28 maggio 2012
Tags : Giuseppe Calò
Biografia di Giuseppe Calò
• Palermo 3 settembre 1931. Tra gli autori della strage al Rapido 904 (23 dicembre 1984). Mafioso, capo del mandamento di Porta Nuova. Detto Pippo, soprannominato la Salamandra, «per la capacità di uscire indenne dalle situazioni più scottanti» (Antonio Nicaso). Detenuto dal 1985, al 41 bis dall’estate 1992, in esecuzione pena di diversi ergastoli. Figlio di un macellaio e barista, è sposato.
• Inizia la carriera criminale come sicario. Nel 69 diventa capo mandamento di Porta Nuova (di cui faceva parte Tommaso Buscetta, il primo superpentito della mafia morto di cancro nel 2000), quindi membro della commissione provinciale di Cosa Nostra. All’inizio degli anni Settanta si trasferisce a Roma, dove, assunta la falsa identità di Mario Agliarolo, ufficialmente fa l’antiquario di professione e invece ricicla i profitti di Cosa Nostra investendo nel settore edilizio (da qui l’appellativo di “cassiere di Cosa Nostra”), e traffica in stupefacenti avvalendosi di contatti con la camorra e con la malavita romana (in particolare con la Banda della Magliana). Come sarà accertato dai giudici, a Roma si inserisce negli ambienti della destra eversiva e della massoneria (frequentava la massoneria di Piazza del Gesù, come dichiarò il pentito Gioacchino Pennino). A dire di Tommaso Buscetta durante una riunione della commissione si oppone al tentativo di Stefano Bontate di salvare Aldo Moro (presidente della Democrazia cristiana, sequestrato e ucciso dalle Br nel ’78), perché i «suoi amici politici» della Democrazia Cristiana lo «volevano morto». Nella seconda guerra di mafia (iniziata nell’81 proprio con la morte di Stefano Bontate), si schiera dalla parte dei corleonesi contro i palermitani. Nell’82, raggiunto da ordinanza di custodia cautelare per associazione mafiosa e narcotraffico, diventa latitante. Nell’84 (l’anno in cui si pente Tommaso Buscetta), partecipa all’attentato dinamitardo al Rapido 904, treno proveniente da Napoli e diretto a Milano (23 dicembre, presso la galleria di San Benedetto Val di Sambro, muoiono 15 viaggiatori). Viene arrestato il 30 marzo 85 a Roma, con la sua inseparabile rubrica (fitta di nomi di fantasia, per nascondere quelli veri usava un codice, la chiave era “lunga morte”). Nel suo nascondiglio, una villa a Poggio San Lorenzo (Rieti), viene trovato un arsenale di guerra (comprese mine anticarro), ma anche centinaia di milioni e pezzi di antiquariato. Nell’85 viene colpito da ordinanza di custodia cautelare per la strage del Rapido 904, ritenuta dagli inquirenti di matrice terroristico-mafiosa, rispondente all’interesse della mafia di impegnare lo Stato nella lotta al terrorismo e distrarlo dalla lotta alla criminalità organizzata (per la strage sarà condannato all’ergastolo).
• Imputato nell’86 nel maxipricesso istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, con l’accusa di associazione mafiosa, narcotraffico e sessantaquattro omicidi, alla prima udienza si presenta in doppio petto, e sentite le contestazioni, metti e togli gli occhiali, dichiara: «Sconosco quello di cui mi sta dicendo, signor presidente. Di questa associazione Cosa Nostra non ne so niente (...) Ho iniziato la mia attività come rappresentante di tessuti a Palermo, poi ho aperto un bar in via Sant’Agostino, quindi mi sono occupato di una pompa di benzina. Infine ho ereditato da mia nonna: ed eccola qui la mia fortuna economica». Viene condannato a 23 anni di reclusione (il c.d. teorema Buscetta, per cui tutti i delitti riferibili a Cosa Nostra sono imputabili ai membri della Commissione, viene disatteso dalla Corte per molte accuse a carico del Calò, stante la sua lunga permanenza a Roma). Il 9 agosto viene ammazzato Antonio Scopelliti, sostituto procuratore generale incaricato di sostenere l’accusa del maxiprocesso davanti alla Corte di Cassazione (accusato di concorso nel delitto, Calò viene condannato in primo grado, e assolto in secondo, con formula dubitativa, sentenza confermata in Cassazione, come tutti gli altri componenti della Cupola). Accusato, in quanto membro della commissione (sostituito nelle deliberazioni da Salvatore Cancemi), delle stragi di Capaci e via D’Amelio (vedi Salvatore Riina), viene condannato all’ergastolo in primo e secondo grado, e in seguito all’annullamento con rinvio della sentenza da parte della Cassazione, condannato in via definitiva all’ergastolo nel 2006.
• Nel 97 viene colpito da ordinanza di custodia cautelare con l’accusa di concorso in omicidio (nel ruolo di mandante), di Roberto Calvi, presidente del vecchio Banco Ambrosiano trovato impiccato sotto il ponte dei Frati Neri a Londra il 18 giugno del 1982, con alcuni mattoni in tasca e 15 mila dollari addosso. Secondo l’accusa Calò aveva interesse ad ucciderlo perché si era impossessato di soldi suoi e del piduista Licio Gelli. Il 7 giugno 2007 è stato assolto con la formula dubitativa dalla Corte d’assise di Roma (sentenza confermata in appello – il 7 maggio 2010 –, e in Cassazione – il 17 novembre 2011) (a cura di Paola Bellone).