurizio Sacconi così: “È il peggior ministro del Lavoro nella storia della nostra Repubblica”. Brutto modo di ragionare, quello della compagna Susanna. Stia attenta a non risultare lei il peggior segretario della Cgil nella storia italiana. Si ricordi di un suo grande antenato: Luciano Lama. Lui esprimeva con tre parole la prima regola di vita per un sindacalista: “Chi tratta, vince”. E non disertava mai i tavoli di trattativa» (Giampaolo Pansa) [Lib 1/11/2011].
• Non andò meglio con il successivo governo presieduto da Mario Monti, e in particolare con il nuovo ministro del Lavoro Elsa Fornero, la cui azione, soprattutto agli inizi, fu improntata a provvedimenti emergenziali (denominati «salva Italia») volti ad affrontare il momento più drammatico della crisi economico-finanziaria. Se Monti mostrò subito scarso interesse per i riti della concertazione, la Fornero, dopo aver varato senza consultare le parti sociali un’incisiva riforma del sistema pensionistico (tanto contestata da riuscire a ricompattare Cgil, Cisl e Uil nell’indire per il 12 dicembre il primo sciopero unitario dal 2005 – limitato, però, a tre sole ore), giunse addirittura a mettere in discussione l’articolo 18, affermando che «non ci sono totem» e proponendo «un contratto unico, che includa le persone oggi escluse e che però forse non tuteli più al 100% il solito segmento iper-protetto» (a Enrico Marro) [Cds 18/12/2011]. Immediata, e furibonda, fu la reazione dei sindacati: la Camusso, in particolare, definì l’articolo 18 «una norma di civiltà». «Lo scontro ha toni talmente violenti (Camusso e Fornero hanno continuato nella polemica) che Napolitano è intervenuto ieri invitando tutti alla calma: uno degli obiettivi del governo Monti – obiettivo dichiarato dallo stesso premier – è quello di far decantare le precedenti polemiche all’ultimo sangue contro Berlusconi» (Giorgio Dell’Arti) [Gds 21/12/2011].
• La riforma Fornero del mercato del lavoro, dopo un paio di mesi di discussione tra governo e parti sociali, fu presentata al Parlamento il 20 marzo 2012: la Cgil l’accolse annunciando 16 ore di sciopero. La Camusso si rivolse direttamente ai parlamentari: «Non votate queste norme perché non portano crescita ma un’espulsione di massa dai posti di lavoro che durerà molti anni. Siamo davanti a un governo che scarica su lavoratori e pensionati tutti i veri costi delle operazioni che vengono fatte».
• Il 13 aprile Cgil, Cisl e Uil attuarono uno sciopero generale unitario di otto contro la riforma previdenziale. «Il governo ha fatto una riforma delle pensioni sbagliata e deve avere il coraggio di fare un passo indietro: o troverà una soluzione previdenziale per tutte le categorie degli esodati o i sindacati proseguiranno la mobilitazione. Diciamo al governo che, se non si salva il Paese, non si salvano gli italiani. E gli italiani sono i lavoratori» (la Camusso il 13 aprile in piazza Ss. Apostoli a Roma, al termine del corteo).
• Il 21 novembre la Cgil rifiutò di firmare il protocollo d’intesa sulla produttività (rafforzamento della contrattazione aziendale, più meritocrazia e più flessibilità, con un investimento statale di 2,1 miliardi per la detassazione degli stipendi), patrocinato dal governo e sottoscritto invece da Cisl, Uil, Ugl e Confindustria: nelle parole della Camusso, «l’accordo è deludente, e coerente con la politica del governo che scarica sui lavoratori i costi e le scelte per uscire dalla crisi». «Susanna Camusso ha adottato una tattica oscillante: nei giorni del rush finale prima ha fatto sapere orgogliosamente che non avrebbe firmato, poi invece è sembrata voler guadagnare tempo sostenendo che il testo era sbagliato ma si poteva correggere. L’eterno vorrei-ma-non-posso che affligge i numeri uno di corso Italia» (Di Vico) [Cds 22/11/2012]. «Forse il problema interno più spinoso per Susanna Camusso non è la Fiom, ma la Cgil. Il suo centralismo è ormai in contrasto con la realtà del lavoro. Questa cultura politica tende a salvaguardare le ragioni delle burocrazie sindacali a scapito delle ragioni dell’innovazione sociale» (Michele Magno) [Fog 22/11/2012].
• Il 25 novembre, in occasione delle elezioni primarie della coalizione di centrosinistra, la Camusso prese apertamente posizione per Pierluigi Bersani, attaccando duramente il suo contendente Matteo Renzi: «Se vincesse Renzi sarebbe certamente un problema: le sue proposte sul lavoro sono molto distanti dalle nostre, e sono un problema per il Paese» (a Lucia Annunziata). Replica dall’entourage renziano: «Se il segretario della Cgil vuole fare politica, raccolga le firme e si candidi alle prossime elezioni».
• In dicembre si schierò contro la candidatura alle elezioni politiche di Mario Monti, parlando di «uso elettorale della propria funzione»: «Trovo istituzionalmente discutibile che un governo tecnico nato senza consenso popolare utilizzi le politiche fatte da quel governo per fare campagna elettorale».
• Il 25 gennaio 2013, al Palalottomatica di Roma, di fronte allo stato maggiore di Pd e Sel, la Camusso presentò il suo “Piano del lavoro” (stesso titolo di uno storico documento presentato nel 1949 a Genova dall’allora segretario Cgil Giuseppe Di Vittorio), sorta di agenda economica proposta al governo che a breve sarebbe uscito dalle urne (dando quasi per certo, come la maggioranza degli osservatori in quel periodo, che a guidarlo sarebbe stato Bersani, del cui esecutivo la Cgil si preparava a essere uno dei maggiori azionisti): «un piano da circa 50 miliardi di euro all’anno per creare nuovi posti di lavoro. In questo piano proponiamo un pacchetto di investimenti da suddividere in alcuni settori che consideriamo cruciali: edilizia scolastica, banda larga, trasporto pubblico, innovazione manifatturiera, green economy e potenti opere di bonifica sul territorio» (a Claudio Cerasa) [Fog 23/1/2013].
• All’indomani del voto, constatata l’insufficienza numerica della coalizione di centro-sinistra, si disse contraria a ogni ipotesi di larghe intese, e favorevole invece a un allargamento della compagine di governo al Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo: «C’è bisogno di risposte. Penso che il voto abbia detto che c’è un partito che ha preso il maggior numero di voti e un secondo partito che è M5S, e quella è la volontà degli elettori». «Dal voto la Cgil esce con le ossa rotte. I suoi iscritti hanno infatti clamorosamente voltato le spalle al Pd e a Sel. Le stime devono ancora essere affinate, ma un dato è chiaro: Susanna Camusso e Maurizio Landini hanno scosso l’albero della protesta sociale dura e pura, il movimento del comico genovese ne ha raccolto i frutti» (Magno) [Fog 20/3/2013].
• Il 24 aprile la Cgil ratificò l’accordo che aveva rifiutato il 21 novembre, dopo averne sostanzialmente depotenziato la portata, con la complicità di Confindustria e degli altri sindacati: nel documento finale, infatti, «compare l’impegno a rispettare, sempre e comunque, “gli obblighi di contrattazione previsti dal Ccnl (Contratto collettivo nazionale di lavoro – ndr) applicato in azienda”. Si dice “sì” alla contrattazione aziendale e territoriale, insomma, ma sempre con la possibilità di invocare le regole nazionali in caso di dubbio o contestazione» (Marco Valerio Lo Prete) [Fog 4/5/2013].
• Il 22 giugno Cgil, Cisl e Uil tennero a Roma una grande manifestazione unitaria («la prima dopo dieci anni»), dal titolo “Lavoro è democrazia”: «La priorità deve essere una restituzione fiscale a lavoratori dipendenti e pensionati. Al Paese servono risposte rapide che lo aiutino a uscire dalla crisi. I provvedimenti del Governo non vanno bene: sono continui annunci che non si traducono in un vero cambiamento» (la Camusso in piazza S. Giovanni, al termine del corteo).
• In vista delle primarie del Pd (8 dicembre), la Cgil, presagendo la vittoria di Renzi, non espresse ufficialmente preferenze fra i tre candidati (Matteo Renzi, Gianni Cuperlo e Pippo Civati); non è tuttavia un mistero che la grande maggioranza del sindacato parteggiasse di fatto per Cuperlo, e anzi Carla Cantone, capo dei pensionati della Cgil, invitò esplicitamente a votare per lui, destando notevoli polemiche all’interno della confederazione. «Una delle poche cose che Renzi ha ripetuto più volte è che non si farà ingabbiare dalla logica della concertazione, il che a sinistra equivale a negare un diritto di veto alla confederazione rossa. Questa caratteristica blairiana della segreteria di Renzi inquieta la Cgil, il che spiega la riluttanza di Camusso a riconoscere a Renzi il primato e a sottolineare che la partita per la candidatura a premier resta aperta» (Il Foglio) [13/11/2013].
• Gelido, all’indomani della vittoria di Renzi, il commento della Cgil, affidato a Vincenzo Scudiere, segretario organizzativo e braccio destro della Camusso: «Siamo sopravvissuti a Berlusconi, sopravviveremo anche a Renzi se dovesse decidere di esacerbare il confronto».
• Critica «Era tanto simpatica. Me l’hanno fatta fuori. Ma dov’è finita? Una bella tusa così cattiva...» (Emilio Riva a Stefano Lorenzetto).
• «Con quella bella e autorevole faccia, poteva essere il leader laburista di una coalizione sociale (domani, chissà, politica) in grado di rimettere con i piedi per terra il paese martoriato da crociate ideologiche. Si era dichiarata come una sindacalista tosta, orientata a reintrodurre il mestiere di negoziare e battersi per il miglioramento delle condizioni di vita e di salario dei lavoratori, poi va da Saviano a leggere elenchi grotteschi, va al Palasharp a fiancheggiare i neopuritani, va in piazza ad agitare l’astratta bandiera della dignità femminile con toni retorico-moraleggianti. Che peccato. Che delusione. Un’altra come tanti» (Giuliano Ferrara) [Fog 15/2/2011].
• Frasi «Non sono mai stata comunista. Per una stagione sono stata iscritta al Psi. Sino a quando non ne uscii dichiarando che avrei voluto iscrivermi alla Spd» [ibidem]. «Io sono sempre stata lombardiana, come mio padre» (a Stefania Rossini) [Esp 2/12/2010].
• «Che madre pensa di essere stata? Una madre che si è sentita dire dalla maestra dell’asilo: “Guardi che sua figlia dice che i sindacalisti abbandonano i bambini”. Del resto lei mi aveva già chiesto: “Come mai gli altri bambini hanno il papà che va via e non la mamma?”. Come rispondeva? Tenendomi i sensi di colpa, e raccontandomi la favola bella che non è la quantità del tempo che conta, ma la qualità. Più tardi, sono stata più brava a gestire l’adolescenza» [ibidem].
• «L’unica cosa che mi dispiacerà quando smetterò di lavorare è di non aver fatto altri figli, di non essere al vertice di una grande famiglia» [ibidem].
• Vizi Sin da quando è ragazza, ama andare in barca a vela: non avendone una, l’affitta.
• «Le canne me le sono fatte, ero alla fine del liceo scientifico, ma non le fumavo a scuola. Ero incapace di rollarle da sola e ho smesso rapidamente perché non mi sono molto divertita».
• Rifiuta categoricamente di truccarsi: «Nessuno mi deve toccare, neanche quando vado in tv. Mi sono truccata una sola volta in 55 anni ed era per una festa di Carnevale» [a Stefania Rossini, cit.]. Non supera mai il tacco 5.
• Lettrice appassionata, soprattutto di gialli: autrice preferita Agatha Christie («e preferisco Miss Marple a Hercule Poirot»).
• Separata dopo 15 anni di matrimonio con Andrea Leone (giornalista Ansa), primo amore del liceo ritrovato anni dopo in mezzo a un’assemblea dei metalmeccanici Fiom. Hanno una figlia, Alice, laureata in Lettere classiche alla Normale di Pisa.