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 2012  maggio 28 Lunedì calendario

Biografia di Andrea Camilleri

• Porto Empedocle (Agrigento) 6 settembre 1925. Scrittore, registra di teatro, televisione e sceneggiatore. Notorietà conquistata a tarda età con la saga di romanzi del commissario Montalbano (il primo nel 1994, La forma dell’acqua). Nel 2016, con L’altro capo del filo, dedicato ancora una volta a Montalbano, è arrivato a quota 100 libri (ha battuto Scerbanenco, 91, Salgari, Pirandello e Agatha Christie, 90: «Questo centesimo libro l’ho dettato all’unica persona in grado di scrivere il vigatese che è Valentina Alferj. Questo Montalbano lo devo alla sua dedizione»). «Diceva Montaigne che anche se sali sul più alto degli alberi, sempre il culo fai vedere».
Vita «Andrea Calogero Camilleri nasce a Porto Empedocle (la Vigàta dei suoi romanzi) il 6 settembre 1925, all’una di pomeriggio, in un’agiata famiglia di commercianti di zolfo. Quel giorno stesso in città si tiene la processione di san Calogero (di qui il secondo nome), a cui lo scrittore, a modo suo, si professa devoto: “Nel mio paradiso, completamente deserto di santi e di dei, c’è posto solo per san Calogero”» (Maurizio Assalto).
• «Mio padre era ispettore del lavoro portuale per tutti i porti della costa meridionale della Sicilia. Poi, dopo l’arrivo degli Alleati, divenne direttore provinciale dell’Ast (Azienda siciliana trasporti). Quindi: per un lungo periodo ebbe a che fare con centinaia di scaricatori del porto, poi con decine di autisti, meccanici, trasportatori, ecc.».
• «Prima di sposarlo, mia madre detestava mio padre. Lo vedeva passare con manganello, fez e camicia nera, negli anni degli scontri di strada con i comunisti, e lo considerava un delinquente di prim’ordine. A Porto Empedocle gli scontri furono piuttosto seri. Mio padre Giuseppe era il capo. Partecipò alla marcia su Roma. Dopo divenne segretario del fascio nella sua città. Mia madre fu costretta a sposarlo: matrimonio combinato. Ma cambiò subito idea sul suo conto. Scoprì un uomo leale, ironico, coraggioso, generoso. Insomma: Montalbano. È stata mia moglie, che l’ha conosciuto bene, a farmelo notare: “Montalbano è per tre quarti tuo papà, e tu hai scritto una sua lunga biografia”. Ha ragione».
• «La mia era una famiglia numerosa, nella quale ognuno aveva il suo ruolo preciso. Mia madre e le sue sorelle, che erano le classiche donne di casa siciliane, al momento opportuno avevano il compito primario di assistere mia nonna Elvira. Una cuoca formidabile, sia chiaro. E non solo: fu lei a farmi conoscere il mio primo libro, Alice nel paese delle meraviglie, leggendomelo capitolo dopo capitolo quando io non avevo ancora imparato a leggere».
• «È stata lei a scatenarmi la fantasia. Lei parlava con gli oggetti. E cambiava voce spiegandomi: “Secondo te posso parlare al pianoforte come parlo con una pentola?”. Sbagliava i verbi apposta. A lei piaceva andare a fare il pane in campagna. “Vado a fornicare” diceva e se la scialava vedendo la faccia della gente che restava un po’ perplessa. Parlava molto con una saliera che si trovava da tempo immemorabile in casa e aveva assistito alla morte del padre e della madre di mia nonna. Un giorno mia nonna disse alla saliera: “Tu hai visto morire tutti e adesso ti aspetti di vedere morire me. Ma non sarà così”. E uccise la saliera facendola in mille pezzi. A novant’anni lei, che era stata solo a Palermo, venne a Roma per vedere Papa Giovanni. “E poi voglio andare nella villa di Adriano”. Facendo i salti mortali, riuscii a farle avere un’udienza. Poi andò con mia madre alla villa di Adriano. Se la girò tutta. Alla fine, si trovarono su una specie di ringhiera. Lei si guardò intorno e disse: “Tutta questa bellezza è insostenibile”. Piegò la testa e morì sulla spalla di sua figlia. Morì di bellezza. È una storia che racconto solo a voce perché scritta suonerebbe incredibile» (ad Antonio D’Orrico).
• «Arrivai a dare quasi tutti gli esami sotto la laurea. Ma c’era un’altra ragione che mi fece smettere, oltre al fatto che non volevo fare il professore, l’unica strada possibile. Succedeva che tutte le maggiori riviste letterarie italiane e i quotidiani nazionali mi pubblicavano. Io stavo a Porto Empedocle e pubblicavo poesie su Mercurio di Alba De Cespedes. Le mandavo e quella me le stampava. Ho pubblicato su Inventario, diretto da Eliot, dove in un numero apparve addirittura, con una mia poesia, un inedito di Dylan Thomas, allora vivente. Pubblicavo racconti di terza pagina tanto su L’Ora di Palermo quanto su L’Italia socialista di Roma. Poi capitò che Giuseppe Ungaretti mi pubblicò le poesie nello Specchio di Mondadori (che allora era la più prestigiosa collana di poeti italiani) in un’Antologia dei poeti del Saint Vincent. E poi venne il premio “Libera stampa” a Lugano, con una giuria terribile: Gianfranco Contini, Giansiro Ferrata e via di questo passo. Nella rosa dei finalisti entrammo in dieci, tutti ventenni. I nomi vanno da Camilleri, che scompare per ricomparire molto più tardi, a Andrea Zanzotto, ma in mezzo ci sono Pier Paolo Pasolini, Angelo Romanò, padre David Maria Turoldo, Danilo Dolci». «Nel 1947 lessi che c’era un concorso per atto unico a Firenze, giuria presieduta da Silvio D’Amico. Scrissi un atto unico quasi appositamente per quel concorso, Giudizio a mezzanotte si chiamava, vinsi il primo premio, andai a Firenze, conobbi D’Amico, conobbi Luigi Squarzina, ma tornando in Sicilia rilessi il mio testo e lo buttai giù dal finestrino del treno. Credo non ce ne sia più traccia. Però D’Amico mi scrisse l’anno dopo: “Perché non vieni a fare l’esame come allievo regista all’Accademia?”. Dissi di sì e di lì la mia vita cambiò».
• All’esame si rifiutò di preparare la prova di recitazione: «I professori lo costrinsero a improvvisare con l’aiuto di un ex allievo che era lì per caso: Vittorio Gassman» (Masolino D’Amico).
• Fu espulso dall’Accademia d’Arte drammatica per un episodio che non ha mai voluto raccontare. Il presidente dell’Accademia, Silvio D’Amico, lo convocò: «Lei è un mascalzone come tutti i siciliani!». Camilleri: «Perché, Presidente, ne ha conosciuti molti?». D’Amico: «Solo Pirandello. Ma mi è bastato».
• Uscito dall’Accademia, Francesco Savio gli offrì un lavoro all’Enciclopedia dello Spettacolo. Camilleri disse: «Ma il direttore è Silvio D’Amico. Se se ne accorge mi caccia un’altra volta». Savio: «Non ti preoccupare, D’Amico è distrattissimo». Dopo qualche tempo D’Amico affrontò Camilleri: «Lei è un villano. Ci incontriamo tutti i giorni e non mi saluta mai».
• «Quando ho cominciato a fare il regista avevo 33 anni. Quelle notti in attesa del giorno dopo la prima, la mattina si andava subito a leggere le critiche! La mia prima regia, tutti i critici vennero, loro scrivevano nella notte, tu non andavi neanche a dormire, non ce la facevi e aspettavi i giornali. Mi ricordo che ritenendomi io inutile come regista, perché allora c’erano direttori di scena che rendevano inutile il regista, al momento in cui lo spettacolo iniziava me ne andai, che ci stai a fare?». A Roma dalla fine degli anni Quaranta, Camilleri lavorò come regista e autore teatrale e televisivo, collaborando, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, alla produzione delle serie del Tenente Sheridan e di Maigret (fondamentale, quest’ultima, per famigliarizzarlo con i meccanismi del giallo “europeo”).
• Lo sceneggiatore della serie era Diego Fabbri: «Ho imparato a lavorare in televisione da lui: prendeva 4-5 copie dei libri di Maigret, le riduceva in fogli e faceva dei mucchietti per ogni episodio. Poi li rimontava secondo la logica televisiva, creando i collegamenti: un tirocinio preziosissimo». Su se stesso regista: «...In un vecchio caffè, il “Bar Albanese”, dov’ero entrato verso sera per bere un whisky. Entro, vedo un signore che conoscevo di vista seduto al tavolo che mi fa segno e m’invita a sedere. Dico solo: un momento, prendo da bere. Poi è il finimondo. Sarà durato 30-45 secondi, ma mi è sembrato eterno (...) Quando tutto fu finito, i tre del tavolo, padre, figlio e guardia del corpo, erano a terra morti, crivellati da una serie di raffiche di mitra. Fuori, per terra, ce n’erano altri tre. I feriti erano sei, gridavano. E l’aspetto più incredibile, l’unica cosa su cui continuavo a riflettere, meccanicamente, era che la realtà della scena era molto meno convincente di quelle viste tante volte nei film americani. Guarda il sangue, com’è scuro, mi dicevo. E guarda la polvere della strada, come spegne i colori. Sì, da regista, io pensavo che quella strage si poteva mettere in scena meglio».
• Confidenza con Leonardo Sciascia, di cui a un certo punto bisognò sceneggiare Il giorno della civetta. Gli disse: «Non è che poi piglianu e n’ammazzano?». La risposta: «Vedrai, i mafiosi saranno in prima fila ad applaudire, perché sono vanitosi». Un’altra volta, invitato a pranzo sempre da Sciascia, alzandosi da tavola, Camilleri fece i complimenti alla moglie: «Perché davvero aveva preparato un pranzo squisito, molto siciliano; Leonardo si susì, e quando uscì dalla stanza, ’a signura Maria mi disse: “Questi ringraziamenti io non posso rifiutarli pubblicamente, però devo farlo privatamente. Perché ’un cucinai io, cucina’ Leonardo”. “Pirchì, sapi cucinari?” “Sì, sì, iddu cucina tutti cosi. E sei di matina si susì pi cucinare. Ma non vuole ca si dica”».
• A queste attività affiancò l’insegnamento all’Accademia d’Arte drammatica. Luca Zingaretti (che prima di impersonare il suo commissario Montalbano ne fu allievo): «Si parlava un po’ di tutto. Era un eccezionale affabulatore, molto bravo a trovare il dettaglio originale nel gesto quotidiano. Magari ci inchiodava due ore sull’uomo che aveva appena visto prendere il cappuccino. Che poi è anche la grandezza del suo modo di scrivere».
• Ha fatto per anni il regista televisivo, senza riuscire ad affermarsi come scrittore (dieci rifiuti consecutivi, infine nel 1978 pubblicò da Lalli, che stampa a pagamento per gli illusi): «Ho cominciato a scrivere il mio primo romanzo un primo d’aprile. Ma non so onestamente dire se sia stato per caso o per causa. Quando mi decisi, dopo molte esitazioni, a mandare il dattiloscritto a Nicolò Gallo, che mi onorava della sua amicizia, egli per tre mesi non mi diede più notizie di sé. Allora gli scrissi due righe dicendogli che, piuttosto che perdere la sua amicizia, preferivo liberarlo dall’obbligo di darmi un giudizio sul romanzo. Mi telefonò due giorni dopo, invitandomi ad andarlo a trovare. Mi ricevette nel suo studio. Sopra il tavolo c’era il mio romanzo e, accanto, un mucchio di foglietti. Mi disse subito che gli era piaciuto e che l’avrebbe fatto pubblicare da Mondadori nella collana che dirigeva con Vittorio Sereni. Ma non prima di due anni. Nel frattempo, potevo rimetterci mano. “E come?”, gli domandai. “Con più coraggio” mi rispose. Insomma, voleva che spingessi più a fondo il mio linguaggio. I foglietti contenevano i suoi suggerimenti. Me li consegnò. Io mi ripromisi di tenerne conto, ma dato che avevo tanto tempo davanti a me, preferii rimandare l’inizio della revisione. Poi Nicolò morì. E io persi, oltre il grande amico, anche l’unico contatto che avevo con la Mondadori. Così, quando Lalli mi domandò di stampare il libro in cambio della pubblicità televisiva (perché nel frattempo Il corso delle cose, sceneggiato da Dante Troisi e Antonio Saguera, col titolo La mano sugli occhi era in lavorazione in tv), io ebbi, non so perché, ritegno a rivederlo seguendo i consigli di Nicolò. La revisione l’ho fatta molti anni dopo, in occasione dell’uscita con la Sellerio». La scoperta del talento e il clamoroso successo arrivò negli anni Ottanta (quando già era in pensione) con i primi libri pubblicati da Sellerio. Successo basato tutto sul passaparola tra i lettori. Primo vero boom con La concessione del telefono, ambientato alla fine dell’Ottocento, poi le storie del commissario Montalbano, ne fecero il caso letterario dell’ultimo quarto di secolo.
• «Spesso utilizzo come miniera un’inchiesta governativa del 1875 sulla Sicilia, un documento con trascrizione stenografica delle interviste della commissione. Mi basta una frase, uno spunto qualunque. Per esempio: per La stagione della caccia sono partito dal dialogo tra il senatore Cusa e un sindaco della provincia di Caltanissetta: “Da queste parti avete fatti di sangue?”, “No, eccellenza, solo un delitto d’amore con sette morti”».
• «Nella mia famiglia si parlava sia il dialetto sia l’italiano. Quando mi esibivo con dei raccontini a voce capivo di essere più efficace se usavo una lingua mista. Cominciai a chiedermi perché l’italiano non mi bastava e studiai come Pirandello faceva parlare i suoi personaggi. Più tardi mi colpì la sua affermazione “la lingua esprime il concetto, il dialetto il sentimento di una cosa”: è diventata la base del mio scrivere».
• «Mia moglie dice che più che uno scrittore sembro un corrispondente di guerra. Voglio avere vicino i miei nipotini, che mi devono interrompere, tirare per la giacchetta. E poi voglio sentire sempre il canto degli uccellini...».
• Ha dichiarato che, alla notizia di Zingaretti come Montalbano, gli venne un colpo: non aveva mai pensato che il commissario potesse essere calvo. Interrogato sull’aspetto fisico di Montalbano, che non ha mai descritto, ha risposto: «Non l’ho mai visto tutto intero. Una volta i capelli, una volta il neo, una volta i baffi. Ne ho sempre avuta un’immagine confusa. Finché un giorno, alcuni anni fa... Avevo appuntamento a Cagliari con un professore di letteratura di quella università, Giuseppe Marci, che mi aveva invitato a chiudere un suo corso. Eravamo d’accordo che per farsi riconoscere avrebbe avuto con sé una copia del Birraio di Preston. Bene, sceso all’aeroporto ho avuto la sorpresa di imbattermi in Montalbano col Birraio sottobraccio. Era proprio lui. Lo scrissi a Carlo Esposti, il produttore della serie tv: peccato che un attore così somigliante non esista». Idem per la donna di Montalbano, Livia: «L’ho conosciuta a Boccadasse nel 1950, si chiama Raffaella Perillo. L’ho rivista quando sono andato a Genova a presentare La mossa del cavallo. Una bella vecchietta».
• Sposato con Rosetta Dello Siesto, tre figli.
Libri Alcuni titoli: La forma dell’acqua (1994), Il cane di terracotta (1996), Il ladro di merendine (1996), La voce del violino (1997), La gita a Tindari (2000), L’odore della notte (2001), Il giro di boa (2003), La pazienza del ragno (2004), La luna di carta (2005), La vampa d’agosto (2006) , Le ali della sfinge (2006) La pista di sabbia (2007), Maruzza Musumeci (2007, romanzo storico in forma di favola), Le inchieste del commissario Collura (Mondadori 2007: sono racconti che hanno come protagonista il commissario Collura, ovvero Cecè, un amico di Montalbano e nuovo personaggio di Camilleri), Le pecore e il pastore (2007, è un romanzo storico ambientato nel 1945), Voi non sapete (Mondadori 2007: ricognizione dell’universo mafioso compiuta attraverso i pizzini di Bernardo Provenzano. Camilleri ha devoluto i diritti alla Fondazione per i caduti di mafia della Polizia dello Stato), La novella di Antonello da Palermo (Guida, 2007: è una falsa novella di Boccaccio) e Il colore del sole (Mondadori 2007: resoconto, in lingua secentesca, del soggiorno a Malta e in Sicilia di Caravaggio), per i quali ha ricevuto il premio Boccaccio 2007, Il tailleur grigio (Mondadori 2008, romanzo noir), Il campo del vasaio (2008), L’età del dubbio (2008), La danza del gabbiano (2009), La caccia al tesoro (2010), Il sorriso di Angelica (2010), Giudici (Einaudi 2011,scritto con Carlo Lucarelli e Giancarlo de Cataldo); Il gioco degli specchi (2011), Una lama di luce (2012), Una voce di notte (2012), Dentro il labirinto, (Skira 2012, libro-indagine sulla vita e la misteriosa morte del critico d’arte Edoardo Persico, sullo sfondo dell’Italia del periodo fascista), Il tuttomio (Mondadori 2013, romanzo noir); La rivoluzione della luna (2013, ritratto di una singolare figura di donna nella Sicilia del Seicento), Come la penso. Alcune cose che ho dentro la testa (Chiarelettere, 2013; una raccolta di scritti autobiografici e riflessioni), La banda Sacco (il romanzo ambientato negli anni Venti), Un covo di vipere (2013), La piramide di fango (2014), La giostra degli scambi (2015). Tutti editi da Sellerio se non indicato diversamente.
• Solo per Sellerio ha venduto circa 18 milioni di libri.
• «Io scrivo in perfetta souplesse. Sono sereno e, anche se mi trovo di fronte a un passaggio difficile, dentro di me canto. L’unica cosa strana che mi capita quando scrivo è un leggerissimo rialzo di temperatura. Io, che in genere ho 36 e mezzo, raggiungo 37 meno uno. Una febbricola ma di quelle che in ufficio ci vai lo stesso» (ad Antonio D’Orrico) [Cds 22/5/2016].
• «Dico parolacce al computer ma in modo bonario, soprattutto i primi tempi perché il computer voleva scrivere da sé. Il computer ha delle parole dentro e cerca di imporle. Se tu scrivi “sette”, lui ti scrive “settembre”. Ma ora che non ci vedo più il mio modo di lavorare è cambiato. (…) Quando scrivevo, alzavo gli occhi e leggevo quello che avevo scritto, adesso non posso più farlo. Ho bisogno che Valentina (Alferj – ndr) ripeta continuamente quello che ho appena detto per poter procedere. La cosa che più mi spaventava è che si notasse una qualche differenza nel risultato, nella storia. Ho chiesto ad Antonio Sellerio, l’editore, ho chiesto a mia moglie. Mi hanno detto di no, che è lo stesso Montalbano di prima» (D’Orrico, cit.).
• Ha pubblicato a puntate sul Nasone, rivista del XVII Municipio romano (Monteverde, dove abita), le avventure del commissario Montalbano, trasferito a Roma per seguire un corso al ministero.
• Ha curato per la Bur un’antologia degli scritti di Pirandello (Pagine scelte, Bur 2007), di cui aveva già scritto una vita mezza in siciliano e mezza in italiano (Biografia del figlio cambiato, Rizzoli 2000).
• Ha tradotto La Tempesta di Shakespeare, messa poi in scena da Giuseppe Dipasquale e portata, fra l’altro, al Festival shakespeariano di Danzica in Polonia.
• Dipasquale gli ha ridotto e messo in scena, per lo Stabile di Catania, La concessione del telefono.
• Sergio Rubini ha portato in teatro, a Palermo, un suo inedito sul trombettista Chris Lambertine.
• La mostra palermitana !Camilleri sono, ideata da Pietro Caldarera, realizzata da Monica Mirri e curata da Gaetano Savatteri con Giancarlo Macaluso, ha cercato di ricostruirne il profilo complessivo di scrittore e regista, anche ricorrendo a materiale poco noto.
• Ha aiutato Romano Luperini a pubblicare il suo secondo romanzo (L’immaginazione, Sellerio 2007).
• Gianni Bonina ha pubblicato una rassegna ragionata, con tutte le trame, dei suoi 47 libri (corredata da una lunga intervista centrale: Il carico da undici, Barbera 2007).
• Ha appoggiato con forza l’iniziativa della Confindustria di espellere dall’associazione chi paga il pizzo alla mafia, favorevole all’invio dell’esercito in Sicilia («Ben vengano i soldati, darebbero coraggio a chi ancora paga il pizzo», sul Corriere della Sera del 17 settembre 2007).
• Ha sottoscritto i seguenti appelli: contro le trivellazioni in Val di Noto, per la riapertura delle indagini sul delitto Pasolini, per la liberazione immediata di Rahmatullah Hanefi (vedi Daniele Mastogiacomo).
• Molti premi. Tra gli altri, Premio alla carriera nel Roma Fiction Fest (2007), premio Cardarelli 2007, Premio Campiello 2011 alla Carriera, Premio Chandler 2011 alla Carriera, Premio Fregene Letteratura. Nel 2003 è stato nominato dal presidente della Repubblica Ciampi Grande Ufficiale al Merito della Repubblica.
• Il suo La concessione del telefono è stato il primo romanzo acquistato online in Italia: era il 3 giugno del 1998, poco dopo mezzanotte; il sito Internet Bookshop (Ibs), che aveva appena aperto. La persona che aveva fatto quell’ordine si chiama Francesco Marchetti e oggi vive ad Ottawa, in Canada (Jaime D’Alessandro) [Rep 3/6/2016].
Critica «È un fenomeno, visto che riesce a trasformare la letteratura in un prodotto di largo consumo. Una vaga parentela con certi gufi saggi e amabili dei cartoni animati, un vocione fondo da tabagista. “Quella di Camilleri è una narrativa da intrattenimento alto”, sentenziava Carlo Bo. Particolare non da poco: un tipo di narrativa quasi inesistente in Italia» (Donata Righetti).
• Nel 2008 il Daily Telegraph l’ha inserito tra i cinquanta autori di gialli «che bisogna leggere prima di morire» (con Arthur Conan Doyle, Edgar Allan Poe, Agatha Christie ecc.).
• «La cifra linguistica di Camilleri è di tipo folclorico di secondo grado, nel senso che lui usa una lingua mutuata dai mezzi di comunicazione di massa» (Vincenzo Consolo).
• «Le inchieste di Montalbano sono il romanzo civile dell’Italia degli ultimi vent’anni. Non è che l’Italia di romanzi civili ne abbia avuti tanti» (Antonio D’Orrico).
• «La letteratura masochista, alla Camilleri, che per divertire il mondo oltraggia la Sicilia (…) Camilleri inventa una Sicilia arcaica, un’insularità quasi biologica, come se la sicilianità fosse una qualità del liquido seminale, un Dna, una separatezza che ovviamente non esiste se non come stereotipo, come pregiudizio che raccoglie, in disordine, malanni personali e banalità di ogni genere, nonne con le mutande a baldacchino e zii preti, la voracità sessuale come espressione del lirismo di un popolo, l’amicizia come retorica, l’omicidio come voce del Diritto amministrativo, la pennichella come ritorno alla natura, le melanzane e la pasta con le sarde come archetipo di una modesta ma sicura felicità. Il tutto descritto con la lascivia sentimentale di certe orrende cose di noi stessi che ci piacciono tanto, quasi fossero anacronistiche virtù, elisir da paradiso perduto» (Francesco Merlo) [Cds 11/12/2000].
• «È amabile. Parla come scrive. Ha un orecchio infallibile per i tempi delle pause. Struttura e mette in movimento parole che levitano come mongolfiere. Le ammaina al momento giusto. Le spegne. Le fa ripartire» (Salvatore Nigro, esperto della storia del commissario Montalbano, autore di tutte le quarte di copertina dei romanzi).
• «Autore noioso e vanitoso» (Alfonso Berardinelli) [Fog 13/9/2013].
Politica «Sono sempre stato comunista. Persino nel 1956, quando molti se ne andarono dal partito per i fatti di Ungheria, rimasi perché pensavo che, in un mondo spaccato in due, i sovietici facessero bene a tenere sotto controllo la propria parte».
• Nel 2008 ha votato Pd («anche se non ho aderito come mi aveva chiesto Veltroni»). Alle europee 2014 è prima entrato nel comitato dei garanti della Lista Tsipras per poi lasciare polemicamente l’incarico prima del voto per divergenze sulle candidature.
• Berlusconi: «Egregio signor Andrea Camilleri, perché lo ha fatto? Perché non si è accontentato della fama travolgente che sta gratificando la sua opera letteraria, dei suoi deliziosi gialli che fanno la fortuna degli editori che li pubblicano per guadagnarci soldi a palate? Perché si è piegato al diktat che impone lo snocciolamento pubblico di banalità antiberlusconiane come pedaggio per l’ingresso nella serie A dei maestrini del pensiero? Non poteva accontentarsi di essere il giallista più letto d’Italia? No, lei non si è accontentato e oltre alle copie vendute ha preteso l’applauso della sinistra frou frou:... “Berlusconi è stato un palazzinaro come tanti, poi ha avuto l’abilità di inventarsi le tv commerciali, però in una situazione fortemente protezionista”, il che, detto da uno che prima di diventare bestsellerista ha campato per anni grazie alla protettissima e superforaggiatissima e superlottizzatissima Rai, non suona nemmeno tanto elegante. E che pena, signor Camilleri, quell’accenno al fatto che “ci volevano i milioni di spettatori, ci voleva la volgarità”. Dall’alto delle sue centinaia di migliaia di copie, non le sembra un autogol quel suo conformista identificare “milioni di spettatori” e “volgarità”... per paura di apparire “volgare” e “dozzinale”, lei chiede... il patentino di maestrino del pensierino. Per dimostrare di essere più vicino a Eco che alla Tamaro. E per dimostrarlo basta poco: rompere il silenzio con tonanti dichiarazioni antiberlusconiane. La terrazza applaudirà. (Redazione) [Fog 18/7/1998].
• «Fra gli intellettuali italiani c’è anche la categoria degli “schizofrenici cognitivi” ai quali sicuramente appartiene Camilleri che era a favore del ponte di Messina quando c’era Prodi ed è contro quando c’è Berlusconi» (Luca Mastrantonio) [Gli intellettuali del piffero, Marsilio 2013]
Tifo «Qualche anno fa guardai in tv una partita bellissima. Rimasi affascinato dalle geometrie, da quel certo senso di attesa tra i giocatori... Mi appassionò a tal punto che decisi di smettere, altrimenti sarei diventato un tifoso incallito».
• «Mio nipote è un grande appassionato. L’accompagnerei volentieri alla partita, però andare allo stadio mi fa paura».
• «Mi fa una grande simpatia Totti. Un uomo estremamente generoso anche nella sua vita privata. Mi piace questa maschera che gli hanno costruito di “mezzo stupido” e il suo modo di stare al gioco».
• «Mi piaceva ascoltare il Giro alla radio. Ho seguito Binda, Coppi e Bartali. Ma mi sono fermato a Pantani».
• Il Giro d’Italia 2008 gli ha dedicato una tappa, la Cefalù-Agrigento: sfollato con la madre a Serradifalco, nel 1943 percorse in bici 55 km per sfuggire ai bombardamenti alleati e raggiunse Porto Empedocle senza mai forare (un piccolo miracolo considerato che l’asfalto non c’era e la strada era ricoperta di frammenti metallici).
Vizi Fumatore tra i più accaniti (celebre l’imitazione di Fiorello).
• Fino a pochi anni fa beveva una bottiglia di whisky a digiuno, senza restare ubriaco: «Questo era il guaio, non perdevo né staffe né sentimenti».
• «Adoro stirare».
• «In mutande o in pigiama non riuscivo a scrivere. E nemmeno se ero spettinato o in ciabatte. Non ci riesco nemmeno adesso. Devo essere in ordine, come per andare in ufficio».