28 maggio 2012
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Biografia di Roberto Cammarelle
• Milano 30 luglio 1980. Pugile. Medaglia d’oro alle Olimpiadi di Pechino (2008), in finale vittoria per ko contro il cinese Zhang Zhilei; Medaglia d’argento alle Olimpiadi di Londra (2012), sconfitto ai punti dal padrone di casa Joshua, medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Atene (2004), campione del mondo dilettanti 2007 (categoria Supermassimi). «Tre medaglie olimpiche in tre Olimpiadi non ce l’ha nessuno. A Rio non ci sarò ma sono già entrato nella storia...».
• Genitori lucani, il padre Angelo, insegnante di educazione fisica poi trasportatore, è di Rionero in Vulture, la madre Giovanna di Filiano: «Ho sempre cercato di ostacolarlo, gli dicevo che al primo brutto voto gli avrei tolto i guantoni. È andata a finire che si è diplomato ragioniere ed è diventato campione del Mondo e, ora, anche olimpico».
• «L’undicenne Roberto da Cinisello Balsamo, che da tifoso della Juventus si era dilettato con il calcio nel ruolo di attaccante, avrebbe potuto aggredire i suoi 73 kg da ragazzone impacciato in mille modi diversi. E invece, sulle orme del fratello Antonio e della comune adipe, bussa alle porte del Boxing Club Rocky Marciano: il destino in un nome. Per un anno il giovane Cammarelle si limita alla ginnastica, ma non appena il maestro Biagio Pierri gli infila i guantoni, si illumina di fronte a quel diamante grezzo: lo imposta in guardia destra, come insegna la scuola cubana, perché i colpi arrivano più puliti e impressionano di più le giurie. Roberto è un ragazzo introverso che in palestra comincia ad apprezzare l’amicizia degli altri. Intanto mena con successo e si butta sui libri da ragioniere con profitto, cosicché nel 98 è il miglior pugile-studente della Lombardia: “Uno dei miei titoli più belli, l’intelligenza che vince insieme alla forza”. Diventerà una griffe personale, almeno sul ring: “Il mio sport insegna l’autocontrollo, non le botte a occhi chiusi, lo scontro fisico non risolve niente, è la tecnica ad aprire tutte le porte”. Approda in nazionale, da peso massimo (91 kg) e comprende in fretta come la pratica possa travolgere la teoria: agli Europei di Tampere del 2000 perde al secondo turno dall’ungherese Garai, mai più sentito né prima né dopo, perché nell’ultimo round becca tre punti gigioneggiando con la guardia abbassata. Ma la categoria gli sta stretta: fatica a rimanere nel peso, non ha rapidità e mostra una scherma prevedibile. Qualcuno gli consiglia di piantarla, lui torna da Pierri e il vecchio mentore lo rigenera. Il segreto è in un salto: dai massimi ai supermassimi, dove la sua velocità si trasforma in un’arma non convenzionale. Agli Europei di Perm del 2002 dà spettacolo, in finale contro l’idolo di casa Povetkin rimane in parità fino a 30” dalla fine e va sotto per un paio di colpi dubbi. Finalmente la luce di una stella, che in azzurro è già diventato leader mostrando le sfaccettature di un carattere complesso: “Sono introverso, chiuso, ma in gruppo divento un motivatore, perché se nella boxe non sdrammatizzi tutto diventa più duro”. È carismatico ma controllato, gli piacerebbe studiare psicologia perché “scoprire il carattere degli altri è affascinante, parola di un solitario che ha imparato a socializzare attraverso lo sport”. Dal 2001 al 2004 perde solo 4 volte, tutte con Povetkin, eppure c’è la sensazione che mentalmente soffra i match dell’ultima chiamata. Ma ha una schiena a pezzi per due ernie, la seconda nel 2003 che lo costringe a due mesi d’ospedale: Roberto ha la colonna vertebrale che si accorcia, la muscolatura perde elasticità e così non può camminare a lungo, tanto che in Cina ha dovuto rinunciare alla visita alla Grande Muraglia. Ad Atene, poi, lo avevano accompagnato anche problemi di cuore, con una tormentata storia d’amore finita prima dei Giochi. Eppure vinse il bronzo, promettendo la rivincita soprattutto per papà Angelo e mamma Giovanna, che solletica la sua golosità con lasagne al forno e torta di ricotta. Roberto ora convive con Nicoletta ad Assisi, dove è uno di casa come gli altri del club azzurro, tanto che un cartello li salutava così prima della partenza: “I veri cubani siete voi”» (Riccardo Crivelli).
• Campione del mondo dilettanti 2007; nove volte campione d’Italia, l’ultima nel 2012, battendo il “collega poliziotto” Federici (Redazione) [Cds 17/12/2012]; due volte medaglia d’oro ai Campionati Mondiali (2005 Chicago e 2009 Milano); quattro ori ai Campionati Europei (Madrid 2004, Cagliari 2005, Pécs 2006 e Dublino 2007). È stato insignito delle onorificenze di Cavaliere e Commendatore dell’ordine al merito della Repubblica italiana (poliziadistato.it).
• Argento a Londra 2012: «A tutti era sembrato un oro, la giuria l’ha trasformato in un argento. È un ingiustizia è stato un verdetto casalingo».
• «Joshua? Lo affronterei anche subito. Però non so quanto possa valere sportivamente. Perché non ci sarebbero obiettivi da conquistare, come un titolo o una medaglia, sarebbe solo un incontro con dei risvolti morali e niente più. Lui non ha colpa per quel verdetto, semmai sono stati i giudici a falsare il risultato».
• «Non c’è alternativa all’allenamento. Non c’è nessuna sostanza che ti possa far schivare i pugni» (Corrado Sannucci) [Rep 30/4/2009].