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 2012  aprile 17 Martedì calendario

Biografia di Roberto Maroni

• Varese 15 marzo 1955. Politico. Presidente della Regione Lombardia (dal 18 marzo 2013). Secondo segretario federale della Lega Nord (dal 1° luglio 2012 al 15 dicembre 2013). Deputato della Lega dal 1992 al 2013. Ministro dell’Interno nel Berlusconi I (1994-1995, esecutivo in cui fu anche vicepresidente del Consiglio) e nel Berlusconi IV (2008-2011), ministro del Lavoro nel Berlusconi II e III (2001-2006). «Se Bossi è il papà della Lega, io ne sono la mamma».
Ultime Nella primavera 2012 la Lega Nord fu travolta dallo scandalo legato al nome di Francesco Belsito (vedi), l’allora tesoriere del partito accusato, tra l’altro, di aver sistematicamente girato alla famiglia di Umberto Bossi, e ai famigli del cosiddetto «cerchio magico», grandi somme di denaro pubblico riconosciuto al partito quale rimborso elettorale. Maroni s’intestò allora la battaglia per «fare pulizia» all’interno della Lega, pretendendo l’espulsione o l’allontanamento dei maggiori protagonisti dello scandalo, e ponendosi così di fatto al centro della scena per la successione a Bossi: il 5 aprile, infatti, nella storica sede milanese di Via Bellerio, il vecchio capo, ormai compromesso anche agli occhi dei militanti, rassegnò le proprie dimissioni irrevocabili dalla segreteria del partito, ottenendo la carica (poco più che onorifica) di presidente e affidando a un triumvirato composto da Roberto Maroni, Manuela Dal Lago e Roberto Calderoli la reggenza della Lega fino al Congresso federale. «L’uomo del giorno è Roberto Maroni, il candidato naturale alla successione. Bossi lo sa e vuole superare una volta per tutte le lacerazioni del movimento. E ai microfoni del Tgcom lo chiarisce: “Non è vero che sia un traditore”» (Marco Cremonesi) [Cds 6/4/2012].
• Plastica rappresentazione della sua ascesa all’interno del partito e presso i militanti si ebbe la sera del 10 aprile, nel corso di quella che sarebbe stata definita «la notte delle scope». «Alla Fiera Nuova di Bergamo si sono riuniti circa tremila leghisti per la serata dell’orgoglio padano. Tutti con le scope e le ramazze per simboleggiare la voglia di pulizia del partito. Sul palco i triumviri Roberto Maroni, Roberto Calderoli e Manuela Dal Lago. Parlano solo l’ex ministro dell’Interno e Umberto Bossi. Maroni cerca di ridare entusiasmo ai suoi: “Da oggi si cambia. Non siamo morti. Non siamo un partito di corrotti, ma chi sbaglia paga”; impone diktat: “Giovedì prossimo al Federale butteremo fuori Francesco Belsito”; ricorda che Renzo Bossi ha ufficializzato le sue dimissioni al Pirellone facendo partire un coro di fischi come mai si era sentito; e annuncia che “se Rosy Mauro non si dimetterà ci penserà la Lega a dimetterla”. Promette “Congresso entro giugno. E se Umberto Bossi si ricandiderà, io lo appoggerò”. Chiude così: “Lega in piedi! Dobbiamo diventare il primo partito in Padania!”. Bossi, sembrato più stanco del solito, ha chiesto scusa per i suoi errori e per aver spinto i figli in politica (“Dovevo fare come ha fatto Berlusconi coi suoi, mandarli lontano a studiare. Via, via…”); ha continuato a parlare di “un complotto del centralismo romano che ci vuole divisi”; ha lanciato un messaggio di unità ai suoi: “Quante volte siamo stati capaci di ripartire... Ma adesso basta divisioni che fanno solo il gioco del centralismo romano. Maroni non è un traditore, non è un Macbeth. E i parenti mai più nella Lega”. Ma i cori dei presenti dall’inizio alla fine sono stati tutti per Maroni» (Fabio Poletti) [Sta 11/4/2012].
• Candidato unico alla successione (indicato anche da Bossi), il 1° luglio nel Forum di Assago, a conclusione del Congresso federale del partito, Roberto Maroni fu eletto a schiacciante maggioranza segretario federale della Lega Nord. «Lacrime, quelle di Umberto Bossi. Sorrisi, quelli di Roberto Maroni e dei suoi sostenitori. E applausi. La seconda e ultima giornata del Congresso federale della Lega Nord al Forum di Assago è stata segnata da un mix di emozioni che ha segnato il passaggio tra la vecchia e la nuova gestione del partito. Non sono mancate frasi polemiche e frecciate nei discorsi: con il nuovo segretario del Carroccio, eletto con voto palese per alzata di mano, che ha subito rivendicato la volontà di agire senza “tutele e commissari” e il Senatùr, che ha voluto leggere il testo dello statuto appena approvato, temendo “imbrogli”. Una giornata difficile per Bossi che, dopo la proclamazione di “Bobo”, riprendendo la parabola legata a Re Salomone, ha spiegato di aver agito per evitare la divisione della Lega: "Ho fatto come la donna di quella parabola che lascia il bambino alla rivale pur di non farlo tagliare in mezzo. Il bambino è tuo", ha detto l’ex leader del Carroccio. ’’Umberto Bossi per me è mio fratello, lo porterò sempre nel cuore – ha commentato commosso Maroni – ma oggi inizia una fase nuova’’» (la Repubblica). «Il nuovo slogan su cui sta calibrando la comunicazione, “Prima il nord”, vuole esprimere un equilibrio tra la rappresentanza territoriale e la rivendicazione della questione settentrionale, quanto mai reale in una situazione di disagio delle piccole e medie imprese, e un ruolo nazionale ed europeo» (Il Foglio) [17/8/2012].
• Dopo settimane di fibrillazione in seguito alle inchieste giudiziarie abbattutesi sulla giunta Formigoni, in ottobre la Lega provocò lo scioglimento anticipato del Consiglio regionale della Lombardia. In vista delle nuove elezioni, Maroni avanzò immediatamente la propria candidatura a nuovo governatore, quale espressione dapprima della sola Lega, e poi, dopo una lunga trattativa con Berlusconi, anche del Pdl (in cambio dell’apparentamento, assai indigesto ai militanti leghisti, alle concomitanti Politiche 2013). «L’alleanza con il Pdl è necessaria per vincere in Lombardia e realizzare il nuovo sogno del Carroccio, l’Euroregione del Nord, con Piemonte, Lombardia e Veneto allineate sotto la guida leghista. "Creeremo una macroregione – spiega Maroni – dove il 75% delle tasse sarà trattenuto in modo che le amministrazioni regionali le possano restituire ai loro cittadini sotto forma di servizi. La prima cosa che faremo è abolire l’Irap". E poi c’è da intervenire "sull’Imu, abolire il bollo auto, completare il collegamento con Malpensa"» (la Repubblica) [7/1/2013].
• Alle Regionali 2013 (24 e 25 febbraio), Maroni riuscì a conquistare la presidenza della Regione Lombardia, staccando di oltre quattro punti percentuali il candidato del centrosinistra Umberto Ambrosoli, a lungo dato per favorito. «La ciliegina sulla torta, per il centrodestra. Che dopo la rimonta delle politiche si riprende la Lombardia. Il leghista Roberto Maroni è il nuovo presidente della Regione. “Missione compiuta, adesso il Nord ha un governo forte, mentre quello di Roma sarà molto debole; si apre una fase nuova”, dice prima di far accomodare accanto a lui Umberto Bossi, che si presenta un po’ a sorpresa con l’immancabile sigaro e la faccia un po’ scura. Dunque la “madre di tutte le battaglie”, come Maroni ha sempre chiamato questa sfida lombarda, è vinta. È andata bene, così dice lui, perché “comunque, nonostante le note vicende che hanno riguardato il nostro movimento, abbiamo mantenuto un consenso elevato, sopra il 4 per cento a livello nazionale. E salvato la Lega”» (Rodolfo Sala) [Rep 27/2/2013].
• A inizio settembre, Maroni annunciò le proprie dimissioni dalla segreteria della Lega, per potersi dedicare a tempo pieno alla guida della Regione Lombardia. Su suo impulso furono quindi indette per la prima volta delle elezioni primarie tra i militanti del partito, che il 7 dicembre decretarono la schiacciante vittoria di Matteo Salvini su Umberto Bossi, ratificata otto giorni dopo dal Congresso federale riunito a Torino.
• «Nell’ufficio che fu del Celeste, il Bobo è felice di essersi liberato delle redini del Carroccio, e pure dalle sue briglie. Si sente visibilmente meno uomo di partito di prima. Dice, baldanzoso: “Io sono decisionista. Questa regione ha talenti immensi e io farò di tutto per liberarli dalle gabbie della burocrazia”. Maroni ora non indossa più gli occhiali con la montatura rossa, molto pop, logo della sua battaglia quando era il comandante dei “barbari sognanti”, ha mantenuto però sul suo profilo Facebook l’immagine in cui si presenta come il delfino-figlioccio (poi parricida) di Bossi, che appoggia le mani sulle sue spalle come segno di protezione e di benedizione. Anche se ora l’anziano leader del movimento padano vorrebbe vedere il suo ex delfino trascinato nella polvere. Pazienza. Maroni ormai è un politico navigato. Il suo futuro è appeso a due fili: la ripresa dell’economia lombarda e la difficile sfida dell’Expo» (Cristina Giudici) [Fog 5/3/2014].
Vita Cresciuto in una famiglia pia e democristiana, laureato in Giurisprudenza, cominciò a interessarsi di politica con Democrazia proletaria. «A metà degli anni Settanta, abbandonò le giacche verdi e marrone principe di Galles, che gli erano costate il soprannome di “Bosco”, per le Clark e l’eskimo. Girava per Varese con in tasca il Manifesto che avvolgeva sempre la Gazzetta dello Sport. Quello per l’estrema sinistra fu un amore autentico, che la lontananza dalle violenze della metropoli rese particolarmente dolce. Ma niente a che vedere con la passione infuocata per la Lega. L’incontro con Umberto Bossi, che risale al 1979, Maroni lo definisce “sconvolgente”. Bobo ha 24 anni. Assieme a Umberto e a Giuseppe Leoni dà il via alla romantica alba leghista: vernice e pennello, manifesti clandestini» (Il Foglio). «Io guidavo la 500 grigio topo di mia madre e lo scaricavo (Bossi – ndr) in autostrada vicino a Varese, dove c’è un muraglione lungo lungo, poi giravo da casello a casello per non rimanere lì fermo e attirare l’attenzione. Una notte, al terzo giro, non lo vedo più, mi fermo, scendo. Bossi arriva di corsa, dice: “Via, via, c’è la polizia che mi ha sparato”. Spaventatissimi – io avevo 25 anni – saliamo di corsa, lui si dimentica che nell’auto di mia madre non c’era il sedile di destra: l’aveva tolto perché aveva un negozio di alimentari e le serviva spazio per la merce. Così cade, si rovescia addosso la latta di vernice e inonda la 500. Arrivo a casa alle tre di notte e cerco di pulirla un po’, ma alle sei e mezzo sento mia madre che urla: “Sei di nuovo uscito con quel disgraziato del Bossi!”» (a Sara Faillaci) [Vty 11/4/2012].
• «Ricordo il primo comizio insieme, in un albergo di Como. Era il marzo 1980. Sul palco eravamo in tre: Umberto, io e Bruno Salvadori dell’Union Valdotaine, che finanziava il nostro movimento, la Lega autonomista lombarda. In platea erano in quattro: due della Digos, un impiegato dell’albergo incuriosito, e un tipo che faceva “sì” con la testa. Umberto lo puntò: ecco il primo seguace, pensava. Invece era un picchiatore fascista. A fine comizio, appena Umberto lo avvicinò, quello gli tirò un pugno» (ad Aldo Cazzullo) [Cds 27/5/2012].
• Nel frattempo, Maroni era diventato avvocato e manager legale della Avon, la multinazionale statunitense della cosmesi. Alla fine però si buttò definitivamente in politica abbandonando l’avvocatura, e nel 1992 divenne deputato. Il 12 ottobre 1993 firmò con Bossi e Castelli la mozione per l’abrogazione dell’immunità parlamentare.
• «Alla vigilia delle politiche del 1994 siglò a nome della Lega un’intesa elettorale con Mariotto Segni, sconfessata il giorno dopo dal Senatùr, che intanto aveva chiuso il patto con Silvio Berlusconi. Fu lui, da ministro dell’Interno (nel Berlusconi I), ad accettare e poi a rinnegare il decreto “salva-ladri” del 1994 con la scusa di non averlo letto».
• Criticò la decisione di Bossi di far cadere il primo governo Berlusconi e Bossi «lo cacciò, indicandolo alla folla leghista come un traditore, uno attaccato alla cadrega. L’allontanamento dell’amico Roberto fu uno degli atti più dolorosi per il Senatùr. Alla fine, fece rientrare il figliol prodigo nella casa paterna. Non solo per affetto. Anzi, non fu affatto per affetto. Bossi è un calcolatore. Aveva bisogno di Maroni per giocare sui tavoli della politica» (Gianluigi Paragone). «La Lega alla fine degli anni Novanta era secessionista e pullulava di Camicie verdi e Guardia nazionale padana. Bobo, per riconquistare i favori del cacicco, si mise alla testa degli armigeri. Quando la magistratura reagì mandando gli agenti a perquisire la sede leghista di via Bellerio, Maroni si avventò su di loro. Nel parapiglia si vide, per la prima volta al mondo, un ex ministro di polizia addentare il polpaccio di un poliziotto. Bobo ne ebbe due conseguenze: il naso rotto e una condanna a otto mesi, ridotta a quattro in Appello, per resistenza e oltraggio» (Giancarlo Perna) [Grn 2/7/2012].
• Nel 1998 Maroni fu corteggiato dal centro-sinistra, che gli offrì anche la candidatura in Lombardia. «Ormai non c’è più interlocutore che si congedi da Maroni senza avere il timore di esser stato raggirato» (Francesco Verderami).
• Da ministro del Lavoro, Roberto Maroni riformò la legge Dini sulle pensioni (vedi DINI Lamberto), accorciandone i passaggi e ponendo uno «scalone» al 31 dicembre 2007: fino a quella data sarebbero bastati 57 anni per andare in pensione, dal giorno dopo (1° gennaio 2008) ne sarebbero occorsi 60. Nel 2007, però, Prodi modificò profondamente tale sistema («responsabilità atroce» del centrosinistra secondo Matteo Renzi [a Mattia Feltri, Sta 24/3/2012]).
• Le idee di Maroni sull’ordine pubblico e la convivenza civile sono racchiuse in due «decreti sicurezza», approvati rispettivamente nel 2008 e nel 2009. Il decreto del 2008 prevedeva: per le emergenze di ordine pubblico, l’impiego a tempo (sei mesi rinnovabili per altri sei) di tremila militari, messi a disposizione dal ministero della Difesa, incaricati di pattugliare dieci città metropolitane al comando di un rappresentante delle forze dell’ordine (poliziotto o carabiniere), senza facoltà di arrestare nessuno e dotati solo del potere di accompagnare l’eventuale fermato in un commissariato o in una tenenza dei carabinieri; l’aggravante per i reati commessi dagli immigrati clandestini; espulsioni più facili per gli stranieri irregolari. Poco dopo, Maroni estese inoltre a tutto il territorio nazionale il cosiddetto “Stato d’emergenza immigrati”, in atto dal 2002 e ristretto da Prodi alle sole Puglia, Calabria e Sicilia. Alle accuse, replicò sostenendo che gli sbarchi clandestini nel primo semestre 2008 erano raddoppiati «passando da 5.360 a 10.611». Inoltre, «con quel decreto di fatto si ampliavano a dismisura i poteri dei sindaci in materia di sicurezza e ordine pubblico, tanto che alla fine anche la Corte Costituzionale ebbe qualcosa da dire. Ma, intanto, l’argine era rotto. E già da quella estate i sindaci si sbizzarrirono. Pescando a caso dalle cronache dell’epoca si trova di tutto, a partire dal bando dei lavavetri. Per l’uso delle panchine diventò necessario un libretto di istruzioni: c’era chi vietava di poggiarci i piedi, chi di usarle dopo le 23, chi addirittura ne vietava l’uso ai minori di 70 anni. Lo stesso dicasi per i parchi pubblici: a Napoli si vietò il fumo all’aperto, altrove si proibì ai cittadini di frequentarli in più di due alla volta. Nelle città non si poté più mangiare un panino per strada, usare tosaerba a motore, dare da mangiare ai piccioni, addirittura baciarsi» (Alessandro Calvi) [Mes 23/6/2012].
• Il secondo pacchetto sicurezza, approvato nell’aprile 2009, contiene tra le altre cose l’introduzione del reato di immigrazione clandestina e la possibilità di organizzare in città «associazioni di osservatori volontari» disarmati e registrati (le cosiddette ronde).
• Promosse la schedatura dei rom e il censimento dei relativi campi. Invocò la chiusura della moschea di viale Jenner a Milano (anche per questo don Giacomo Bottoni, responsabile del dialogo interreligioso della curia milanese, gli diede del “fascista”).
• Sposato con Emilia Macchi (conosciuta in quarta ginnasio, al liceo classico Caroli di Varese), dirigente del personale all’Aermacchi, azienda fondata dal padre e ora parte del gruppo Finmeccanica. Tre figli: Chelo (1987), maestra elementare, Filippo (1991) e Fabrizio (1997), studenti. «Non fanno e non faranno mai politica. Tenerli lontano dai riflettori, per me, è una priorità» (a Sara Faillaci) [Vty 11/4/2012].
Critica «È ministro della Repubblica italiana con i voti – tanti voti, certo – di alcune tribù del Nord» (Furio Colombo).
• «Un paio di baffi sul nulla» (Andrea Camilleri).
• «Maroni è stato un discreto ministro» (Gad Lerner).
• Una delle «eccellenze» del Berlusconi IV, secondo il senatore democratico Franco Debenedetti [Cds 8/5/2008].
• «Chi è il Buffon della politica italiana? Il ministro Roberto Maroni. Lo conosco da molto, persona di assoluto valore» (Jörg Haider, scomparso esponente dell’estrema destra austriaca, all’epoca governatore della Carinzia).
• «Mi domando sempre se, in mezzo alle truppe di fanatici e di esaltati, il ruolo del commilitone moderato sia da considerare con rispetto, perché funge da calmiere, oppure con preoccupazione, perché fa da copertura “per bene” alle peggiori porcherie. Non avendo una risposta certa, sospendo il giudizio su Roberto Maroni» (Michele Serra).
Frasi «Le posizioni della Lega non sono mai state né xenofobe né razziste anche se l’intellighenzia ha sempre provato a marchiarci con questa etichetta, un tempo contro i meridionali e oggi contro gli extracomunitari. La Lega invece è un partito fortemente identitario che investe sull’identità e questi valori identitari sono spesso considerati un elemento di chiusura, un elemento regressivo, e invece è esattamente il contrario: una forte identità significa una maggiore capacità di integrazione del diverso. Un’identità debole, una società non coesa, è una società che ha paura del diverso» (a Maria Giovanna Maglie) [Lib 15/3/2012].
Vizi «È un fan di Bruce Springsteen, suona il sassofono, ha suonato l’organo elettrico in una band di jazz-rock-country a Varese ed è stato membro del gruppo rock della Camera dei deputati» (da un rapporto della Cia). Colleziona elefanti con la proboscide sollevata (li tiene allineati di sedere, glieli ha regalati quasi tutti la portavoce Isa Votino). Possiede una barca a vela bialbero di 17 metri, la «Rosie Probert too».
Tifo «Milanista sfegatato».