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 2012  maggio 03 Giovedì calendario

L’Istat continua a mandarci cattive notizie: ieri i dati sulla disoccupazione, che è aumentata di mezzo milione di persone in un anno (esattamente: 476 mila)

L’Istat continua a mandarci cattive notizie: ieri i dati sulla disoccupazione, che è aumentata di mezzo milione di persone in un anno (esattamente: 476 mila). L’aumento di disoccupati tra febbraio e marzo è stato di 66 mila unità. In totale, il numero di disoccupati italiani è di due milioni e mezzo (2,506 mila). Se si confronta marzo con febbraio significa un aumento percentuale del 2,7%. Se si confronta marzo 2012 con marzo 2011 l’aumento è del 23,4%. Esiste poi la classe degli “inattivi”, gente che non lavora e che non cerca lavoro. Costoro (marzo su febbraio) sono diminuiti dello 0,3%, equivalente a 40 mila unità, per il semplice fatto che hanno smesso di essere inattivi e si sono messi a cercare un posto. Sono quindi finiti nel calderone dei disoccupati classici. Su base annua la flessione è dell’1,1%. Ma, in termini assoluti, la percentuale di questa massa inattiva è ancora notevole, il 36,7%. Sarebbe interessante sapere qualcosa di più su queste persone: vivono d’espedienti? li aiutano mamma e papà? sono ricchi di loro? s’accontentano di dormire sotto i ponti?

Che domande sono?

Nell’Ottocento, prima che arrivasse Marx a chiarire le idee a tutti, si discuteva se la miseria fosse una colpa, un vizio o una sventura. C’era molta incertezza. La corrente secondo cui i miserabili erano tali per volontà loro godeva di parecchio credito. Un dubbio analogo – come negarlo? - cova dentro di noi di fronte a questa parola: “inattivi”. D’altra parte la disoccupazione, cioè la massa di coloro che vorrebbero un posto, o magari addirittura un lavoro, cresce. E a costoro che risposta bisogna dare?

Che risposta?

Ha detto qualcosa in proposito anche Monti, ieri. Il nostro premier è andato a una discussione col premio Nobel Stiglitz (c’era anche Fornero), alla Fondazione Italiaeuropei, quella di D’Alema. Conosceva già i dati di cui stiamo parlando, e ha detto: «Non basterà poco tempo per la crescita in Italia» che è un modo un poco spericolato per dire che «ci vorrà molto tempo». Stiglitz aveva appena spiegato che con l’austerità non si va da nessuna parte. «Nella storia nessuna grande economia europea si è mai ripresa rapidamente solo con l’austerità. Deve essere chiaro che la situazione peggiorerà».

Ma se l’austerità non porta da nessuna parte, perché insistono?

Ci sono due scuole di pensiero ed è difficile dire quale delle due abbia ragione. Anzi: è impossibile dirlo con certezza, sarà la storia a farci sapere se la strada imboccata era giusta o sbagliata (senza saperci dire, peraltro, se la strada alternativa ci avrebbe fatto venire a capo del gran dramma: questa si chiama “insostenibile leggerezza dell’essere”). Prima scuola di pensiero, diciamo così di sinistra: mettiamo patrimoniali gigantesche e con i soldi ricavati creiamo lavoro. Potrebbe essere. Dall’altra parte rispondono: i soldi delle patrimoniali sarebbero presto bruciati, i ricconi nasconderebbero i capitali, nel caso particolare dell’Italia poi una mega patrimoniale non passerebbe mai perché i berlusconiani la boccerebbero. Meglio quindi la mezza-patrimoniale rappresentata dall’Imu. In altri termini, la linea Monti è: l’emergenza l’abbiamo superata con quella sfilza di tasse, adesso andremo ai tagli selettivi che precedono un alleggerimento della pressione fiscale, quindi più soldi in tasca agli italiani, ripresa della domanda. Unico punto: in dieci anni come minimo. E d’altra parte, ha detto ieri Passera, «tutto sta andando come purtroppo si prevedeva, si tratta dell’effetto combinato della recessone seguita a un decennio di crescita insufficiente e delle misure che abbiamo dovuto prendere per evitare lo scivolamento dei conti pubblici. Non ci possono ancora essere gli effetti delle misure strutturali per lo sviluppo, quindi dobbiamo continuare a tenere la barra al centro accelerando le riforme e assicurando risorse». Il governo, le dirò, dai dati diffusi ieri potrebbe addirittura trarre argomenti a suo favore.

In che modo?

Sono stati diffusi anche i dati Eurostat e da questi si vede che la situazione italiana – sotto il profilo occupazione/disoccupazione – è migliore di quella dell’Eurozona e anche di quella della Ue. Secondo l’Istat la nostra disoccupazione a marzo era pari al 9,3%, un dato brutto, che non si registrava dal gennaio 2004 o, su base trimestrale, dal terzo trimestre del 2000. Ma l’Europa sta peggio: la disoccupazione nell’Eurozona è al 10,9 (+0,1 su febbraio), nella Ue al 10,2 (stabile). Probabilmente il nostro tessuto di piccole e medie imprese resiste meglio.

La domanda vera è: quanto dobbiamo aspettare per metterci tranquilli sul destino dei nostri figli? Per sapere che. a un certo punto, un lavoro, magari degno del titolo di studio che hanno ottenuto, lo troveranno?

Dal 2007 a oggi gli unici paesi a creare occupazione sono stati Germania, Austria, Israele, Lussemburgo, Malta e Polonia (dati dell’Istituto internazionale del Lavoro). Dall’inizio della crisi finanziaria a oggi – cioè dal 2007 al 2012 – si sono persi, nel mondo, 50 milioni di posti. Il nostro benessere, l’occupazione piena di un quarto di secolo fa, era anche frutto dell’indebitamento prodotto dall’infame sistema di partiti che ci ha sgovernato (e ci sgoverna) e il cui esito ultimo lei conosce: duemila miliardi di euro da restituire. Indebitarsi a quel modo non è più possibile. D’altra parte un mese fa uno studio congiunto di ministero del Lavoro, Unionecamere e Cgia di Mestre ha segnalato che nel 2011 le aziende hanno messo sul mercato 45.250 posti di lavoro e che nessuno è andato a prenderseli.


[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 2 maggio 2012]